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Sono una vecchia signora che ha oltre un secolo e mezzo di vita: devo ammettere che è stata una vita burrascosa, piena di avventure di ogni genere. Il primo a prendermi a martellate è stato un esperto gioielliere operaio di Garrard & Co nel 1848, doveva sistemare alcune cose imperfette della mia fusione. Dopo, purtroppo, lo hanno fatto tanti altri, ma ne sono uscita quasi sempre bene, più in forma di prima, più lucida e desiderata. Nel 1851 sono stata donata dal marchese Henry William Paget per essere il premio della regata che ogni anno si corre attorno all’isola di Wight. Da allora mi hanno chiamato in tanti modi: un po’ volgarmente Coppa delle Cento Ghinee, poi America’s Cup, a qualcuno piace chiamarmi Auld Mug termine confidenziale di cui quasi tutti sbagliano lo spelling.

Per qualche giornalista sono stata anche il vaso di Pandora, e di questi tempi non ha tutti i torti. Mi hanno davvero desiderato in tanti, soprattutto i ricchissimi della terra con la passione della vela, ma ho fatto divertire anche tanti giovani e solidi velisti (i miei preferiti…) e mi sembra di continuare a farlo.

Diciamoci la verità: per me si strappano i capelli ancora in tanti, di tutte le età e di tutti i portafogli. La mia età, la mia leggenda, mi hanno fatto diventare un simbolo: non solo dello sport di cui resto il trofeo più antico che ancora si disputa, ma anche di quel magico intreccio che lega sport, nazioni, economia, tecnologia. A mio modo sono un patrimonio dell’umanità, non solo la proprietà dell’ultimo vincitore che mi tiene nella sua bacheca per quanto gli riesce. Per anni tecnologia è stata la parola magica e necessaria per vincere e partecipare, perché la mia natura è sempre dare una spinta inesauribile verso il futuro: sono vecchia, ma sono come un ago della bussola che indica la direzione che prenderà il mondo.

Vi dico che… adesso faccio un po’ fatica a farlo. A San Francisco (per fortuna) sono riuscita a metterci del mio nello spettacolo, come riesco sempre a fare. Ma mi sento un po’ stanca e vorrei trovare maggior collaborazione di tutti. Anche questa volta il defender Oracle è stato molto tiranno e ha stancato il Challenger of Record fino a farlo ritirare: il secondo in due edizioni, dopo Mascalzone Latino, converrete tutti è troppo. E poi quella Corte Suprema sempre necessaria per mettere ordine tra chi non sa essere sportivo. I cinque challenger della prossima volta mi sembrano pochi: Luna Rossa, Artemis, Team France, New Zeaand e Ben Ainslie Team. Insomma, vorrei qualcosa di più, più nazioni, più team, più spettacolo. Sbaglio? Certo direte, pochi ma buoni, ma sembra un po’ un alibi.

Si discute tanto sul mio argento su quale regno sia stato migliore o peggiore tra quello di Ernesto Bertarelli o l’attuale di Russell Coutts/Larry Ellison (chi decide davvero?). A me sono piaciuti tutti e due, per motivi diversi sono stati dei grandi protagonisti. Però devo confessare che, se ripenso alle grandi edizioni dell’Australia o di San Diego dove alla mia forza si mescolava un’atmosfera ancora leggera dove il fair play aveva il suo spazio, io mi sento un poco più povera, e potete capire che per una regina non è certo degno.  Se proprio devo dirla tutta mi manca anche quel cattivone di Dennis Conner: sapeva dar spettacolo, vincere, perdere, insultare, essere eccessivo in tutto, ma lo ha fatto senza tradirmi.

Forse bisognerebbe rileggere bene il Deed of Gift capirne il suo spirito, che è ben definito e parla di sfida amichevole tra nazioni. Invece in nome dello sport moderno, un sistema prigioniero del marketing che sta divorando se stesso, mi vogliono far cambiare natura e obiettivi (mi viene l’ossidazione se penso ai monotipi) e si sono accaniti sulla mia formula tanti sedicenti espertoni, tanti sportivi che sanno vincere ma non amministrare, persone che hanno lavorato senza tener conto che è proprio nella mia leggenda, nei miei valori nascosti la mia forza e hanno pensato che dovevo somigliare a un qualsiasi circuito di Formula Uno. Io sono diversa e più nobile: non faccio rumore, non faccio clamore. Penso come faceva la Regina Vittoria prima spettatrice della grande regata vinta dalla goletta di cui porto il nome: “never explain, never complain”. Però a questo punto una cosa devo dirla: cari Defender e Challengers questa volta pensateci bene, perché se andate avanti così prima o poi il pubblico si sarà stancato di me. E allora, non potrete più vendere nulla di quel che poco che resta del sogno.

Da mesi se ne parlava, ma nessuno ci credeva davvero: radio banchina continuava a ripetere che Vincenzo Onorato, dopo aver conquistato per amicizia con Coutts il ruolo di Challenger of Record, cioè quello di primo sfidante del Golden Gate Yacht Club, si sarebbe ritirato dalla Coppa America. Ieri invece l’arrivo del comunicato ufficiale: Mascalzone Latino si ritira, rinuncia alla sfida presentata al Golden Gate Yacht Club del defender Oracle attraverso il Club Nautico Roma e quindi non partecipa alla edizione 34 della Coppa America. Motivo ufficiale la difficoltà a raccogliere il denaro necessario ad allestire una sfida ben fatta, competitiva. Da mesi Mascalzone Latino era distratto. Non è mai salito, ad esempio, con un equipaggio completo sui catamarani della classe AC 45, piccoli mostri con vela alare che hanno debuttato a Auckland qualche settimana fa: sintomo di una decisione imminente. C’è dell’altro: Onorato ha molto lavoro per seguire la sua compagnia di navigazione Moby Lines e per la questione Tirrenia, così dice: “non ho tempo per seguire personalmente la sfida, se non ci sono io il sindacato non funziona e senza il mio contributo diretto non riesco a raccogliere gli sponsor. Quando scendo in mare voglio vincere, dunque una sfida persa in partenza non mi interessa, mentirei agli sponsor, ai nostri tifosi ed anche a me stesso”. Quanti soldi servivano? 40 milioni per esserci, un po’ di più per vincere qualche regata, almeno 80 per puntare alla vittoria. Come risultato del ruolo di Mascalzone Latino si era parlato a lungo di Venezia e Trapani come possibili sedi di regate ma tutto si è fermato tra richieste economiche eccessive degli americani, ma alla fine molto trattabili, e lentezze politiche. Il primo evento della prossima edizione con i catamarani Ac 45 che poteva essere in luglio a Venezia sarà in agosto a Cascais, Portogallo.

Forse un errore di Vincenzo, che resta uno degli armatori più appassionati, è stato proprio quello di strizzare l’occhio alla politica, che in realtà non è stata in grado di assicurare e soprattuto di capire che la Coppa poteva essere una grande occasione. Dall’altra parte del mondo il governo stanzia 36 milioni di dollari per Team New Zealand perchè crede nell’industria nautica. Qui fatichiamo a rendere operativi dei coefficienti adeguati per il redditometro o rendere umani i controlli in mare.

Prima di Mascalzone che ha partecipato alla Coppa nel 2003 e nel 2007, sono stati Challenger of Record Azzurra nell’87, Il Moro di Venezia nel 92 (che in realtà “abdicò” a favore di un comitato di sfidanti) e Luna Rossa nel 2003. Adesso che succede? Il ruolo passa al Royal Swedish Yacht Club che ha presentato la sfida di Artemis, sindacato condotto da Paul Cayard e c’è un interessante retroscena. I destini di Russell Coutts, lo skipper del defender americano Oracle e di Cayard sono di nuovo strettamente legati alla Coppa: sono stati per anni due grandi “esclusi” per aver discusso con i loro finanziatori. Nel 2003 Cayard fu messo a riposo da Larry Ellison per eccesso di personalità “non voglio che diventi famoso con i miei soldi” ma questo gli costò una campagna disastrosa e l’assunzione di Dickson che nel 2007 si è riveltao anche peggio. Nel 2007 Coutts è rimasto ai domiciliari (si fa per dire) per volere di Ernesto Bertarelli per motivi mai spiegati fino in fondo prima di chiudere il contratto con Ellison, piegato dalla voglia di vincere a prendere un uomo faro e vincente. Cayard e Coutts, ai tempi dell’esilio, insieme avevano progettato un circuito alternativo con i multiscafi, che è esattamente quello che stanno facendo adesso. L’Italia resta rappresentata da Venezia Challenge, un sindacato del tutto nuovo che fonderà le sue risorse economiche su nuovi mercati e nuove strutture manageriali. Presto sapremo di più degli uomini che si sono. Finora sono pubblici i nomi di Carlo Magna e Emanuela Pulcino che hanno dato vita al sindacato. La rinuncia di Mascalzone può essere un colpo di fortuna, per raccogliere quegli sponsor che vorrebbero buttarsi nel grande palcoscenico della Coppa. Senza voler assolutamente dare giudizi su questo sindacato la cui dote migliore finora è la voglia di rischiara anche la faccia, è singolare che l’Italia a vela sia rappresentata nel massimo evento da un team del tutto nuovo, con poca esperienza. Non è solo paura degli americani, del loro vantaggio tecnologico, ma anche una sostanziale incapacità di fare squadra, progettare team ed eventi e anche rischiare.  I velisti italiani sono rimasti progionieri della presunzione “tanto mi chiameranno, hanno bisogno di me”. Un marketing da ragazza sedicenne al liceo, che fa gli occhi dolci al più bello. E prigionieri della voglia di far da soli, di fare meglio. Legati ancora alla figura del padre armatore, pagatore, traghettatore. Le occasioni di fare c’erano, eccome. Forse non tanti soldi certo, ma la possibilità di partecipare esisteva.

I sindacati iscritti restano quattordici, purtroppo quelli che hanno fondi sicuri per partecipare sono molto meno: oltre ad Artemis e Oracle c’è Team New Zealand, saldamente guidato da Grant Dalton, che una volta di più ha confermato il suo carattere di nazionale della vela neozelandese. Ma in Nuova Zelanda la vela e l’industria nautica sono particolarmente importanti e il Governo punta anche a mantenere forte questa immagine “industriale”. Sembra impossibile, ma quella nautica è una delle prime del paese australe, la cui economia è fondata su allevamento e agricoltura.

Sono quattro e si stanno inseguendo nella solita baia di Auckland. Sono il risultato, per il momento in piccolo, della decisione di correre la prossima Coppa America con i poliscafi. Catamarani di 45 piedi (poco più di tredici metri) con vela alare: un pezzo di aeroplano per correre di più. Sono le miniature di quello che verrà, mostri da trenta nodi. Subito velocità ma anche critiche all’indirizzo degli “americani” accusati di aver spento il massimo evento velico con la loro decisione. La raccolta degli sfidanti è stata faticosa, complice la crisi economica ma anche una fondamentale incertezza su date, luoghi programmi. Programmi fin troppo intensi che prevedono una parte a bordo di questi piccoli mostri e una sulle barche vere e definitive. Il tentativo di portare a casa molti soldi con l’organizzazione delle regate nei diversi “venue” con ardite operazioni di marketing ma anche scegliendo chi paga invece di chi offre scenografia. Si dice che le prime richieste per ospitare la Coppa America (cioè le regate finali del 2013) fossero di 130 milioni di dollari, chiesti anche ad alcune città italiane. Prezzo alto e “barca” invenduta alla fine ha prevalso un agreement con la città di San Francisco, con investimenti molto limitati. Più o meno stessa storia con gli sponsor: se non fosse stato per il “solito” (in senso buono) Louis Vuitton che temeva di veder sparire la gloriosa Louis Vuitton Cup, quella che hanno vinto Raul Gardini e Patrizio Bertelli mancava anche lo sponsor delle regate di selezione. A far ordine a capo della gestione delle regate sono arrivati il vecchio e solido velista australiano Iain Murray e l’inglese Richard Worth, inventore della Champions League che dopo tanto calcio ha capito subito una cosa fondamentale: “alla vela mancano i campioni che sanno parlare al pubblico”. Detto questo andiamo verso una edizione più televisiva che mai, con telecamere e microfoni a bordo. Il primo evento, dei tra programmati quest’anno con i piccoli catamarani da 45 piedi, sarà a Cascais in agosto. L’Italia che doveva avere il primo appuntamento a Venezia o Trapani è per il momento esclusa da questi eventi.

Il 31 marzo sono scaduti i termini per presentare le sfide al Golden Gate Yacht Club, i sindacati che hanno versato i 25 mila dollari richiesti sono una quindicina. Al momento quelli che lavorano davvero sono oltre al defender Oracle gli svedesi di Artemis, i neozelandesi di Emirates Team New Zealand. Per il resto l’allegra brigata si può considerare il contorno che andrà a far scenografia con ben poche possibilità di strappare la Coppa agli americani, a meno di colpi di genio fantastici. Due sindacati francesi Aleph ed Energy Team contano più sulla loro esperienza, che non è poco, a bordo dei multiscafi che su organizzazione e denaro. Tornano gli australiani, grandi protagonisti con sette sfide, compresa la strepitosa vittoria di Alan Bond con Australia II. Arrivano un sindacato koreano, che di soldi potrebbe averne, e uno cinese. In campo italiano domina l’incertezza sul Challenger of Record Mascalzone Latino, Vincenzo Onorato è totalmente dedicato al suo mestiere di armatore di traghetti e il team finora non sembra aver preso iniziative concrete al punto che si dubita della sua partecipazione. Difficile che Onorato si faccia davvero scappare la possibilità di partecipare per la terza volta alla Coppa, con un ruolo di primo piano. Insomma, un modo per esserci lo troverà. Si presenta con uno strana formula Venezia Challenge, sindacato che non ha avuto l’appoggio della città di Venezia (anzi una diffida a usare il nome a quanto pare) e allora si à rifugiato a Palermo per lanciare una sfida con il circolo Roggero di Lauria, sodalizio storico con sede a Mondello. Tra gli uomini chiave quel Pasotti che faceva parte del direttivo di +39, più volte sottoposto a sequestri cautelativi fino al fallimento con sigilli sulle barche. Potrebbe esserci tra le sfide ancora confidenziali un altro italiano, il prof. Francesco De Leo con Green Com, che aveva mostrato appetiti già durante la edizione precedente, tuttavia si parla di una sfida lanciata attraverso un club spagnolo e non italiano.

Comunque la prima verifica su chi vuole fare davvero la Coppa sarà a fine aprile, quando toccherà versare la prima rata di soldi veri del “bond” di partecipazione: 200 mila dollari che spariscono se non si porta a termine la sfida, cui ne vanno poi aggiunti altri in breve tempo. La quindicina di sfidanti potrebbe ridursi a sette, otto.

Si corre a Dubai l’ultimo atto del circuito dei diversi eventi che con l’organizzazione di WSTA e Louis Vuitton hanno animato l’ultimo anno di regate, eventi voluti per tenere in vita i sindacati che hanno ambizioni di Coppa America. Con un pizzico di ironia si può anche scrivere che è il “funerale” delle vecchie barche inventato per la Coppa America del 92 e che per una ventina d’anni hanno reso possibile un grande spettacolo. Gli americani di Bmw Oracle e soprattutto il loro skipper Russell Coutts con un colpo di spugna, ormai è noto, hanno scelto una strada nuova: quella dei catamarani, delle vele alari. All’improvviso tutto un mondo di velisti e di intenzioni è “vecchio”. Imperano leggi di marketing e spettacolo prese a prestito dalla Formula Uon e altri grandi eventi. La scommessa sarà capire se quelle regole funzionano anche nella vela. <c’era certo bisogno di novità e freschezza alla caccia di nuovi appassionati. Ma il dibattito è tuttora aperto.

Al Louis Vuitton Trophy Dubai partecipano solo sei sindacati e solo cinque al momento sono quasi certi partecipanti alla Coppa che sarà nel 2013 con ogni probabilità a San Francisco. Sono il defender Bmw Oracle, il challenger of Record Mascalzone Latino (unico italiano rimasto) che il patron Vincenzo Onorato distratto dalla molto più importante questione relativa al salvataggio di Tirrenia con i colleghi Grimaldi e Aponte manda in campo con l’equipaggio condotto da Gavin Brady, il russo Synergy che avrà al timone l’ex Azzurra Francesco Bruni, Artemis di Paul Cayard, il franco tedesco All4One e Emirates Team New Zealand. Con sei team le regate saranno più facili di quelle viste a La Maddalena, che purtroppo non ha lasciato un buon ricordo. La finale è prevista il 27 novembre. Per tutti i partecipanti l’evento è un atto dovuto, nel senso che onora impegni presi con gli sponsor e l’associazione. Ma è considerato una distrazione economica e sportiva dal vero obiettivo finale: la costruzione di un team di Coppa America. E per quello i tempi sono stretti, perché dall’anno prossimo si dovrebbe già iniziare a correre con i catamarani di 45 piedi. Si parla insistentemente di una prima tappa in Italia.

Sullo sfondo resta il grande impegno di Louis Vuitton, lo sponsor che dal 1983 accompagna le regate di selezione degli sfidanti. Si sa che sta trattando il suo ruolo anche per la prossima coppa, con un impegno alleggerito rispetto alla edizione 2007 e relativo proprio solo alle selezioni finali sfidanti. Yves Carcelle, presidente e amministratore delegato di Louis Vuitton ha dichiarato: “Come tutti ricordano, dopo la 32ma America’s Cup non c’era un futuro certo. Con le Louis Vuitton Pacific Series prima, e il Louis Vuitton Trophy dopo, era nostra intenzione dare ai team la possibilità di tenersi pronti in vista degli sviluppi futuri. Alla vigilia dell’ultimo evento credo di poter affermare che ci siamo riusciti”.

Una giornata campale per il Louis Vuitton Trophy La Maddalena: il Comitato di regata ha tenuto gli equipaggi sul campo fino a sera, per tentare di completare il programma. Le prime due regate sono servite a completare il round robin e definire la classifica: Emirates Team New Zealand ha battuto Mascalzone Latino e si è insediata al terzo posto lasciando il quarto agli italiani. All4One ha battuto Artemis superandolo in testa alla classifica.  Subito dopo si sono corse tre regate per i quarti di finale tra Mascalzone Latino Audi Team e Synergy, quarto e quinto in classifica. La barca italiana ha perso il quarto per due a uno.

Mascalzone Latino Audi Team finisce oggi la sua corsa verso la vittoria: era partito molto bene vincendo le regate iniziali con un record di vittorie interessante, appesantito da un punto perso contro All4One nelle fasi iniziali. Diversa la situazione per Azzurra e Luna Rossa, apparse subito più deboli nel round robin. Oggi la sua giornata più storta: ha corso quattro regate e ne ha perse tre. Peccato per l’equipaggio di Vincenzo Onorato che vede sfumare un obiettivo importante. Le sue regate di oggi hanno poca storia: al mattino Gavin Brady, forse teso per l’importanza della giornata, sbaglia la partenza e taglia la linea in anticipo. La diretta tv finalmente ci ha restituito le immagini delle regate e l’audio ci ha fatto sentire la sua voce, laconica “we are over” siamo fuori. Anticipo sulla linea e regata chiusa. Ma dopo l’incontro con i neozelandesi era ancora quarto, dentro la semifinale. Il programma prevedeva l’incontro tra il quarto e il quinto per i quarti di finale come abbiamo scritto Mascalzone e Synergy. Si doveva correre al meglio di tre regate, vuol dire che passa il turno chi vince due volte. I russi si sono mostrati determinati, forse più mascalzoni degli avversari. Karol Jablonski ha indovinato la prima partenza e messo dietro Gavin Brady fino alla fine. Brady si rifà nella seconda regata con una bella bolina sul lato destro. Ma la “bella” finisce in mano ai russi che scelgono con cura il lato sinistro e migliore del campo. Mascalzone taglia lento la linea e i russi sono subito davanti. E ci restano per tutta la regata che vincono facilmente.

A fine giornata Peter “Luigi” Reggio tenta di allestire una regata tra Azzurra ed Emirates Team New Zealand e tiene le barche in campo a lungo, fino a quando il cielo si fa scuro. Il suo desiderio non viene esaudito e la classifica congelata.

Il regolamento di regata non consente di proseguire oltre oggi per disputare i quarti di finali e pertanto la situazione viene “congelata”. Sono in semifinale i primi tre del round robin All4One, Artemis e Emirates Team New Zealand oltre a Synergy che ha battuto Mascalzone Latino Audi Team nell’unico quarto di finale disputato.  Si correrà al meglio di tre regate, ovvero passa in finale chi conquista per primo due vittorie.
La prima coppia di barche a correre sarà Artemis che correrà con ITA 90 e ingresso mure a dritta la prima regata contro Emirates Team New Zealand su ITA 99, la seconda coppia sarà All4One su ITA 99 contro Synergy con bandiera blu nella prima regata.

I dieci team che sono schierati a La Maddalena sono i potenziali protagonisti della Coppa America numero 34. Sono un defender e dieci sfidanti: su All4One infatti navigano due equipggi che dividono le poche risorse e i molti talenti. Il defender BMW Oracle è partito male e finito peggio: doveva essere il protagonista ma è già escluso. Forse pesano i troppi festeggiamenti, i mesi passati a bordo del trimarano. D’altra parte si dimostra che hanno un vantaggio i team che hanno partecipato agli eventi di Nizza e Auckland. Squadre che sono cresciute molto. La prima fra tutte è Artemis, la barca svedese voluta da Paul Cayard, che da Nizza ha subito una totale trasformazione. A La Maddalena si dimostra quella più sicura, padrona del campo. Più lucida di Emirates Team New Zealand, Mascalzone Latino, All4One. Mascalzone e il suo team sono in grado di navigare bene, le altre due italiane meno. Azzurra nelle acque di casa, anche se la Costa Smeralda si può nominare appena, ha mostrato qualche smagliatura, ma attenzione ai facili giudizi, sono gli altri in crescita più che lei in calo. Luna Rossa paga la novità: lo squadrone è forte, ma da sintonizzare, da mettere insieme. Non bastano i quattro velisti italiani che hanno vinto la Coppa America a bordo (Plazzi, De Mari, Rapetti e Mazza) le nove medaglie che si sommano tra Grael e Scheidt e  il timoniere di Alinghi. Ricette? Programmi e denaro. Per alcuni team c’è di sottofondo una (ma loro lo sanno bene) mancanza di obiettivi organici, o la speranza di far le nozze con i fichi secchi, confidando in entusiasmi e giovani. D’altra parte senza Protocollo e regole è tutto un poco più complesso. Mascalzone e Luna Rossa sanno che faranno la Coppa, la campagna acquisti in pieno svolgimento. Per Azzurra la situazione è più incerta, non si percepisce una autentica propulsione verso la Coppa. Cosa definisce un team che vuole partecipare alla Coppa da uno che si limita a partecipare agli eventi del Louis Vuitton Trophy nella speranza che uno sponsor cada nella rete e finanzi l’avventura? Facile: chi ha scelto un progettista o almeno un responsabile tecnico serio vuole fare la Coppa America. Per il momento questi nomi sono pochissimi. Chi si è mosso bene è TeamOrigin che ha chiamato Grant Simmer, il responsabile del coordinamento del progetto di Alinghi. La squadra inglese con un professionista del genere è forte. Questo è anche il sintomo che Ernesto Bertarelli ha “mollato il colpo”: Ed Baird con Luna Rossa,  Simmer con TeamORigin, Vroljik conteso tra Luna Rossa e, forse, Azzurra. E Brad Butterworth? Si attende il ritorno della magica coppia Coutts Butterworth, oppure potrebbe arrivare anche lui dalle parti di Luna Rossa: il legame esiste. Grande amico di Matteo Plazzi (con cui ha fatto un giro del mondo su Winston) potrebbe dare un apporto concreto al team. Sono settimane importanti per la Coppa e manca un ingrediente fondamentale, che poi era la premessa delle buone intenzioni di Coutts e Onorato. Qui a La Maddalena manca una vera azione di “mediazione”. Le gerarchie e le relazioni tra Defender, Challenger, WSTA e Louis Vuitton sono confuse. L’associazione degli armatori (WSTA) è stata creata proprio per gestire la Coppa in caso di vittoria di BMW Oracle, ma non sembra che tutto debba andare in quella precisa direzione. BMW Oracle non ha voluto riparare di gran carriera le sue barche rotte da Bertrand Pace, sintomo forse di una presa di distanza dall’evento. Ma la domanda è: presa di distanza dall’associazione o dalla maison francese? Provate a rispondere, tenendo però conto che la Coppa America arriverà sabato per essere visibile al pubblico.

La giornata comincia con l’incertezza del vento, quando il Comitato chiama in mare la barche è ormai ora di pranzo e il programma è in ritardo di qualche ora. Del resto la notte è stata lunga, con la bella festa, il “beach party” che Louis Vuitton ha voluto a Cala Trinita e ha tenuto impegnati gli equipaggi fino a tardi: prima stregati dallo spettacolo di un magico tramonto sulle Bocche di Bonifacio e poi delle danze.

La prima coppia di equipaggi era quella formata da Luna Rossa e TeamOrigin. Per i primi quasi una lotta per la sopravvivenza, per i secondi una vittoria era importante per restare nelle parti alte della classifica dove regna Artemis. TeamOrigin, ben manovrata dal timoniere Ben Ainslie e dal tattico Iain Percy conquista subito la sinistra del campo che si rivela il lato favorito. Per Ed Baird e il suo equipaggio di veterani la partita è subito chiusa: gli inglesi conducono per tutta la regata, senza fatica, e vincono con un vantaggio di 37 secondi.

I due turni successivi toccano ad Azzurra, con due avversari importanti. Per la barca di Francesco Bruni e Tommaso Chieffi gli incontri sono contro Synergy, barca di bandiera russa ed equipaggio internazionale e Artemis.  Come nella regata precedente la vittoria si costruisce nelle primissime scelte e Azzurra decide bene: parte a sinistra come avevano fatto gli inglesi, poi decide di “scambiare” lato quando ha il vantaggio sufficiente a passare sulla destra del campo e gira la boa di bolina in vantaggio. Il vantaggio è poco, ma quel che basta a contenere il ritorno di Jablonski e la sua Synergy. Nella seconda bolina si lavora tanto per un “tacking duel” (un duello di virate) in cui si contano dodici cambi di bordo. Azzurra vince con 15 secondi di vantaggio.

Poco dopo la partenza della terza regata del giorno, Azzurra contro Artemis, la capo classifica. Si prova a partire una prima volta, poi il comitato si rende conto che il genoa di Artemis è sbagliato e richiama le barche. Nella partenza vera il timoniere di Artemis, l’americano Terry Hutchinson, controlla bene Bruni e gli somministra una penalità. Artemis e Azzurra restano sempre vicine, Azzurra passa in poppa ma il suo vantaggio non basta. Anzi lungo la bolina Artemis naviga meglio e passa di nuovo in testa. Insomma per gli italiani non ci sono possibilità ne di restituire la penalità ne di conquistare un vantaggio adeguato a eseguirla in tranquillità. Devono cedere ad Artemis che conquista il quinto punto.

Nel quarto match Artemis e Synergy sono un incontro al vertice: gli svedesi sembrano controllare bene gli avversari, ma al cancello di poppa compiono un errore di manovra e rompono il tangone, il gennaker si infila sotto la barca e si fermano mentre gli avversari sfilano di poppa e vanno a conquistare una vittoria importante.

Il programma si conclude con l’incontro tra Emirates Team New Zealand e All4One. Si corre questa quinta prova con l’anemometro che sfiora i venti nodi e crea qualche difficoltà agli equipaggi. La regata è presto detta: in partenza il timoniere della barca franco tedesca Sebastien Col controlla bene Dean Barker che entrava con la bandiera blu, le due barche si scambiano qualche favore sulla linea di partenza, ma All4One esce un po’ meglio. Lungo la bolina sulla barca neozelandese si apre un piccolo taglio sul genoa, fatto che limita le possibilità di virare: farlo potrebbe significare ingrandire lo strappo. I kiwi sono costretti a inseguire e nella poppa successiva si avvicinano un poco all’avversario ma non basta per cambiare le sorti della regata. All4One vince con un vantaggio di 21 secondi.

Classifica provvisoria

1)  Artemis, 5-2, 5 punti
1)  Synergy Russian Sailing Team, 5-4, 5 punti
2)  Emirates Team New Zealand, 4-2, 4 points

2)  All4One, 4-3, 4 punti

2)  TEAMORIGIN, 4-3, 4 punti
6)  Mascalzone Latino Audi Team, 4-1, 3 punti *
 

7)  Azzurra, 3-4, 3 punti

8)  Luna Rossa, 2-6, 2 punti
8)  BMW Oracle Racing Team, 2-5, 2 punti
10)  ALEPH Sailing Team, 2-4, -2 punti *

 *  Punti dedotti per intervento della Giuria/Comitato