Entra nel vivo il Salone Nautico, dopo i due giorni di avvio più timidi della settimana, in cui si è misurata la temperatura al mercato che sembra risorgere con crescita a doppia cifra si aspetta il pubblico del week end. E si discute: quale pubblico per quale Salone? La domanda cui rispondere in realtà è: “è il mercato a fare il Salone o il Salone a fare il mercato?”. Molti si sono ritirati, il primo il cantiere Sessa alcuni anni fa dando il via a una emorragia importante alzando la bandiera de “il mercato italiano è morto”. E’ bene affermare che sono proprio i cantieri italiani che hanno fatto grande il Festival de la Plaisance ora inutilmente chiamato Cannes Yachting Festival. Senza la “banchina italiana” il salone francese sarebbe nullo, basterebbe tornare tutti a Genova per svuotarlo e gettare nella disperazione gli arroganti organizzatori.
In realtà se il Salone di Genova non avesse resistito alla crisi tentando di conservare il legame tra clienti e cantieri cosa ne sarebbe stato del mercato domestico che adesso finalmente si riprende? L’equazione investimento (partecipazione al Salone) contro contratti e vendite, a breve termine è stato un sacrificio pesante, chi è rimasto fedele ha speso con ritorni modesti. Ma adesso il Salone continua ad esistere e con quello il mercato italiano delle barche da diporto. Come dice Carla Demaria presidente di UCINA: “tra mercato e Salone c’è una bella sinergia”. Vero, non si può prendere il quesito agli estremi.
Non dimentichiamo che dopo la perdita del Salone dell’Auto (Torino, Bologna) abbiamo finito per perdere anche la relativa industria di cui restano solo le unità produttive. Sul Salone Nautico restano latenti pesanti errori di prospettiva da correggere. Nell’aria ci sono visioni che negli ultimi anni hanno finito per diminuire il valore della manifestazione ligure a favore di altre. Il più temibile dei pericoli per il prossimo futuro? Uscire dalla formula “one ticket one show” che è la chiave del successo di Dusseldorf prima che di Cannes e che è stato il successo di Genova anni 2000, quando si è raggiunto il limite di 320 mila spettatori per tutti i settori merceologici, un primato mondiale. Tanti piccoli saloni non fanno un grande salone e non fanno vetrina alla nostra industria, che resta la prima del mondo.
Miami, considerato modello di salone diffuso, è un salone invisitabile, in cui le distanze tra le diverse sedi sono trincee tra i diversi mercati. E la speciale sezione “vip” è stato un esercizio di stile chiuso nel deserto di visitatori e la mancanza di veri Vip.
Ora, il vero pericolo risultato anche della grande campagna di denigrazione degli ultimi anni contro il Salone Nautico si chiama Blu Print, un progetto che se avrà davvero seguito limita pesantemente il ritorno del salone a dimensioni “mondiali”, dove il Salone è considerato un piccolo ospite e non una risorsa centrale per la città. Infatti l’area è descritta come “ex Fiera del Mare”. E’ singolare che un architetto dell’esperienza di Piano abbia sorvolato sulle esigenze operative del Salone, limitandosi alla cosmetica della città. Del resto il tombamento previsto di fronte allo Yacht Club Italiano è un’altra follia senza concreta prospettiva economica.
Mare: una responsabilità che Genova sa prendersi solo in parte, perché non c’è solo la nautica, il Mediterraneo ha bisogno di un coordinamento attorno a molti argomenti.
E’ davvero difficile pensare, con tutte le critiche che si possono muovere (ogni cosa è perfettibile), che sia logico rinunciare alle strutture costruite a Genova per il Nautico, tuttora nel PGT con questa destinazione d’uso, fatte con investimenti importanti. Cambiare sede: dove? Dove esiste un avviamento di 56 anni? Una “tecnologia” per quanto carica di mugugno che fa marciare le cose? Sarebbe anche sciocco, il solito modo di buttare soldi all’aria, demolire per rifare.