La Coppa… il più antico trofeo dello sport che si disputa senza interruzioni, se non quelle delle guerre che più che altro l’hanno rallentata. La domanda, che tutti si sono posti in questi giorni di regate bizzarre con questi oggetti volanti che quando passano fischiano più che sbattere sull’onda è: ma questo è davvero sport? E’ la nostra vecchia vela? La montagna di critiche sommerge le poche voci a favore. Gli AC 72 appaiono oggetti incomprensibili, che tutti dichiarano costosi senza sapere davvero quanto costano, che tutti dichiarano solo “tecnologici” senza sapere quanta abilità debbano avere i marinai, anche i grinder che hanno più compiti. Navigare su un AC 72 è come essere su un 7 metri: i tre che fanno l’equipaggio devono fare tutto tutti insieme senza sbagliare. Se uno degli undici sbaglia (come è successo a New Zealand in poggiata) si finisce gambe all’aria: la macchina non domina nessuno, bisogna saperla usare con tempi di reazione fulminei.
La Coppa, bisogna ammetterlo, è stata troppo spesso palestra di grandi eccessi di tycoon con l’ego esuberante, occasione di affari d’oro dove gli equipaggi e le loro avventure sono stati quasi sempre in secondo piano, perché era meglio vedere altro. Le azioni incrociate delle ultime edizioni hanno finito per erodere il grande patrimonio di popolarità conquistato negli anni in edizioni memorabili. Dall’83 in poi, in particolare, la Coppa era stata davvero un grande evento sportivo. Adesso non lo è più, si capisce dalla risposta modesta dei media, dalla sala stampa semivuota. Così nascono le ricette, tornare alla tradizione sembra l’ancora di salvezza perdendo di vista il fatto che la tradizione della Coppa è l’innovazione. Forse il salto in avanti con il foiling è stato eccessivo, visionario: ma è un salto in avanti.
Così in questa edizione così particolare e nuova alzando la bandiera del troppo tecnologico si dimentica quanta fatica abbiano fatto designer, progettisti, equipaggi per imparare a navigare. E la poesia di Emirates Team New Zealand così forte in alcuni momenti costruita sull’abilità delle persone (anche i designer, ma senza dimenticare i marinai) resta senza pubblico. Il pubblico critica, Facebook critica: non è match race, rivogliamo i monoscafi. Vero: il mondo è stato scoperto in monoscafo. Ma non tutto: i polinesiani sono arrivati in Nuova Zelanda con ridicoli multiscafi.
Poi tutti a dire, nonostante i budget sia inferiori o uguali a quelli del 2007: costa troppo. Le critiche di chi non c’è, la storia della volpe e l’uva: non mi piace perché non ci posso arrivare. Ma non con il portafoglio, con la testa. Questi team hanno speso meno o uguale al 2007. Una barca costa 6 milioni, una ala 3, un set di chiglie uno. E i designer che lavorano a tempo pieno non sono di più di quelli che servivano per il monoscafo. Team di 18/20 persone. Allora disegnavano bulbi di piombo adesso “elevator”.
Del resto c’è poco di più immutabile della navigazione a vela: le caravelle che hanno scoperto l’America non sono tanto diverse dalle le navi tonde romane che 14 secoli prima navigavano la rotta del grano dall’Egitto a Roma, i galeoni di sir Francis Drake mica tanto diversi dalle navi di Horatio Nelson signore di Bronte che due secoli dopo l’arrivo a San Francisco del corsaro della regina erano a Trafalgar. In mare il progresso è lento perchè “barca che va non si cambia”. E’ la paura del mare a rendere prudenti i marinai. In un secolo che riscopre la lentezza poi, gli AC 72 sono alieni. La Coppa America deve essere davvero match race? Nasce per definizione come incontro di due Yacht Club con due barche diverse. Il desiderato monotipo non è previsto neanche per scherzo. E’ previsto l’esperimento, l’eccesso, la leggenda. Non è ancora tempo di bilanci, certo, ma quel che si vede (anche a occhio nudo) è che la parte comunicazione (e non quella degli addetti specifici, che hanno poco da comunicare, la strategia complessiva), programmi di regata, contatto con il pubblico, sia stata molto peggiore della scelta della barca così veloce e moderna. Per gli sponsor che volevano partecipare, tre anni fa, era impossibile avere un programma definito, garantito. Quello è l’errore, non l’estetica della velocità degli AC 72, barche del terzo millennio. La presunzione di avere a che fare con un evento che vale o che è la Formula Uno, di cui si può vendere anche l’accesso alla toilette. Da questo punto di vista la vela deve imparare che il pubblico si “compra”, perchè il pubblico è il valore da trasmettere agli sponsor. Ma attenzione, non vuol dire semplicemente regalare diritti Tv e distribuire pubblicità, come può pensare qualche studente di pubbliche relazioni, significa costruire un evento che è sport. E questa è tutta un altra storia. Lo sport fatto di uomini, risultati, vittorie, sudore, palestra, tecnica. Altro che le birre nel parterre dello Yacht Club dopo che qualche prua slanciata si è graziosamente tuffata un acqua…
La Coppa America andrà avanti, anzi queste regate di San Francisco sono un mattone in più per la sua leggenda, corse con catamarani che non rivedremo mai più. Questa è leggenda. Cosa succederà? Se vince Emirates Team New è molto probabile che torneremo con i piedi per terra con un monoscafo che plana a 35 nodi, potrebbe essere una spece di RC 44 di 80 piedi o più, leggero e manovrabile. Garanzia di circling ma anche di planate, spruzzi, telecamere sommerse. Se invece vince Oracle (che pare molto forte di bolina) quasi tutti sono convinti che si arriverà a un catamarano di 60 piedi, ovviamente con ala rigida e foiling. Dopo questa edizione le differenze tra i team, con la circolazione di uomini che ci sarà che porteranno in altri team le esperienze, sarà più facile avere performance vicine con la seconda generazione foiling. Chi ricorda la enorme differenza tra il Moro 3 (considerato seconda generazione Iacc nella prima edizione che li utilizzava nel 92) e gli altri al mondiale del 91? Anzi, aver mostrato tutto quel potenziale è stato un danno per gli italiani. Insomma, altro giro, altro spettacolo. Altra leggenda, ma è meglio che chi dovrà decidere impari cosa è un evento sportivo.