Luna Rossa brilla nell’ultimo giorno delle World Series dell’America’s Cup. L’equipaggio di Piranha infatti con Chris Draper al timone e Francesco “Checco” Bruni alla tattica ha vinto l’ultima regata di flotta, che portava cinque volte i punti delle altre, e si è aggiudica la tappa di Napoli delle World Series. Lo skipper Max Sirena, che naviga sull’altra barca in gara, Swordfish, è soddisfatto “abbiamo dimostrato agli avversari che pur avendo cominciato da ultimi siamo già in regata, con un equipaggio senza prime donne, equilibrato e solido”. Anche il patron Patrizio Bertelli è contento “non è un caso che Oracle sia secondo, li abbiamo già battuti a Valencia è quello il loro posto”. Un tonfo i migliori fino al giorno prima, i kiwi di Emirates Team New Zealand che trattengono un terzo posto che non li appaga di certo. Luna Rossa era al debutto in regata dopo il lancio della quarta sfida di Patrizio Bertelli: la seconda con sponsor unico Prada, con un investimento dichiarato di 40 milioni di euro, e la sua prestazione è davvero interessante anche se bisogna dire che Chris Draper era molto bravo anche con Team Korea, la sua è una conferma. Il migliore nella classifica match race è lo svedese Artemis, davanti a Luna Rossa Swordfish che ha vinto la semifinale e testimonia ancora la solidità della squadra. Fin qui lo sport, e Napoli non è stato solo grande spettacolo con la velocità dei catamarani ad ala rigida: era una verifica di come può essere la prossima Coppa e di come possono andare le cose sul piano della grande regata. Qui la situazione è un poco diversa. La città di Napoli ha finito per accendere la discussione con l’organizzazione americana che ha tagliato il programma di regate togliendo il week end iniziale. Il direttore dell’evento Iain Murray, buon velista australiano, ha affermato che lo schema di regate per gli altri eventi sarà il medesimo: solo quattro giorni a ridosso del week end. Questo non accontenta i napoletani e soprattutto il sindaco Luigi de Magistris che ha investito per portare la Coppa America a Napoli cinque milioni di euro. Al di là del successo della manifestazione, che ha raccolto fino a 200 mila persone in via Caracciolo nonostante la pioggia e che ha offerto della città un panorama ben diverso da quello legato alla spazzatura, il programma era più esteso. Forse c’è stato un eccesso di fiducia nel firmare i contratti con Acea (America’s Cup Event Authority) che ha lasciato questo margine di manovra agli organizzatori delle regate. A Napoli mancano molte cose, anche gli spot televisivi mancati sulla città. In più ci si è messo il maltempo, una dichiarazione della Protezione Civile, che ha previsto alcune ore di vento molto forte, ha paralizzato qualsiasi decisione di mandare in mare le barche. Un eccesso di prudenza? Beh, il primo giorno di regate è stato sicuramente più duro di come poteva essere sabato, con il vento in calo. Poteva essere un ragionevole pomeriggio di regate, ma senza televisione è stato considerato inutile lo sforzo di allestire il campo. Prima la Televisione era un particolare, le regate prima di tutto. Adesso senza Tv non si regata, le regate della vecchia Coppa erano uno stillicidio di attese, adesso no. Il problema dei giorni di regata ristretti si pone anche per Venezia che si aspetta un programma più sostanzioso dopo che gli americani hanno anche molto insistito per regatare all’interno del bacino di San Marco. Il sindaco Giorgio Orsoni (il primo a confermare un evento in Italia, ma l’investimento non è noto) era a Napoli proprio per perfezionare queste trattative e il programma dell’evento di maggio e in un certo senso dare man forte al sindaco di Napoli. L’anno prossimo infatti di torna a Napoli e Venezia e le due città vogliono un po’ di più, assieme a Newport, che ha una lunga tradizione di Coppa America, sono le uniche nel mondo che hanno voluto investire, proprio per questo si aspettano un trattamento perlomeno un poco speciale. Succede anche che stanno per cadere molte teste in campo americano, dopo queste regate resteranno a casa in 28 e la mancanza di Russell Coutts, il Ceo di Oracle Racing, in Italia è stata vista come un sintomo del fatto che anche lui potrebbe aver scontentato il patron Larry Ellison: il quinto della classifica di Forbes tra i più ricchi del mondo pare un poco annoiato di come vanno le cose. Voleva la più grande edizione della Coppa per superare quella di Valencia 2007 e si trova solo tre sfidanti veri, Luna Rossa, Emirates Team New Zealand e Artemis più uno fantoccio, Team Energy di Loick Peyron cui arriva uno sponsor da 15 milioni molto amico degli americani, con anche il progetto pronto per costruire la barca. Troppo poco anche in tempo di crisi, un risultato anche della mancanza di programmi concreti che possano piacere agli sponsor. Non sono pochi i sindacati che hanno iniziato a lavorare per partecipare e che si sono trovati in difficoltà perchè non esisteva un programma credibile e definito delle regate. Per lui continuare a investire sull’evento sarebbe molto facile, ma non lo fa. Alla luce di quanto succede il ritiro di Mascalzone Latino, che aveva il ruolo di Challenger of Record, pare più che una decisione improvvisa, forse c’era già la visione che qualcosa non funzionava.
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Il tempo sulla Coppa America è inglese, oggi sul lungomare Caracciolo sembrava di essere a Cowes, isola di Wight, luogo di nascita della Coppa America: pioggia, vento a raffiche, grigiore. Ombre lontane. Previsioni del tempo drammatiche per la notte che hanno suggerito all’organizzazione di portare tutti i catamarani a terra e smontare le ali rigide per non correre rischi. Per fortuna tra uno scroscio di pioggia e l’altro il programma di regate è andato avanti, anche se partito con ritardo. Succede così che le due Luna Rossa sabato saranno impegnate nelle semifinali di match race. Luna Rossa Piranha di Chris Draper incontrerà Oracle Racing di Bundock mentre Luna Rossa Swordfish se la dovrà vedere con Artemis di Terry Hutchinsons. I grandi favoriti invece sono ormai fuori dalla match race: sia Oracle di James Spithill, sia Emirates Team New Zealand di Dean Barker sono infatti esclusi anche se restano in testa alla classifica della fleet race. Luna Rossa Piranha era già qualificata e Luna Rossa Swordfish ha battuto i francesi di Team Energy con il vento che calava fino quasi a morire in una regata dove fino alla fine tutto poteva cambiare. Nelle due regate di flotta I neozelandesi sono stati protagonisti di disastro ma anche di una regata magistrale, con una rimonta continua che ha fatto capire a tutti quanto siano preparati e riescano a sostenere la velocità della barca. Per il week end si attende il pubblico dei giorni migliori, mentre il sindaco annuncia che vorrebbe lasciare via Caracciolo chiusa al traffico per sempre, si attende, sempre che il sole si faccia vedere, una invasione. Da questo punto di vista le regate sono un successo, è raro vedere tanta gente interessarsi di vela, fare domande anche un po’ sciocche ma comunque che testimoniano un interesse, una curiosità.
Il Golfo protesta: a parole le World Series della America’s Cup sono un grande spettacolo per la città di Napoli, che la porta lontano dall’immagine legata alle montagne di spazzatura che periodicamente la invadono, sintomo di un malessere molto profondo. Partecipano i grandi della vela: ieri sotto un cielo grigio e piovoso hanno vinto James Spithill con Oracle e Dean Barker con Emirates Team New Zealand. Luna Rossa ha debuttato per la quarta sfida di Patrizio Bertelli (solo il barone Bich, Aland Bond e Thomas Lipton hanno fatto quanto lui) finendo a centro classifica, con le sue due barche Piranha e Swordfish portate dai giovanissimi Chris Draper e Paul Campbell James, nomi che dovremo imparare nei prossimi mesi. L’eccitazione, i saluti sono quelli soliti della Coppa America. Ma dopo la prima impressione e il piacere di ritrovarsi in famiglia ci ripensi cominci a riflettere sul fatto che siamo tanto sul virtuale e poco sull’evento. Dovrebbe essere un circuito di preparazione alla Coppa, un amplificatore di interesse per la vela, ma lo è davvero? Insomma, non tutto quello che si vede in acqua è quello che era stato promesso sul depliant, fin dalle prime conferenze di presentazione della Nuova Coppa. La scelta di usare i catamarani (adesso gli AC 45 lunghi tredici metri, a San Francisco nel 2013 gli Ac 72 da ventuno metri) ha fatto fare un salto di generazione a equipaggi e spettacolo, però mancano quella decina di eventi promessi per quest’anno e i dieci veri sfidanti di cui si favoleggiava. Quelli veri che saranno nelle Louis Vuitton Cup (regata selezione sfidanti) l’anno prossimo sono solo tre: Emirates Team New Zealand, Luna Rossa e Artemis. Da anni il massimo trofeo velico non era così depresso. Gli organizzatori americani sono partiti con grandi ambizioni ma il licenziamento di Richard Worth (inventore della Champions League) che doveva farne il più grande evento della vela di tutti i tempi dichiara il loro insuccesso. E’ colpa della crisi mondiale? Non solo, il programma era troppo ambizioso e costruito con poco realismo sulla capacità del mercato pubblicitario di assecondare il nuovo formato e le continue incertezze sul programma. Da qui in poi non può succedere molto: ai tre sfidanti si aggiungono alcuni partecipanti al circuito degli Ac 45 come il francese Energy Team, o Team Korea o ancora China Team. I cat sono belli da vedere, complicati da usare, uno degli esempi più concreti di come si debba andare in barca con doti atletiche e tecniche (non hanno strumenti elettronici) e fare spettacolo: le immagini da bordo sono fantastiche. Per questo meritano una sufficienza di incoraggiamento. Napoli è il primo dei quattro eventi dell’anno: gli altri saranno Venezia,San Francisco e Newport. Per questioni di budget il programma è stato ristretto, come (si dice) sarà a Venezia: ogni giorno di regata costa caro, ma è costato caro anche alla città, per cui l’investimento non è cambiato. Altri problemi? La produzione televisiva rinuncerà alla parte migliore, quella delle match race finali per non dover alzare in volo due elicotteri. La domanda resta: questa è vera Coppa America?
Patrizio Bertelli ha presentato a Palermo nella sede del Circolo della Vela Sicilia la sua quarta Luna Rossa, a fare tanto sono stati pochi nella storia del grande evento velico: cinque sfide con Shamrock per Thomas Lipton, il droghiere del re. Quattro per il barone Bich e l’australiano Alan Bond, che al suo quarto assalto riuscì finalmente nella storica edizione del 1983 a portare la Coppa in Australia. Quattro volte è tanto, è il sintomo di una passione forte e quasi inesauribile. Al punto che nel corso della conferenza stampa di presentazione della sua nuova avventura Bertelli ha fatto capire che la sua non è una sola sfida, ma che questo è un programma per arrivare fortissimi alla edizione successiva, che potrebbe essere nel 2015 o 2016. Il team della nuova Luna Rossa è un mix di “senatori” come lo skipper Max Sirena, che continua a navigare anche sugli AC 45, il responsabile della costruzione dello scafo Matteo Plazzi (già navigatore di Bmw Oracle) l’allenatore Stevie Erikson, il senior designer Roberto Biscontini. I timonieri sono i giovanissimi Paul Campbel Jones e Chris Draper che condurranno gli AC 45 fin dalle regate di Napoli. Bertelli è a suo agio nel presentare la quarta sfida, davanti a un pubblico che per lui è quasi una famiglia. Il punto forte della sfida è l’alleanza con Emirates Team New Zealand, con cui condivide il progetto della barca. Luna Rossa ha sostanzialmente pagato la metà delle ore lavoro che sono state impiegate finora dal grande team dei progettisti kiwi: una trentina di persone che lavorano da più di un anno al catamarano con vela alare rigida. Un buon compromesso che porta risorse a tutte e due le squadre. Le prime regate saranno a Napoli la prossima settimana. Come nel 2000 Luna Rossa avrà solo lo sponsor di Prada più qualche semplice partecipazione tecnica.
Come mai ha deciso di partecipare a questa edizione della Coppa?
“E’ una decisione che avevamo rinviato, pensavamo di non poter essere competitivi. Poi la possibilità di stringere una alleanza con Emirates Team New Zealand mi ha portato alla decisione di partecipare. Condividendo il design che loro avevano sviluppato abbiamo all’istante guadagnato tempo e competitività. Gli americani avevano pensato alla possibilità di collaborare al design tra team diversi per favorire la partecipazione delle squadre più deboli ma l’unione di due forti e storici, che di solito tengono ai loro segreti, credo li abbia presi di sorpresa”.
Quale è il suo obiettivo?
“Siamo partiti in ritardo e stiamo lavorando molto. Il team è nuovo con qualche senatore che viene dalla precedenti sfide. I cat sono molto diversi dai monoscafi, tuttavia il nostro obiettivo è di arrivare alla finale della Louis Vuitton Cup assieme a Emirates Team New Zealand… con tanti saluti a Paul Cayard e al suo Artemis”. Quanto è il vostro budget?
“E’ di circa 40 milioni di euro. In realtà nella storia non c’è mai stata una corrispondenza diretta tra i soldi spesi e la vittoria. Nel 95 a San Diego i neozelandesi con un budget ridotto hanno vinto. Costruiremo una sola barca, ci siamo detti che non era possibile partecipare a una Coppa successiva senza una esperienza diretta con i catamarani. Il nostro è un progetto per due edizioni”.
Quanto ha perso la Coppa America dopo le dispute legali tra Alinghi e Bmw Oracle?
“Queste cose sono insite nella storia della Coppa. E’ successo altre volte. Sono convinto però che si potesse gestire diversamente, in tempi e modi diversi, ricomponendo la lite a beneficio di tutti. La crisi finanziaria mondiale ha portato a una sommatoria di cause negative. Mi ha molto offeso che il Challenger of Record italiano si sia ritirato: in tutta la storia della Coppa non era mai successo. Io esporto l’85% della produzione, facciamo prodotti seri e non mi piace che l’immagine della nostra Italia sia sempre confusa con questa incertezza fatta di spaghetti e fantasia”.
Cosa pensa dei catamarani con cui si correrà la prossima Coppa?
“Come velista mi piacciono molto, sono curioso. Su quei grandi gli Ac72 però non salirò: sono troppo pericolosi, velocità troppo alte. Non solo puoi cadere in mare, se si ribaltano cadi dentro la vela e ti fai male. In ogni caso è un esperimento che andava fatto, poi scopriremo se sarà un successo o no. Al momento penso che non c’è emulazione, i velisti non possono rispecchiarsi, non c’è affinità con la vela di tutti i giorni. Vedremo”.
Oracle ha speso 400 milioni di dollari contro i 250 di Alinghi per vincere nel 2010 disputando due regate.
“Beh, anche questa è Coppa America. Noi nel 2007 li abbiamo battuti sonoramente e poi per vincere nel 2010 hanno assunto 28 persone che erano con me. Timoniere compreso. Noi sappiamo fare squadra, questa è la nostra forza. Se guardo indietro la nostra organizzazione e le persone sono state sempre più forti delle barche che abbiamo costruito: siamo sempre stati più forti nella parte velistica che in quella progettuale”.
Cosa pensa della possibilità che la Coppa venga disputata con i piccoli AC 45? “Se verrà presa una decisione del genere, che non credo sia possibile, non parteciperemo alla Coppa America e chiederemo i danni. Non si possono fare questi giochetti”.
La Coppa delle cento Ghinee è una brocca forgiata nel 1848 in due esemplari (si dice) nei laboratori londinesi di Garrard, i gioiellieri della regina Vittoria. Una delle due nel 1851 è stata il premio per una regata che ha visto la goletta America sfidare un certo numero di yacht inglesi nel Solent. La esile goletta, discendente diretta delle barche da pesca dei banchi di Terranova, battè senza pietà navigando attorno all’isola di Wight e sotto gli occhi della regina imperatrice le migliori barche inglesi, molte delle quali navigavano complete di caminetti, tappeti e arredi. Pare che il leggendario “maestà non vi è secondo” non sia mai stato pronunciato dal valletto: ma è servito molto a illustrare la magia della regata e la distanza che separava l’America dal resto dei concorrenti. La goletta, che in seguito ha navigato anche come nave militare, costava più o meno l’equivalente di 500 mila euro attuali. Quella sfida, avvenuta nell’anno di una importante esposizione universale, è stata l’inizio di una delle più belle leggende dello sport. Mostrava già una sua valenza simbolica: gli uomini del nuovo mondo, in arrivo dalle colonie erano riusciti a battere con quattro soldi e le loro idee la più grande potenza industriale e marittima del mondo. Quella Coppa diventa America negli anni 70 dell’ottocento attraverso un atto di donazione, Deed of Gift, che ne sancisce alcune regole fondamentali che, nel bene e nel male, le hanno consentito di restare il più antico trofeo dello sport internazionale che si disputa senza interruzioni. Nel 1983, quando Alan Bond (uno dei grandi rider degli anni ottanta, che dopo un grande successo e aver comprato i girasoli di Van Gogh ha fatto bancarotta) con un manipolo di australiani istigati da John Bertrand ha strappato la Coppa agli “imperatori” del New York Yacht Club che se la tenevano stretta da 132 anni. E’ stato proprio quell’anno che l’Italia ha scoperto tutta la leggenda della Coppa. Lo Yacht Club Costa Smeralda aveva lanciato la prima sfida italiana con Azzurra, che riuscì a battersi bene con i migliori: skipper Cino Ricci, timoniere Mauro Pelaschier. Sostenitori sono l’avvocato Gianni Agnelli e s.a. Karim Aga Khan. La sfida italiana è un indicatore anche di salute economica: essere accettati nel tempo del capitalismo anglo sassone, ha un peso. E non è un caso che un anno prima l’Italia di Zoff abbia vinto uno storico campionato del mondo di calcio. La Coppa dopo quello storico primo viaggio verso l’Australia ha viaggiato ancora. L’hanno rivinta gli americani con una storica impresa di Dennis Conner, poi i neozelandesi con sir Peter Blake e una squadra di invincibili. Nel 2003 l’imprenditore svizzero Ernesto Bertarelli riesce nella storica impresa di riportarla in Europa con il suo Alinghi. La sua vittoria è in parte ancora neozelandese, il nucleo centrale dell’equipaggio è di bandiera neozelandese ma ci sono uomini forti da tutto il mondo. Due per tutti: il timoniere ingegnere Russell Coutts, nato a Wellington, e Jochen Schumann, un atleta di Berlino che ha cominciato a navigare con la maglia grigia della DDR e ha vinto quattro medaglie alle Olimpiadi. Sono anni in cui la vecchia Europa è forte e centrale: per la prima volta le tasse di iscrizione sono in Euro. Per chi si è incuriosito sulle vicende del trofeo: sembra che il secondo esemplare del più antico trofeo internazionale dello sport sia finito sul caminetto di Ted Turner, l’armatore timoniere che aveva vinto nel settantasette prima di inventare la CNN. O sul suo caminetto è finita la Coppa originale e quella che circola è una copia? Certo è che il trofeo è stato riparato nel 98 dopo che un maori lo aveva preso a martellate nella sede del Royal New Zealand Yacht Squadron. Siamo abituati a pensare che vince chi ci mette più soldi e che la Coppa è una faccenda soprattutto mondana. E’ certamente vero che nel tempo sono stati i personaggi più ricchi e potenti del mondo ad essere incuriositi, e qualcuno si è rovinato la reputazione finendo per essere un eterno sconfitto come Thomas Lipton, Thomas Sopwith, Marcel Bich l’uomo diventato barone comprando un castello in rovina della Val D’Aosta. Ma è anche vero che è sempre stato uno scontro tra uomini e idee, prima che l’esibizione di potenza economica. La Coppa è una sfida dove i denari servono ad alimentare le idee. Il più ricco dell’inverno 2003, Larry Ellison di Team Oracle, se non avesse avuto la cattiva idea di mettere a riposo Paul Cayard per una questione di gelosia e protagonismo forse avrebbe fatto un po’ più del solletico ad Alinghi che invece le idee le aveva tutte buone. E non ha fatto meglio nel 2007 con Chris Dickson quando in semifinale è finito in ginocchio davanti a Luna Rossa. Solo nel 2010 dopo una lunga battaglia legale (la seconda della storia dopo quella dell’88) il suo trimarano BMW Oracle ha battuto Alinghi e riportato la Coppa in America. Nel 95 la vittoria dei neozelandesi a San Diego è diventato un caso universitario di “team building”: non avevano moltissimi soldi, ma un planning formidabile ed erano esperti del gioco. E’ un po’ un peccato che l’aspetto mondano prevarichi quello sportivo e tecnico: c’è molto da scoprire nelle storie e nel lavoro di queste squadre di squadre. Ci sono uomini, protagonisti. Gli italiani dopo la sfida di Azzurra ci hanno provato altre volte. Nell’87 a Perth in Australia c’erano una nuova Azzurra e Italia, condotta dai fratelli Chieffi. Nel 92 la grande sfida del Moro di Venezia, Raul Gardini mette insieme un team molto forte, con skipper e timoniere Paul Cayard, le regate diventano televisive e per la prima volta una barca italiana conquista la Louis Vuitton Cup e vince una regata contro il Defender America Cubed di Bill Koch in una delle edizioni più dispendiose. Challenger e Defender costruiscono cinque scafi, si spiano. Koch e Gardini si odiavano cordialmente e da giocatori di poker hanno affermato di spendere molto più di quello che in realtà è stato messo in campo. Koch scrisse anche un intero libro per screditare il nemico riportando cifre astronomiche a cui molti hanno creduto. Una delle armi vincenti di Koch è stata una pinna di deriva costruita poco prima delle regate, perché era convinto di perdere. Nel 2000 è arrivata Luna Rossa di Patrizio Bertelli, grande appassionato di Coppa e vela. Anche la sua Luna vince la Louis Vuitton Cup ma poi deve cedere contro i neozelandesi fortissimi. Luna Rossa partecipa nel 2003 e nel 2007 prima di lanciare una nuova sfida per il 2013. Nel 2003 lancia la sua prima sfida anche Mascalzone Latino, voluto dall’armatore napoletano Vincenzo Onorato con il guidone del Reale Yacht Club Canottieri Savoia. Dopo una edizione in cui porta a casa esperienze importanti Mascalzone si presenta anche nel 2007, con due barche rapide che si fanno notare. Nel 2007 si presenta anche +39, sindacato con equipaggio di olimpionici che si scontra subito con una sostanziale mancanza di fondi. Nel 2010 Mascalzone Latino diventa Challenger of Record, ovvero primo tra gli sfidanti, dopo la vittoria di Bmw Oracle. Dopo alcuni mesi tuttavia Onorato rinuncia al ruolo prestigioso che viene preso da Artemis.
Arrivano i primi nomi del prossimo team di Luna Rossa. Una squadra di osservatori sarà infatti presente a San Diego durante le regate dedicate agli AC 45 nell’ambito dell’ America’s Cup World Series. La mossa è preliminare alla partecipazione alla stagione 2012 che vedrà il debutto del team e ovviamente prendere contatto con gli avversari e “alleati” di Emirates Team New Zealand. Lo skipper è Max Sirena, il suo ruolo, che era abbastanza chiaro, viene comunicato ufficialmente per la prima volta. Sirena ha partecipato alle tre campagne di Luna Rossa ed era responsabile dell’ala rigida di Bmw Oracle che ha vinto la Coppa America nel 2010. Il sailing team è in gran parte quello che partecipa alle regate degli Extreme 40 e che al momento è in testa alla classifica. Il timoniere per l’AC 45 è il giovane e molto bravo inglese Paul Campbel Jones, che ha un breve ma intenso passato sui catamarani. Altri nomi del sailing team hanno un curriculum più pesante, come Matteo Plazzi, altro veterano di Luna Rossa, anche lui vincitore della Coppa America nel 2010: su Bmw Oracle era navigatore. Steve Erickson è già stato in Luna Rossa, il suo inizio è a bordo del Moro di Venezia e come prodiere della Star di Paul Cayard. Curriculm lungo anche per Ben Durham e Manuel Modena. Altri giovani sono David Carr, , Nick Hutton, , Alister Richardson. Nel design team segnalato Roberto Biscontini, uno dei più preparati fluidodinamici italiani, che ha fatto parte di numerose campagne di Coppa America l’esperto di catamarani Thomas Gaveriaux e Giorgio Provinciali, ingegnere aeronautico esperto di catamarani e veterano di Luna Rossa. Responsabile delle operazioni è il fedelissimo di Patrizio Bertelli Antonio Marrai, alla quarta Luna Rossa.
La sfida di Luna Rossa per la America’s Cup edizione 34, lanciata attraverso il Circolo della Vela Sicilia di Palermo, è stata accettata dal Golden Gate Yacht Club, ovvero da Larry Ellison e Oracle. Per Patrizio Bertelli e le sue Luna Rossa è la quarta volta: come il barone Bich con i suoi France, altro indomito e appassionato personaggio. E, va detto, decisamente meno bravo anche se importante per l’evento, sua l’invenzione delle regate di selezione sfidanti poi divenute Louis Vuitton Cup. Ma la notizia forte, sulle intenzioni di Bertelli ormai non c’erano più dubbi, è che Luna Rossa e Emirates Team New Zealand, più volte protagonisti di sanguinosi duelli, faranno molta strada insieme perché sfrutteranno in pieno la possibilità offerta dal Protocollo di condividere il design. Per Luna Rossa significa all’istante entrare in possesso delle esperienze fatte dal team neozelandese in molti mesi dedicati alla progettazione, i nostri insomma non partono da zero. Un “regalo” che presuppone una forte contropartita. Una parte sta nella possibilità, preziosa anche per i kiwi che intuiscono di non poter battere da soli gli americani, di progredire più rapidamente insieme soprattutto nelle prove e allenamenti in mare. Luna Rossa infatti aprirà presto una base a Auckland per gli allenamenti comuni, l’accordo è di collaborare fino a dicembre 2012. Dice Patrizio Bertelli: “Sono certo che la collaborazione di Luna Rossa con Emirates Team New Zealand darà ottimi risultati, consentendo a entrambi i team uno sviluppo più rapido ed efficace sia sul piano tecnico che sul piano sportivo. La scelta del Circolo della Vela Sicilia come yacht club sfidante è anch’essa significativa: ritengo infatti importante, in un momento come questo, sottolineare l’unità del nostro paese anche sul piano culturale e sportivo”. Le norme previste per la nazionalità di costruzione sono abbastanza labili e relative al minimo consentito a restare nelle richieste del famoso Deed of Gift, dunque in Italia saranno costruiti gli scafi del catamarano Ac 72 e tutto il resto(strutture e completamenti) sarà fatto in Nuova Zelanda sfruttando il cantiere già operativo. Le prime due barche dei team sarannno identiche in tutto, i kiwi prevedono un secondo scafo. Per Luna Rossa non ci sono intenzioni chiare, ma è chiaro che la possibilità di un secondo scafo resta aperta, soprattutto se ai 40 milioni chiesti a Prada se ne potranno aggiungere altri di altri sponsori. E’ giusto pensare che a Luna Rossa sia stato richiesto anche un corrispettivo economico (per esempio il valore della seconda barca che ETNZ forse non avrebbe potuto costruire con il suo budget). E’ difficile dare un valore al design, soprattutto in questo caso, perché comunque mancherebbe il tempo per poter lavorare in maniera produttiva, anche con uno stuolo di ingegneri e scienziati. I neozelandesi lavorano al progetto da quando sono note le regole, più di un anno, e sono sostanzialmente pronti a iniziare la costruzione. Varare prima degli altri è sempre stato un punto fermo della loro filosofia, certi che sviluppare e mettere a punto la barca è meglio che usare il tempo per il design. Nella potenziale merce di scambio resta da tener presente la buona industria aeronautica italiana, da cui possono venire dati utili per l’ala rigida, che al momento è ancora molto acerba. L’ala di Stars & Stripes 88 era quasi più complessa di quella di BMW Oracle, che ha puntato più che altro sulle giuste proporzioni.
Luna Rossa e Emirates sono stati leali avversari sia nel 2000, quando The Silver Bullet (soprannome della barca targata Prada) vinse le regate di selezione e si presentò come sfidante, sia nel 2007, quando erano di fronte per la finale sfidanti a Valencia. Team New Zealand è sostenuto da un appassionato imprenditore italiano, Matteo De Nora che ha propiziato questo accordo con Bertelli. De Nora ha interessi in Nuova Zelanda, dove risiede alcuni mesi l’anno. Grant Dalton, skipper dalla tempra molto dura, offre una chiave interessante per leggere questo accordo: “La collaborazione con Luna Rossa rappresenta per noi un ulteriore passo verso l’obiettivo, a lungo termine, di dare al nostro team anche un ruolo di fornitore di tecnologie e servizi di altissimo livello,con lo scopo di sottolineare l’eccellenza e la competenza neozelandese nel campo della nautica”. Per Luna Rossa, che inizierà subito a regatare con il catamarano piccolo AC 45 nelle World Series il comandante, la notizia non è ancora ufficiale, è Max Sirena, un veterano che ha partecipato anche alla sfida vincente di Bmw Oracle del 2010 come responsabile dell’ala.
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