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Mentre nella baia infuria la lotta tra Oracle e New Zealand, mister Patrizio Bertelli (il mister sta li per dire che dire che da l’impronta alla squadra) si è fatto vedere spettatore sul gommone con Max Sirena e il gruppo storico di conduzione di Luna Rossa. Tra i ragazzi, non manca l’avvocato Luis Saenz Mariscal, che sta lavorando sodo in questo periodo. Dopo le proteste il documento in preparazione è il Protocollo. Se Emirates vince, Luna Rossa sarà Challenger of Record, con la responsabilità, per Patrizio Bertelli, Max Sirena, Matteo De Nora e Grant Dalton, per citare i vertici, di costruire un nuovo evento a misura di vela e non è roba da poco, dopo la controversa eredità di questa edizione: barche lanciate verso il futuro, così avanti da essere poco comprese. Un evento partito con alcune buone idee mai praticate.
Il circuito delle World Series  si è ridotto e il suo messaggio di diffusione ha perso grinta. Le notizie che sono trapelate finora parlano di una stretta sul controllo della nazionalità, i team dovrebbero avere una minima quota di stranieri, sicuramente non il timoniere. Questo è bene per le nazioni mature, non tanto per aprire a nuove realtà, come il far east che non ha una dotazione sufficiente di campioni locali. Esclusa la condivisione dei progetti. Se esiste un fondamentale accordo su gran parte delle questioni che riguardano l’evento per la decisione che tutti aspettano ci vorrà tempo. Sono pronti dei modelli, delle simulazioni, tra cui decidere. Lo abbiamo intervistato prima che ripartisse per Milano, destinazione sfilate.
Patrizio chi vince?
“Mi sorprenderei davvero che Oracle riuscisse a rimontare: deve vincere dieci regate, i kiwi cinque. A loro basta vincerne una al giorno delle due per andare avanti e non è impresa impossibile. I kiwi mi sembra siano sempre più veloci di bolina anche due nodi”.
La sua Luna Rossa le è piaciuta?
“Abbiamo centrato l’obiettivo che ci eravamo posti: arrivare alle finali con Emirates Team New Zealand. Abbiamo vinto le World Series con gli Ac 45 imparando a portare la barca molto in fretta. Nei primi eventi eravamo dietro tutti. Ci è mancata una corretta filosofia progettuale. Abbiamo ottenuto il massimo risultato per gli strumenti che avevamo, oltre che maggior tempo avremmo dovuto avere una seconda barca come gli altri”.
E quello che succede in mare?
“Non mi piace il percorso delle regate, la partenza al lasco va bene, ma ci vorrebbe subito la bolina come una volta, quando si aspettava il primo incrocio e c’era da fare tattica vera fino alla prima boa. Adesso chi è dietro alla prima boa deve aspettare la bolina. Insomma io sono contrarissimo alle partenza di poppa. Il percorso dovrebbe essere bolina , poppa, bolina, si può togliere anche il gancio. Per quanto riguarda le barche devo ammettere che da maggio in poi ”.
Le barche così contestate sono davvero da buttare?
“Ho sempre detto che catamarani erano difficili da vedere per il consumatore, per chi va in barca da anni sul monoscafo è difficile riconoscersi. Dopo l’incidente di maggio tempo in cui sembrava di aver preso davvero una strada sbagliata ogni giorno la mia opinione è cambiata, migliorata, mi sono avvicinato a questi mezzi. Il risultato positivo è raggiunto anche se resta la complessità di queste barche, che in una prossima edizione finirebbe per restringere la partecipazione a pochi team”.
E’ arrivato a cinque sfide, solo sir Thomas Lipton ha fatto tanto. Cos’è per lei la Coppa America?
“Ho iniziato un po’ per gioco, per la mia passione per la vela, per fare una sfida, anche per sostenere l’immagine dell’Italia. Sono arrivato a cinque sfide un po’ così, ogni volta con una motivazione diversa. Della Coppa America mi piace un insieme di cose: la costruzione del team, saper studiare un progetto vincente, anche gli aspetti legali”.
Dopo la quinta andrà avanti?
“Vincere la Coppa America è l’obiettivo finale della nostra quinta sfida. Per quanto mi riguarda la considero la mia ultima volta, direi che ho fatto abbastanza. Partiamo per vincere e portare la Coppa in Italia. Questo team è servito per gettare le basi del prossimo, volevamo partecipare per non perdere la continuità e fare esperienza con la velocità. Da questo punto di vista abbiamo un vantaggio sui team che si formeranno”.
C’è una autocritica da fare?
“In questi anni ci è mancato un design team con una scuola di pensiero, che poteva fare esperienza e crescere avere continuità, a volte abbiamo avuto un equipaggio molto forte ma ci è mancata la cultura del progetto”.
Tanti attacchi alla Coppa perchè c’è poco match race
“Se guardiamo al suo percorso la Coppa negli anni trenta era solo velocità, poi è stata match race. In questo momento deve essere l’uno e l’altro. Tra Oracle e New Zealand abbiamo visto belle regate anche con il match race”.
Qual’è la dote migliore di Max Sirena?
“La dote migliore di Max è che sa gestire i rapporti con i suoi collaboratori molto bene, ne capisce le logiche e li tratta in modo paritetico, tiene al gruppo.
Nel futuro della Coppa cosa vede? Cosa bisogna fare per aumentare la popolarità della vela?
“S’è capito che bisogna promuovere lo sviluppo tecnologico che resta una parte importante e fondamentale della Coppa. Poi le World Series hanno dimostrato che il pubblico può esserci e si appassiona. Bisognerà anche avere la modestia di fare una comunicazione meno elitaria, parlare a tutti in modo da spiegare che è un evento vero. Spero che non venga considerato solo l’avventura di qualche marinaio un po’ pazzo e ricco. Se saremo Challenger non vorremmo occuparci di questo aspetto che assorbe molte energie e distrae dalla vittoria. Lo stesso vale per il Defender, credo vada creato un organismo autonomo e molto dipenderà dallo sponsor della manifestazione”.
Una ultima domanda: i velisti sono stati rivestiti di casco salvagente, cintura, che impatto ha sul pubblico questo aspetto, che li fa sentire più vicini a dei combattenti e più lontani dai velisti
“ Con questo aspetto da combattenti attirano la fantasia, son vestiti così perché ci sono delle norme di sicurezza e d’altra parte succede anche in Formula Uno e in altri eventi. Il fatto che non si parla più del gentleman con la maglietta ma di uno sportivo con degli strumenti più aggressivi è interessante”.

 

La terza giornata di San Francisco, dovevano essere regata cinque e sei, è iniziata con l’ansia di una prova decisiva. Sarebbe stata infatti rivelatrice delle forze in campo, ovvero della concreta possibilità di Oracle di rimontare Emirates Team New Zealand, di difendere con successo la Coppa America (nel loro caso non si vince, si difende e questo definire i termini ha una sua importanza) per riuscire trattenerla nelle acque della California. Per tutti è ormai a mezza scaletta di un Airbus Emirates, ben chiusa nella sua valigia di pelle griffata, accompagnata dalla guardia del corpo. La Coppa non deve partire… e dopo questa terza giornata salta fuori che forse nella sterminata base di Oracle, un molo intero con cantiere e quant’altro bisognava pensarci prima. Costruire una velocità diversa, osservare meglio le api operaie che a Auckland ogni giorno mettevano un mattoncino nuovo, conquistando un decimo per volta ma anche qualche nodo. Il progresso dal momendo del varo di barca uno a oggi è impressionante: allora non passava i 35 nodi con bufera, oggi in una fase del pre-partenza ha quasi certamente bucato il muro dei 50 nodi. Peccato non ce lo dicono…
La cronaca è questa: si parte con vento di 18 nodi, per tutti è un cross over tra un modo di portare la barca e un altro. Sopra sembra che Oracle soffra meno. Dean spinge Spithill ma ancora una volta Oracle accelera bene ed è in testa alla prima boa. I kiwi inseguono restando attaccati a poche lunghezze lungo il lato di poppa. Dean Barker non molla, attaccato come un’ombra il nemico “devi navigare con loro nell’aria migliore, c’è un canale di vento forte dove bisogna star dentro, per poi attaccare dopo”.  Al cancello di poppa ETNZ arriva con otto secondi di ritardo, poi inizia la bolina, la vecchia cara andatura controvento dove di solito, nel vecchio manuale, si vincono le regate. Oracle fa manovra molto strana: ha girato la boa a sud del cancello e logica vorrebbe che usasse tutta la velocità per orzare senza perdere acqua,  ma qualcuno chiama la destra, la barca vira ed è quasi ferma, dopo pasticciano anche un po’ a nove nodi mentre New Zealand inizia la bolina senza virare ma anzi con tutta la potenza accumulata in poppa e guadagnando subito. Molti danno la colpa a Kostecki ma e pensarci bene non può essere la stessa persona ad aver chiamato prima la boa sud e poi la destra con virata, sintomo che a bordo si discute, qualcuno non crede più a Kostecki o l’errore è proprio il suo? Chi ha “over called” forse Slingby.  Difficilmente sapremo come è andata davvero. Dopo si capisce anche molto in fretta che gli americani sono molto più lenti. I kiwi sono scatenati, usano la porta aperta da Oracle per iniziare la rimonta, che dura poco. La barca neozelandese, a leggere i dati numerici è sempre più veloce di quella americana almeno due nodi e orza almeno tre gradi di più, vira meglio con una specie di rolling tack che alza subito lo scafo. Ci sono momenti in cui naviga a 27 nodi, in semi foiling, ovvero con lo scafo che si solleva appena dall’acqua per ridurre il drag (guardare le scie come cambiano) .
Oracle, che nel giorno di riposo aveva subito delle modifica, sembra un cavallo zoppo: irriconoscibile rispetto alla regata in cui l’abbiamo vista combattere e vincere. Una prestazione, ci sta anche una battuta poco generosa con i nostri eroi ma certamente tollerata, da Luna Rossa. In altre parole la regata di Oracle ne rivaluta le prestazioni. Dean Barker chiude la pratica galoppando a pancia bassa con un minuto e diciassette secondi di vantaggio sul traguardo.
Gli americani sono tra lo sconsolato e l’infuriato. Qualcuno da la colpa a quella mossa sbagliata, tuttavia sembra che la barca neozelandese sarebbe stata un brutto cliente in ogni caso. E’ sempre faster and higher. Così a bordo di Oracle decidono di sfruttare il “jolly” ovvero di chiedere il “postponement” della seconda prova del giorno dove sarebbero di certo sconfitti. Spithill salta dalla barca al gommone per parlare con Coutts a voce e non per radio o telefono. La sospensione è tempestiva e probabilmente giusta, anche attesa dai kiwi,  ma è anche un forte segno di debolezza, segno che si sono resi conto di non potere andare avanti. Sembra quasi una dichiarazione di resa. La conferenza stampa era gremita di spettatori, Patrizio Bertelli compreso in attesa di iniziare le sfilate ma interessato al prossimo Protocollo di cui sarà con ogni probabilità Challenger of Record.
Intendiamoci, può ancora succedere di tutto, ma di fronte alla forza dei nervi distesi dei neozelandesi, che oggi nel giorno di riposo faranno semplice manutenzione è un segno di nervosismo. Ray Davies, simpatico tattico dei kiwi: “se cambiano per noi è meglio, significa che stanno cercando un assetto che non hanno”. Sottintende anche che quando cambi qualcosa la devi anche provare, ed è difficile far miracoli quando gli altri ti aspettano al varco. Cosa possono cambiare? Di tutto, persone, derive, timoni. Il parterre di tattici e timonieri che possono schierare fa anche un po’ paura: da sir Ben Ainslie unico velista con quattro ori e un argento olimpici, allo stesso Russell Coutts sempre rimasto a terra ma che comunque in barca ci sa andare. James Spithill, timoniere dalle partenze fulminanti ha detto “non sono sicuro nemmeno io di essere a bordo…”. Come dire Larry Ellison può arrivare e fare una rivoluzione, come ha fatto in passato. Gli uomini nuovi li possono anche avere, ma hanno 36 ore per trovare 2,5 nodi di bolina, una impresa davvero difficile. Il programma prevede per il prossimo giovedì due regate. Il punteggio è Emirates New Zealand 4, Oracle meno uno.

Inizia sabato la edizione numero 34 della America’s Cup, regata vecchia di 162 anni, un mito. Di fronte ci saranno Oracle e Emirates Team New Zealand. Oracle è la squadra voluta da Larry Ellison, ricco da essere sempre tra i primi cinque della classifica di Forbes, ha affidato tutto a Russell Coutts lo skipper che in Coppa ha vinto più di tutti, che ha costruito un team di 120 persone e con un budget tra i 120 e i 170 milioni di dollari, usando tutte le tecnologie disponibili negli Stati Uniti per far volare, e la parola non è casuale, le sue barche. Ci sono ex ingegneri Boeing, programmi di Dassault, centri di calcolo in tutto il mondo, anche in Italia, per rifinire le prestazioni dei catamarani classe AC 72. Russell Coutts ha scelto molte cose di questa edizione della Coppa America così contestata, soprattutto di spingere verso la velocità pensando che lì stesse lo spettacolo, che in realtà non piace a tutti quelli che ricordano la tenzone medievale. C’è una larga parte di velisti che preme per una contro riforma, per il ritorno all’antico. Ma ormai la strada è segnata, la Coppa del resto ha sempre guardato il futuro, e dalla velocità difficilmente si tornerà indietro. Nel lungo percorso per arrivare a queste regate purtroppo il team di Coutts ha modificato le barche di classe Ac 45, quelle piccole che hanno corso a Venezia e Napoli, e la Giuria Internazionale ha somministrato al team alcune pene dolorose, la più grave due punti di penalità che cancelleranno le prime due vittorie, poi la squalifica di quattro velisti tra cui il regolatore della wing (la vela alare) l’olandese Dirk De Ridder. Lo skipper è il mitico James Spithill, australiano e fortissimo in match race, uno dei grandi talenti della vela contemporanea, come molti dell’equipaggio. Il challenger Emirates Team New Zealand arriva dalla vittoria della Louis Vuitton dove non ha avuto, in realtà, avversari se non Luna Rossa di Patrizio Bertelli, un buon partner che sapeva di perdere ma voleva conservare squadra ed esperienza, imparare cos’è la velocità per partire in vantaggio la prossima volta. Emirates Team New Zealand non fonda la sua partecipazione sul denaro ne sul desiderio di un tycoon di comparire: lo stile kiwi è sempre quello di spendere lo stretto necessario e di essere una squadra. Il budget è arrivato a 110 milioni di dollari, ma quelli neozelandesi, fanno circa 80 milioni di euro. La squadra in realtà è una nazionale della vela, che vuole riportare la Auld Mug in patria non solo per lo sport, ma anche per sostenere l’industria nautica che è la seconda del paese (confronto impossibile con l’Italia, dove è stata demolita). Per questo ci sono finanziamenti governativi, si dice attorno ai 40 milioni di dollari neozelandesi, e una serie di sponsor tra cui anche marchi europei, come gli orologi Omega e Skyy Vodka (gruppo Campari). A tenere insieme le cose sul piano finanziario c’è un signore di passaporto americano e nome italiano Matteo De Nora, innamorato della sportività neozelandese. Sul piano sportivo il leader è Grant Dalton, signore degli oceani, e lo skipper Dean Barker. Sono due eroi nazionali, valgono come da noi Totti e Buffon. Chi vincerà? Non c’è pronostico, i neozelandesi sono un po’ più avanti nella conduzione della barca, sono davvero determinati. Gli americani sembrano più veloci in qualche condizione e con quello che hanno speso devono esserlo. Le regate iniziano sabato attorno all’una ora locale di San Francisco, forse basteranno i primi dieci minuti per capire chi vincerà le altre prove. Per portare la Coppa a Auckland al primo piano del New Zealand Yacht Squadron, Aeteoroa deve vincere nove regate, Oracle per tenerla nel Golden Gate Yacht Club undici. Sarà una settimana difficile, veloce di sicuro.

Finalmente da San Francisco arriva un risultato chiaro: la vela ha un nuovo giovane campione. Merce rara? Si, perché la vela fa fatica a rinnovare non solo le idee, anche gli uomini. E trovare un tipo che vince facile, con la faccia pulita e serena, le infradito fa piacere. Il tipo si chiama Peter Burling, ha vinto la Red Bull Youth America’s Cup alla prima edizione con il suo equipaggio New Zealand Team, supportato da quello vero di Emirates che ha messo a disposizione le barche, i consigli, la filosofia vincente. Burling a Londra era il velista più giovane con i suoi 21 anni, ha conquistato l’argento in 49er, ha navigato in Moth. Era in equipaggio con Blair Tuke (con lui alle Olimpiadi), Jono Spurdle, Guy Endean, Andy Maloney, Sam Meech and Jason Saunders. Hanno costruito la vittoria con prime giornate di centro calssifica e due vittorie al momento di distanziare gli avversari, nella quinta e sesta prova. A completare il successo kiwi, qualcuno pensa che sia un anticipo della prossima settimana, anche il secondo arrivato dopo sette regate di flotta: Will Tiller con Full Metal Jacket Team. Al terzo posto i simpatici portoghesi di Roff Cascais Sailing Team condotto da Antonio Mello. C’erano dieci equipaggi di otto nazioni, ci avevano provato anche gli italiani Powered by Stig, troppo poco l’allenamento specifico per entrare nel pacchetto con successo e sono rimasti fuori nelle prime selezioni. Pubblico entusiasta con kiwi veri che hanno raggiunto San Francisco per fare il tifo vero con la loro dotazione di bandiere. I valori in campo, se si escludono i vincitori che hanno distanziato in punteggio il resto della flotta e non hanno dovuto vivere il patema della regata finale a punteggio doppio per eccesso di vento, erano molto equilibrati e la classifica è rimasta molto corta fino alla fine.

La classifica finale
1 NZL Sailing with ETNZ – NZL
2 Full Metal Jacket Racing – NZL
3 ROFF/Cascais Sailing Team – POR
4 Team Tilt – SUI
5 American Youth Sailing Force – USA
6 Swedish Youth Challenge -SWE
7 Objective Australia – AUS
8 Next World Energy- FRA
9 All In Racing – GER 10
USA45 Racing – USA

 

Dean Barker alla vigilia delle regate che contano. Il timoniere skipper dell’equipaggio kiwi è un ragazzo tranquillo, che per la prima volta ha preso il timone in una regata di Coppa America per battere Luna Rossa: era la quinta regata dell’edizione 2000, per mesi era stato il timoniere allenatore di Russell Coutts navigando sulla seconda barca. Era stato un passaggio di testimone, un avvicendamento che allora non tutti avevano capito, perché nessuno ancora sapeva che la decisione di Russell era di salire su Alinghi. Dean è fedele al team, e viceversa: pochi hanno messo in dubbio il suo ruolo, neanche con il cambio di barca. Dean ha imparato a “guidare” i catamarani volanti con sicurezza. Non è l’unico che ha riversato il suo talento su queste nuove macchine per regata. Il collega James Spithill dopo la penalizzazione ha affermato che “tutta la pressione è sui kiwi”, che sembrano tranquilli come al solito. La calma è la virtù dei forti.
Dean, come ti senti alla vigilia di una regata così importante?
“Il risultato è molto incerto. Questa volta più che mai la prima regata ci darà indicazioni su come andrà a finire. Sarà molto importante partire bene,come lo è stato in queste regate della Louis Vuitton Cup, cercare anche di evitare incontri ravvicinati in partenza”.
Ci sono opportunità per sorpassare l’avversario se si è dietro?
“Ci siamo allenati molto per verificare questa opportunità contro vento dove sembra più probabile riuscire. Ci possono essere delle corsie di sorpasso anche in poppa. In realtà chi è davanti ha molti vantaggi, prende subito il vento migliore. Se sei dietro alla prima boa sei costretto ad inseguire fino al cancello e sperare che qualcosa succeda li, che ci sia un errore, una opportunità”.
Vedremo tattiche di match race tradizionale?
“La corrente influisce molto di bolina e quindi bisogna essere molto cauti a non infilarsi nel flusso cercando di aprire separazione perché può essere molto dannoso. Quando si è davanti in realtà bisogna cercare di correre la propria regata cercando di estendere il proprio vantaggio, spesso è più sicuro che controllare l’avversario in modo tradizionale”.
Sono serviti gli allenamenti con Luna Rossa di questi giorni?
“Luna Rossa è stata molto utile, abbiamo fatto allenamenti partendo dietro e inseguendo dalla prima boa. Quello che ci mancava dopo le regate della Louis Vuitton Cup. E’ davvero una situazione diversa quando sei dietro. Devi tenere la regata viva, vicina e cercare l’opportunità par passare. La fortuna di Oracle è stata di avere due barche naviganti con equipaggio completo e di poter verificare tutte queste situazioni, per noi non è stato possibile fare questo allenamento”.
Sono importanti i due punti di penalità assegnati a Oracle?
“Non cambia molto, non ci rende la vita più facile: dobbiamo comunque vincere nove regate. Loro undici, è vero. Ma non guardiamo a queste cose. Adesso sentiamo tutto il supporto della Nuova Zelanda, tutta la nazione è dietro di noi e per noi vincere sull’acqua è importante, come lo è sempre stato”.

Cialtroni: non c’è altra parola per definire i “velisti” che hanno architettato il taroccamento dei due AC 45  Oracle che hanno ottenuto i risultati migliori degli altri nelle World Series. Lo sono perché l’azione, tanto per vincere le World Series di nessun interesse agonistico concreto per la Coppa, rischia di mettere in seria difficoltà Oracle nel confronto con lo sfidante New Zealand. La Giuria, più avanti la descrizione di tutte le pene previste, composta dal presidente David Tillett, John Doerr, Josje Hofland, Graham McKenzie, Bryan Willis ha salvato la reputazione dei velisti maggiori e ha mostrato di credere alle argomentazioni di sir Russell Coutts, sir Ben Ainslie, di Grant Simmer l’uomo che sembra aver dato più coerenza al progetto di Oracle dal momento del suo arrivo nel team. Coutts si dice seriamente arrabbiato: “questa cosa ci ha fatto perdere tempo prezioso negli allenamenti” e in questi giorni Oracle non ha potuto navigare con le due barche complete. Nel provvedimento si cita un Sailor X la cui identità viene tenuta segreta perché la sua posizione è stata stralciata, ma potrebbe ragionevolmente essere James Spithill che compare molto spesso nei verbali e conduceva una delle due barche incriminate. La Giuria scrive che è giusto punire il team e le persone ma che il verdetto deve essere quello delle regate perché non tutto il team era coinvolto. Non sembra del tutto realistico che sia così… però è possibile che alcuni non sapessero in un team di 120 persone. Più vero probabilmente che non sono arrivate le prove che servivano per rendere chiaro l’imbroglio. Comunque va notato che è la seconda volta che questa Giuria Internazionale che qualcuno non credeva indipendente si è mossa contro il defender senza andare troppo per il sottile e anche che queste erano più o meno le pene previste da radio banchina. A conti fatti era poco probabile che arrivasse a fermare la Coppa.
Grant Dalton pensa che comunque gli tocca vincere: “tutte queste discussioni si fanno al tavolo del bar e fanno male al nostro sport che non lo merita, sul piano pratico ci tocca pur sempre vincere nove regate”. Insomma non ci sono sconti per i kiwi, vero. Ma è andata quasi sempre così: per il bompresso di New Zealand la Giuria aveva tolto una vittoria a una regata e questo era bastato a sbandare totalmente il team che non si è più ripreso. Simile la situazione con One World pizzicato con i dati dei computer dell’edizione precedente. Diversa la situazione attuale: le regate non sono ancora cominciate, anche se i volti sono tesi e mezza stampa americana oltre al pubblico è contro il defender. Negli States imbrogliare resta una cosa grave. Gli americani si difendono affermando che pochi grammi non davano vantaggio, sarebbe vero… se non che il vero vantaggio a quanto pare era nella maggior lunghezza del kingpost che avrebbe consentito di caricare meglio la struttura e il sartiame che la tiene insieme. Secondo i maligni quello che gli stazzatori hanno trovato è solo quello che era stato dimenticato nel rimettere le barche in stazza. C’era dell’altro, ma non si sono trovate le prove. Oracle insomma è in regata e i due punti cambieranno la storia se le Oracle e Aotearoa mostreranno prestazioni simili, a dire il vero ci credono in pochi e a San Francisco tutti pensano che presto scopriremo il più veloce che comunque dominerà le regate. La storia è sempre quella: dalla parte americana ci sono le ricerche dell’industria aeronautica, servite nel 2010. Da quella kiwi l’esperienza e la solidità del team. Sono cinque i velisti sanzionati secondo la regola 69, sono il giovane Kyle Langford che se la cava con una tirata di orecchi stile “non farlo più”, l’australiano Bryce Ruthenberg dello shore team che viene sospeso dalla Coppa ma la stessa Giuria raccomanda la Federazione Australiana di non procedere oltre perché si è pentito e ha collaborato. Il kiwi Matt Mitchell è sospeso da quattro regate di Coppa e anche per lui è considerato sufficiente il provvedimento. Più duro il giudizio nei confronti di Andrew Andy Walker sospeso con raccomandazione alla Isaf o alla federazione neozelandese di prendere ulteriori provvedimenti. L’olandese Dirk De Ridder è l’uomo più importante tra i sospesi dalla Coppa, regolatore della wing sulla barca titolare anche qui la Giuria chiede agli organismi nazionali e internazionali di intervenire. Secondo il collega Glen Ashby la sua perdita per il team può avere un peso psicologico ma non rallentare di molto la barca “Dirk è bravo e il suo è un ruolo chiave, ma io credo che possa essere sostituito da Kyle Langford e passargli tutto quel che serve”. Per quanto riguarda il Team e il procedimento secondo la regola 60 del Protocollo la Giuria applica le penalità previste dal punto 15 sempre del Protocollo e sanziona Oracle con la perdita di due vittorie: significa in pratica che i primi due eventuali punti vengono cancellati. Questo ha posto subito un problema: se gli americani conquistano dieci vittorie (8 punti) e i kiwi 7 non ci sono virtualmente più regate nel programma per arrivare a nove punti. Non è chiaro se nel caso si arrivi a questa situazione, che a tutti sembra un po’ difficile, sarà allungato il programma. Oltre ai due punti ci sono le multe in denaro che devono essere pagate prima dell’inizio delle regate. 125 mila dollari vanno alla fondazione istituita a nome di Andrew “Bart” Simpson per aiutare i giovani velisti e altri 125 mila vanno a una istituzione benefica scelta dal Sindaco di San Francisco, che non ha mai amato Larry Ellison e Oracle per il suo desiderio di entrare in possesso di una vasta area dei docks, con la scusa della Coppa America, per alcuni decenni.

I documenti, per chi ha voglia di leggere

http://noticeboard.americascup.com/wp-content/uploads/2011/08/JN117.pdf

http://noticeboard.americascup.com/wp-content/uploads/2011/08/JN116.pdf

 

Max Sirena dopo la conclusione delle finali Louis Vuitton Cup: un ragazzo di 40 anni sereno, comunque soddisfatto del risultato, pronto a ricominciare. Il primo passo è allenare New Zealand, consentirle di verificare le modifiche che hanno fatto in questi giorni. Poi in acqua: raramente, nelle ultime edizioni, il risultato delle regate è stato meno prevedibile: se si esclude la edizione del 2010, che qualche incertezza l’ha proposta, la barca predestinata più o meno era nota, visibile. Tra Aotearoa (nome Maori della Nuova Zelanda), che si è sempre apparsa imprendibile, e Oracle di cui sappiamo molto meno, potrebbero esserci sorprese. Ma quel che conta è che si prepara la quinta Luna Rossa: Patrizio Bertelli lo ha confermato il giorno dell’ultima regata.
Max, Patrizio Bertelli ha già confermato la partecipazione di Luna Rossa alla prossima Coppa America. Cosa hai imparato da questa campagna che userai nella prossima?
“La considero una partecipazione positiva, per come siamo partiti e l’avevamo impostata. Adesso devo riflettere sugli errori che abbiamo fatto e farne tesoro”.
Forse più che di errori concreti bisogna parlare di tempo mancato.
“Io sono molto cattivo con me stesso, faccio molta autocritica e mi piace prendermi le colpe e gestire le critiche che ricevo da parte di tutti. Ci è mancato il tempo, lo sapevamo bene e non posso usare sempre questa come scusante, sicuramente quattro mesi di sviluppo in più ci avrebbero fatto bene”.
C’è un particolare che potevate sviluppare meglio? Le derive, le manovre?
“Sapevamo bene che Emirates Team New Zealand sarebbe stato imprendibile, impensabile battere un team che è partito prima di noi e ha costruito due barche. Abbiamo battuto in semifinale un team come Artemis che sulla carta è strafavorito per la Coppa. Se posso fare un paragone è un po’ come chiedere a Valentino Rossi con la moto dell’anno prima di battere Lorenzo. Posso aver deluso molti in Italia e va anche bene così, mi rendo conto di quel che può pensare il pubblico, bisogna essere realisti. Io credo che il gruppo abbia fatto un buon lavoro e che saremo molto forti nella prossima campagna”.
E’ giusto dire che siete diventati soprattutto una squadra e che questo era l’obiettivo di questa partecipazione?
“Si, l’obiettivo di questa sfida era quello di creare un gruppo forte, non costruito sui grandi nomi ma nel suo complesso. Abbiamo iniziato a navigare per la prima volta come team nel Ac 45 e dopo due mesi abbiamo vinto un evento. Poi (dopo il ritiro di Oracle per le irregolarità di stazza ndr) ci hanno nominato anche vincitori del circuito delle World Series. Qualche soddisfazione ce la siamo tolta, ampiamente e forse anche in maniera inaspettata. Il gioco è cambiato quando abbiamo iniziato a navigare con gli AC 72. Del resto non sono io a dirlo, puoi avere tutti i soldi che vuoi ma l’unica cosa che non si può comprare in Coppa America è il tempo. L’obiettivo principale era creare un gruppo forte per partire forti per la prossima sfida”.