La Auld Mug, per chi non lo sa il nome arcaico della vecchia brocca, ha sempre scritto la sua lunga storia con la grammatica dell’innovazione, è con quella che affascina da più di un secolo e mezzo. Una volta, per scrivere le leggende del mare si correva tra le onde, adesso letteralmente si vola sull’acqua con il “foiling”: i catamarani AC 72 si sollevano sulle derive come aliscafi, sfruttando tutta la potenza di una vela rigida alta 40 metri, una potenza che qualcuno fa somigliare, per analogia, a quella di un motore da 700 cavalli. La cifra estetica degli AC72 è la velocità e quando passano vicino si sente solo un sibilo del timone che entra in risonanza . Tanta velocità come piacerebbe a Marinetti, finora raggiunta sull’acqua solo con oggetti naviganti costruiti per i record in linea retta come Hydroptere o Vestas Sailrocket2. Cinquanta nodi a vela, quasi cento all’ora di Gianni Morandi, sono una velocità mostruosa rispetto a quelle cui siamo abituati. Per disegnare questi cat i progettisti hanno esplorato nuovi panorami del confine aria acqua, ma è un mondo nuovo destinato a durare, forse, la vita di una farfalla: una sola edizione. Ai velisti piace volare, chi vincerà la Coppa prima di cambiare e tornare ai monoscafi ci penserà a lungo, perchè sono costati ricerche che adesso sono un vantaggio sulla concorrenza. Gli Ac 72 sono veloci e difficili da portare, non si sono dimostrati molto adatti al match race, il duello all’arma bianca che invece era diventato una danza con incroci calibrati al millimetro con i vecchi monoscafi, che però non passavano i 14 nodi in condizioni normali. Da tener conto che i catamarani AC 72 sono i primi foiling a disputare vere regate a quelle velocità, tutti i progettisti sono concordi nel dire che tra un paio di generazioni le prestazioni saranno molto più vicine e dunque sarà possibile assistere a un combattimento ravvicinato. Insomma, sono una conquista tecnologica ancora acerba che non è piaciuta ai sacerdoti della tradizione. Forse il salto in avanti con il foiling è stato eccessivo, visionario: ma è un salto in avanti. Del resto è il salto in avanti, perché dei cat normali con uno scafo sollevato avrebbero, quelli si, fatto una figura modesta. Nella vela il progresso è molto lento, i marinai hanno paura di cambiare quello su cui si sentono sicuri: le caravelle che hanno scoperto l’America, velocità media circa 8 nodi, non sono tanto diverse dalle navi tonde che i romani affidavano a comandanti fenici per portare il grano (e gli obelischi) dall’Egitto a Roma. Erano più veloci i vichinghi di Erik il Rosso, arrivato a Vinland – Terranova verso l’anno mille con i leggeri drakkar , capaci di lanciarsi a 14 nodi con il vento in poppa. I vascelli, fatti per resistere alle cannonate e restituirle, di Horatio Nelson signore di Bronte nella battaglia di Trafalgar all’inizio dell’800 erano una evoluzione senza rivoluzione dei galeoni di Sir Francis Drake, il corsaro della regina, che nel 600 era arrivato guarda caso a San Francisco. C’è un legame storico tra San Francisco e la velocità: i cercatori d’oro entravano nella baia dopo navigazioni massacranti a bordo dei clipper bastonati dalle tempeste di Capo Horn. Anche quelle meravigliose navi a vela vivevano con il mito della velocità (fino a 18 nodi) e spesso, come gli AC 72, erano costruiti per il solo viaggio di andata: nessuno aveva merci o persone da riportare indietro dalla California a New York, erano le speranze di trovare pepite sulle rive di Silverado a pagare il biglietto. L’inizio della corsa all’oro in California è del 1848, anno in cui è stata forgiata la Coppa poi messa in palio nel 1851, tutto torna… Patrizio Bertelli le racconta così: “queste barche sono animalesche, viaggiano tra aria a acqua con dinamiche nuove, sono oggetti che il pubblico non riesce a riconoscere. Io all’inizio ero molto scettico, preferivo il monoscafo. Adesso credo che ci siano delle cose buone e che restando nell’ambito delle barche foiling, certamente più piccole e meno costose, potremmo anche mettere a frutto le esperienze che abbiamo fatto adesso”. La velocità è scritta sulla faccia di Grant Dalton, il comandante over fifty che guida New Zealand, vincitore anche del giro del mondo in catamarano e senza scalo, con Club Med. Quando New Zealand ha perso due uomini in mare in una ingavonata con rischio vita e qualcuno ha pensato che uno fosse lui ha detto con un ghigno “io non casco in mare”. A Matteo De Nora sta a cuore il futuro della Coppa: “Alla gente piace il monoscafo, si riconosce nella storia della navigazione. Ma dalla velocità non si torna indietro. Forse la soluzione è un monoscafo planante che arriva a 35 nodi ma che consente tutte le manovre di pre partenza che piacciono al pubblico”. De Nora centra il punto: lo sport anche quando coinvolge la tecnologia non può rinunciare al confronto tra gli uomini che lo praticano. La poetica di Team New Zealand è da sempre questa: un grande equipaggio che fa “cantare” una grande barca. Hanno incontrato un equipaggio che ha saputo maneggiare la tecnologia con scaltrezza: i kiwi hanno inventato il foiling leggendo tra le righe del regolamento, gli americani lo hanno reso stabile e sicuro con Herbie (o meglio SAS Stability Augmentation System) , una macchinetta con sensori gravitazionali studiata per il Boeing 747 una quarantina di anni fa. Ancora misterioso come abbiano applicata senza violare la regola che ogni regolazione delle derive deve essere manuale.
Per saperne di più sul SAS
http://www.ier-institute.org/2070-1918/lnit15/v15/123.pdf
http://aerostudents.com/files/automaticFlightControl/stabilityAugmentationSystems.pdf