Uno dei pochi libretti di progettazione scritti qualche anno fa che ancora hanno un valore totale è “Elementi di velocità delle carene” di Jean Marie Finot, uno dei progettisti più geniali del secolo scorso, paladino di innovazione e intriso di quella cultura del design tutta francese che ha prodotto oggetti industriali davvero all’avanguardia. Come le auto Citroen di una volta: dalla umile 2cv, gli agricoli due cavalli, alla lussuosa Ds che non a caso si pronunciava Deesse: dea. Non a caso la sua prima barca famosa, partecipante all’Admiral’s, si chiamava Revolution. Nel mare a vela dobbiamo alla Francia quasi tutto, perlomeno per quello che è stata l’innovazione in quello che conta, forse non nel design di gusto e maniera, quella sottile degenerazione contemporanea che ha cambiato in peggio significato alla paroletta magica. Design una volta era costruire per il comfort, adesso tanto spesso è farlo strano. Finot nel suo libretto individua bene, e con anni di anticipo, le caratteristiche di una filosofia del navigare in crociera che ha prodotto barche di cui forse ci siamo dimenticati, ma che sono ancora la radice del moderno: larghe, sicure al lasco e in poppa, abitabili, motorizzate. Non è un caso che le avanguardie dei traversatori oceanici si spingano in quella direzione. Il Levrier de Mer ha fatto scuola. Perfino il più stabile dei progetti dedicati ai navigatori caraibici e tourmondisti, il noto Amel ha modificato la sua concezione: da una parte più largo, dall’altra più ricco, meno spartano. Il cambiamento è il sintomo che si cerca una nuova direzione per la barca “totale” intendendo quella che può navigare ovunque. I velisti, ancorati ai loro credo inalienabili continuano a credere alla barca su cu sono nati, o che hanno letto sui manuali. Anche per questo continua il successo di barche robuste si ma inabitabili per gli standard contemporanei. La verità dell’andar per mare però è diversa. E i cantieri ancora non hanno inventato la barca giusta, sempre spinti ad accontentare i clienti. La parola “custom” è la più sbagliata si possa usare per definire un progetto intelligente:nessun armatore ha la cultura sufficiente per ideare un progetto del genere che dovrebbe invece essere la somma di esperienze vere di navigatori e designer. L’armatore dovrebbe dire dove vuole navigare e scegliere il colore. E’ difficile scrivere queste cose, in un mondo in cui tante motivazioni d’acquisto sono legate alla illusione di una coincidenza tra sogno e realtà. Purtroppo non sempre il sogno è navigare, spesso è solo possedere. La sfida, per i cantieri, è questa: una barca non troppo grande, non troppo costosa, non troppo metallizzata, con tutti i comfort veri (acqua e silenzio per esempio). Insomma una barca che tutti vorrebbero. La vedremo?
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A marzo si aspetta il Louis Vuitton Trophy, manifestazione voluta dalla maison francese per poter esprimere la sua classe ancora una volta nella vela e tenere un piede, più di uno, nell’America’s Cup. Parteciperanno otto sindacati, tra cui due italiani: Azzurra e Mascalzone Latino Team Audi. Azzurra ritorna dopo la vittoria conquistata a Nizza contro Team New Zealand, considerato fino a quel momento praticamente imbattibile. A Auckland, seconda tappa del trofeo, sarà la rivincita in attesa delle altre manifestazioni di Dubai e Hong Kong. Durante la Coppa America Azzurra e Mascalzone Latino si stanno allenando a Valencia non senza difficoltà poste dalla Guardia Civil, pare su suggerimento di Alinghi.
Il mondo della vela e del motore possono incontrarsi, perchè oltre ai vecchi “ferri da stiro” ci sono barche che assimilano tante lezioni riducendo i consumi e i costi, l’impatto. Il “green” è stato uno dei temi del salone di Dusseldorf. Non tutto è oro, nel senso che per molti scrivere “eco” è una specie di pass partout per vendere roba vecchia con il vestito nuovo. Aggiungo a una navetta due tonnellate di batterie al litio e la faccio diventare a impatto zero. Ma non bisogna fermasi, anche nella nautica a motore esiste un piacere intelligente, perfino tra quei prodotti che ai velisti sembrano roulotte da porto. Eppure non sono pochi i velisti che raggiunta una certa maturità tra un’estate passata cercare il vento ma navigando tano a motore pensano che sia meglio addirittura partire a motore, magari con un Laser a bordo.
Wally Power, una barca simbolo. Simbolo dell’innovazione, della velocità come forma simbolica, anche di un certo tipo di esagerazione cui si siamo abituati prima della crisi. Ma non è un caso sia stata usata nel film The Island come immagine latente e forse non è casuale anche il fatto che Luca Bassani abbia deciso di realizzare proprio un’isola spostabile con la complicità di Hermes. Adesso sta crescendo dentro un cantiere di Ancona, la carena è presa a prestito da una nave che fa rilevamenti nei mari del nord, quindi una cosa che al contrario di quanto pensano in molti può navigare.
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