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Una bicicletta, pochi minuti di pedalata senza affanni dall’Antico Arsenale che ospita il Louis Vuitton Trophy, ed ecco il ponte tra La Maddalena e Caprera. Massi di granito che il vento ha sbozzato in sculture improbabili, macchia mediterranea, una pineta popolata dai cinghiali. La sequenza di rettilinei e curve finisce a Stagnali, la nostra meta, un’antica struttura militare non lontana dalla casa di Garibaldi, dove si trovano il Museo Geomineralogico, il Museo del Mare e delle Tradizioni Marinaresche e il Centro Ricerca Delfini.

Tutti ma proprio tutti i minerali dell’isola sono raccolti nelle due sale della prima struttura. Il responsabile Ennio Santoro, esalta le caratteristiche del granito isolano. “E’ il più tenace e duro. I nostri scalpellini e la nostra pietra hanno reso La Maddalena famosa nel mondo”. Una foto, vecchia di ottant’anni, immortala la preparazione sull’isola del singoli elementi e il montaggio in Egitto del gigantesco monumento intitolato “Alla difesa del Canale di Suez”, una sorta di torre-obelisco visibile a chilometri di distanza. Una scacchiera a settori, protetta da un cristallo. “Ognuno contiene la sabbia di una nostra spiaggia”. Dal grigio all’oro al giallo al rosa. Santoro indica contemporaneamente due riquadri, il primo è grigio, appena macchiato di rosa, nel secondo il colore è intenso. “La spiaggia di Budelli ha ritrovato il suo colore naturale grazie alla tutela ambientale. I turisti prelevavano la sabbia come souvenir, le ancore aravano i fondali e uccidevano la Posidonia, “responsabile” della colorazione della rena. Siamo tornati all’antico, fortunatamente”. Domina la sala un grande blocco di quarzo che Santoro definisce “eccezionale”. In un’altra vetrina, le testimonianze preistoriche dell’utilizzo delle pietre locali: coltellini in selce, punte di freccia in ossidiana, pestelli in “Gneiss”. Un settore è dedicato alle attrezzature dei cavatori. Scalpelli, ovviamente, martelli di ogni tipo, manuali e pneumatici. Nella seconda sala, decine e decine di specie di conchiglie e di flora marina.

Il Museo del Mare e delle Tradizioni Marinaresche “apre” con un’attrezzatura completa da palombaro con tanto di pompa della ditta Italo Zannoni di La Spezia, risalente ai primi del secolo scorso, baule, vestiario e tabelle originali di decompressione. Poi, modelli in scala di scafi. E madieri, bozzelli, passacavi, tutti di fattura artigianale, fanali di via, bussole. Non si tratta di cimeli ma di “strumenti quotidiani”, opacizzati dall’uso e dal tempo. Un armo latino, completo di vela, campeggia nella seconda sala, a fianco di un boma proveniente da una grande imbarcazione ottocentesca.

Tra i responsabili del Centro Ricerche Delfini, Irene Galante, milanese. “In queste acque vivono circa cinquanta esemplari della specie Tursiope. Nelle Bocche di Bonifacio, transitano anche Stenelle e Balenottere. Un maschio adulto di Tursiope, che in libertà vive sino a quarant’anni, può pesare sino a trecento chili per tre metri di lunghezza”.

Il Tursiope è il delfino che conosciamo grazie al cinema. Pare sia un attore nato. Curioso, intelligente, facile da addestrare. Il Centro monitora tutto l’anno dal gommone gli esemplari in arcipelago; il Tursiope ha abitudini costiere e stanziali. Ogni delfino ha una sorta di carta d’identità che ne permette il riconoscimento: la pinna dorsale, mai eguale a un’altra. Da qui, il nome attribuito a ciascun esemplare: Pippo ( è il più famoso, un grande poster lo ritrae a pelo d’acqua mentre si sta immergendo, la pinna è ben visibile), Pennabianca, Lembo… Al nome non corrisponde sempre la certezza sul sesso dell’esemplare. “Andiamo per esclusione” precisa Irene. “Se un esemplare viene avvistato per più stagioni senza un piccolo che nuota al suo fianco, è un maschio. I cuccioli restano con la madre per almeno tre anni”. Il delfino ha un palato fine; le sue papille gustative ne fanno un intenditore di triglie e calamari. Meno gradito è lo scorfano. Tra le attività del centro, i corsi di educazione ambientale per studenti, la divulgazione ai turisti e un parallelo monitoraggio dei Tursiopi in collaborazione con i pescatori locali.

Donatello Bellomo