Articoli

Questo articolo rivisto e riletto dopo qualche mese dai fatti e dopo tutto quello che è successo fa un certo effetto. Da qui in poi infatti saranno davvero pochi gli ospiti ammessi a bordo degli AC 72. Adesso mi chiedo se “dovevo” aver paura, idea che non mi ha sfiorato per un secondo nelle ore passate a bordo nel mitico Golfo di Hauraki. Forse perché  ho visto la sicurezza dell’equipaggio kiwi ed ero seduto di fianco a Glenn Ashby. Sono convinto che quello che è successo a Andrew Simpson è stato anche, come dice Max Sirena, il frutto di una catena di eventi che prendono anche il nome di sfiga. Brad Butterworth afferma che una morte “in porto” è inaccettabile e ha ragione. Un conto è perdersi a Capo Horn, altro a centianaia di metri da riva, con attorno i gommoni.
Comunque questo è il resoconto a caldo di una giornata di ottobre passata a bordo di ETNZ AC 72.

E’ stato incredibile, una giornata da ricordare… a poche ore dal varo di Luna Rossa a Auckland mi sarei contentato di seguire New Zealand dal gommone, vederla navigare da fuori. Invece mi hanno invitato a bordo e per un regalo vero per cui è bastato un Sms di Warren Douglas, ufficio stampa ETNZ.  Questa confidenza oltre tutto è stata il sintomo di un cambiamento radicale del grado di protezione dei segreti nel design preteso dai team: chi non ricorda i tempi delle barche protette dai teloni, cui era impossibile avvicinarsi pena essere malmenati da qualche energumeno. Invece è stato facile, certo i kiwi mi conoscono da anni, ma questo non sarebbe certo bastato, in altri tempi se non per essere invitato a una festa di fine regate. Ho già navigato con i silenziosi kiwi, un equipaggio tanto diverso in regata da ogni altro, a loro bastano poche parole a prendere le decisioni più gravi. Anzi sguardi: Barker muove la testa e tutti corrono per la virata. Questa grande nazionale della vela neozelandese pianta le radici nella lontana sfida di New Zealand per l’edizione ’87 a Perth Australia, la barca di plastica, passa attraverso la grande vittoria del ’95 con l’eroico Peter Blake. Molti di quei “ragazzi” hanno proseguito e vinto in ogni mare, intrecciando i loro destini. Se la sfida vincente ha provocato un vero caso nazionale, tesi di laurea comprese, la sonora sconfitta del 2003 è stata protagonista di interrogazioni parlamentari e adesso tutti rivogliono la Coppa nella sede del Royal New Zealand Yacht Squadron.
Il messaggino diceva “sail for you tomorrow at 8 30”, qualche minuto di attesa e siamo a bordo, stacchiamo dalla banchina: fin dall’inizio è tutto veloce, più veloce di qualsiasi altra barca: il traino (e ci sono molte miglia dal Viaduct Basin fino al golfo dove ci si allena) è a 25 nodi, quando il gommone rimorchiatore (quattro motori da 300 cavalli, plana mentre traina) ci lascia e l’equipaggio si prepara all’allenamento si naviga a 10 nodi spinti solo con dall’ala libera, cioè senza scotta che addirittura non è ancora passata nel bozzello: lo sarà in diretta sul winch su un bordo e con un paranco che smezza la corsa sull’altro. Mi pare tutto molto semplice, facile. Tra gli undici dell’equipaggio, ma siamo di più con i tecnici, alcuni mitici personaggi dello sport. Le prime prove sono di bolina, ala e fiocco piccolo, è facile vedere lo speedometro salire a 22, 24 nodi, non siamo in “foiling” e so bene che il boccone migliore deve ancora arrivare. Quando Dean Barker decide finalmente di issare il gennaker la barca ha un balzo. Quando pronuncia la parola magica “testing” New Zealand decolla sulla deriva, sul mitico Golfo di Hauraki soffiano 16 nodi di vento reale e in pochi secondi navighiamo a 33, 5 stabili sui tre punti. Per regolamento infatti può essere immersa una sola delle derive e i tre punti che sostengono in “volo” sono la deriva sottovento e i due timoni. In realtà quello sopravento ogni tanto esce e fischia, schiaffeggia l’acqua. Per questa uscita Emirates Team New Zealand monta due derive a sciabola che terminano con un’ala orizzontale, è l’unica barca progettata fin dall’inizio per volare. La deriva può essere mossa in diverse direzioni, immersa più o meno secondo le andature. Più tardi mi racconterà Giovanni Belgrano “non capisco le scelte degli altri e soprattutto di Oracle, a noi sembrava evidente che volare fosse la strada da percorrere, la nostra barca è pensata con i pesi a poppa per essere sempre stabile”. A bordo si registra ogni cosa: prestazioni e carichi, ogni giorno dei 30 a disposizione per questa prima fase che finisce in dicempre 2012, deve essere sfruttato al meglio.
Per salire a bordo mi hanno fatto indossare il salvagente da big jim, l’inguardabile casco, la bomboletta di ossigeno da usare in caso di ribaltamento, per fortuna si fidano del mio piede marino e posso circolare senza troppi confini. Si preoccupano quando, durante un cambio vele, metto il naso dentro la scassa della deriva: la pinna può muoversi in tutte le direzioni e viene usata in diverse configurazioni, non sempre alla massima immersione. Volare è una decisione dell’equipaggio e non solo il risultato della velocità che sale. Dopo la giornata Dalton confessa “siamo troppo stabili, si decolla troppo bene, secondo me vuol dire che c’è da limare, ridurre le superfici bagnate. Vedrai, Luna Rossa sarà di sicuro più veloce di noi ed è la prima volta che sono contento che un avversario sia più rapido di New Zealand: vuol dire che percorriamo la strada giusta e la nostra seconda barca sarà più forte”. Quando racconto il commento ai ragazzi di Luna Rossa ottengo solo qualche grugnito, il programma sviluppo velocità è da divulgare poco. Non ho avuto nessuna sensazione di pericolo.. si certo la velocità è tanta: il vento apparente a bordo supera agevolmente i 40 nodi, mi raccontano che non è raro leggere 60 nodi in testa d’albero… del resto basta fare due conti: 25 di reale più 45 di velocità… Pochi giorni dopo un collega neozelandese ha navigato a 44 nodi, con tanto vento in più: è sceso da New Zealand estasiato. Glen Ashby è categorico: “con una vela tradizionale sarebbe quasi impossibile gestire le manovre, faremmo a pezzi le stecche”. Per regolare l’ala si contenta di un piccolo winch con la scotta in diretta, il carico è di circa una tonnellata. Volete fare paragoni? Una vela tradizionale grande uguale potrebbe arrivare a un carico di scotta di 25/30 tonnellate . Questo è uno dei grandi vantaggi dell’ala rigida. L’ala di New Zealand ha un sistema complesso di regolazioni interne per modificare il twist. Sempre Ashby illumina “possiamo navigare con molto vento perché riusciamo a rendere negativa la parte alta, quindi a creare raddrizzamento e non sbandamento…”. E’ prevedibile che gli americani corrano ai ripari, non hanno la stessa possibilità, almeno nelle prime ali, non ci hanno creduto. L’ala è tutto, le altre vele sono semplici: il fiocco serve più per le manovre, che per la propulsione, il gennaker fa… ma di quello sappiamo tutto.
Differenze dal monoscafo? Sono stato su tante barche della Coppa: i J Class hanno un incedere maestoso, i 12 metri invece sembrano soffrire, gli Iacc sono complessi, tanta gente a bordo, piccole regolazioni, il timoniere è prigioniero del randista. Gli AC 45 sono nervosi, una sensazione di pericolo molto maggiore che sugli AC 72. Match racing? Mah… sarà una regata tanto diversa. Il canale del percorso è piuttosto stretto e prevedono sette virate per bolina e tre strambate per ogni poppa, bordi obbligati sul vento. Questa insomma sarà un’altra storia, tutta da scrivere e vedere. Una regata nuova, non sappiamo ancora se meglio o peggio. Diversa si. Del resto dal 1851 vince la barca più veloce e la ricerca è sempre stata in quella direzione. Perfino i J Class che adesso ci sembrano “barche d’epoca” sono stati disegnati con la collaborazione di ingegneri aeronautici.

I neozelandesi per la loro prima difesa della Coppa hanno voluto attendere la fine del secolo e il passaggio del millennio,  che celebrano con una memorabile Haka. I kiwi sono lo squadrone di sempre, anzi, velisticamente hanno raggiunto la maturità completa e il team è fortissimo anche se c’è qualche crepa nella organizzazione: sir Peter Blake è al comando delle operazioni a terra, conduce la raccolta fondi mentre Russell Coutts è leader dell’equipaggio e dello sviluppo barca. I due non sono più in sintonia per motivi economici, Coutts vuole essere protagonista e guadagnare di più, ma questo non pregiudica le prestazioni della barca e il buon uso del fattore campo. I sindacati che hanno raggiunto la Nuova Zelanda per disputare formidabili regate nel golfo di Hauraki sono undici. L’Italia, dopo Azzurra Italia e il Moro di Venezia torna protagonista con Luna Rossa, la barca che Patrizio Bertelli ha affidato a Francesco de Angelis e a un team giovane , il tattico è Torben Grael mentre i progettisti sono German Frers e Doug Peterson. E’ l’inizio di una lunga avventura, Patrizio Bertelli ama la Coppa da sempre e in occasione della costruzione del megayacht Ulisse si è fatto convincere da Frers a partecipare. Luna Rossa, che si allena con materiale e barche di America Cubed, è molto veloce e durante la Louis Vuitton Cup conquista il soprannome di Silver Bullet.  Gli altri sfidanti sono Stars & Stripes di Dennis Conner, che fa fruttare molto bene un budget esiguo e affida il timone a Ken Read, Paul Cayard è skipper di America One, c’è America True di Dawn Riley e John Cutler, Nippon con Peter Gilmour, Bravo España con Pedro Campos, Abracadabra di John Kolius, Le Defi con Bertrand Pace, Young America di John Marshall con Ed Baird. Quest’ultima  si rompe in due come era successo cinque anni prima a OneAustralia: riescono a tenerla a galla e riportarla alla base, ma il sindacato ne risente psicologicamente e non riesce a esprimere le prestazioni dello scafo, considerato il più rapido della flotta tanto che dopo le regate gli asset verranno acquistati da Luna Rossa per preparare l’edizione successiva. C’è anche il primo sindacato svizzero, con Fast 2000, una barca complicata con timone di prua, molto rapida in linea retta ma ingovernabile in manovra, inoltre su Young Australia c’è il debutto al timone del diciottenne James Spithill, un ragazzo da tenere d’occhio. In questa edizione, visto il numero di sfidanti, si sperimenta una semifinale a sei con gironi all’italiana che in realtà si dimostra molto pericolosa per gli italiani che, pur forti, rompono un albero per la rottura di un tip cup (connessione delle sartie alle crocette) perdendo un punto prezioso. Solo la vittoria nell’ultima regata di America True contro Stars & Stripes li qualifica per la finale contro AmericaOne di Paul Cayard e Luna Rossa. Questa finale sarà una delle regate più combattute della storia della Coppa,  le prestazioni delle due barche sono molto vicine, Luna Rossa è più collaudata mentre America One è arrivata in ritardo a Auckland e ha qualche difetto che si rivelerà determinante: gli stopper dei bracci spi a pedale, poco affidabili che con vento forte cedono e il tessuto degli spi che si rompe con il colpo di frusta delle onde, anche per questo da un iniziale vantaggio americano gli italiani prima rimontano e poi vincono di misura  nell’ ultima regata dopo una serie di avvincenti colpi di scena. Le regate tra Luna Rossa e New Zealand sono purtroppo senza storia e il cinque a zero “secco” è inevitabile. I kiwi hanno per le mani una barca decisamente più veloce, dove hanno inventato molto, soprattutto una nuova prua con un vistoso ginocchio e un nuovo modo di distribuire i volumi, la chiamano barca con la flat polar, ovvero si può correre di bolina larga senza perdere acqua ma cercando di entrare prima in una raffica.  E poi in partenza Russell Coutts non perdona, nella quinta regata debutta, dopo un bel gesto di Coutts, il giovane Dean Barker che per tutta la campagna è stato timoniere di allenamento.

il video:

La Coppa dopo la vittoriosa difesa di America Cubed contro il Moro di Venezia è rimasta a San Diego.  Gli americani però sono deboli, nessun dream team con fondi consistenti come nel ’92. Ci sono però le selezioni dei defender cui partecipano Stars & Stripes di Dennis Conner, Young America che sfoggia tecnologia e una barca decorata dall’artista Roy Lichtenstein. Bill Koch schiera Mighty Mary, con equipaggio femminile e America Cubed decisamente più lenta. Gli americani si perdono tra giochi politici e vittorie in acqua e alla fine il defender è uno strano miscuglio di intenzioni. Dennis Conner, che ha scelto per timoniere Paul Cayard, vince con Stars & Stripes ma riconosce che la sua barca è lenta (ha vinto con l’esperienza e un equipaggio fortissimo) e chiede di usare Young America, del sindacato allestito dal vecchio amico John Marshall. Probabilmente è più veloce Mighty Mary, ma con Bill Koch tra proteste varie hanno litigato troppo e una eventuale vittoria con la sua barca non sarebbe opportuna. Conner commette un errore fondamentale: rifiuta di farsi “insegnare” come funziona Young America e pretende di cambiare le regolazioni e la messa a punto solo per averla osservata dall’esterno, proabilmente non avrebbe vinto ma forse qualche cosa di più poteva dire.
La vera battaglia nella fase preliminare, come spesso accade, è però stata nella spettacolare Louis Vuitton Cup, dove i soliti protagonisti hanno dato grande spettacolo.  Lo sfidante è Team New Zealand, che arriva all’ incontro dopo aver perso una sola regata in tutta la serie per una piccola avaria. Quello dei kiwi è uno squadrone: sir Michael Fay dopo aver animato alcune sfide determinanti ha ceduto tutto il materiale a Peter Blake, recente vincitore del giro del mondo. Peter fa leva sullo spirito di team e sceglie per timoniere Russell Coutts, un maniaco della match race assieme al tattico Brad Butterworth e alcuni ragazzi che da tempo regatano con loro. Alcuni uomini lavorano insieme dall’87 (anno del dodici metri di vetroresina) e hanno accumulato una bella esperienza. I progettisti sono Doug Peterson e Laurie Davidson, c’è anche Tom Schnackenberg che alterna il lavoro di navigatore a quello di coordinatore delle vele. Blake dopo l’esperienza con Bruce Farr (autore e sostenitore del bompresso e della twin keel nel 92) ha deciso di ridurre drasticamente il potere dei progettisti e costruire un nuovo dialogo con l’equipaggio che vuole soprattutto affidabilità. Tutta la barca è costruita attorno al piano velico molto magro ed è strettissima. Si tratta di una “two boat campaign” nel vero senso della parola, i due scafi sono praticamente identici e progrediscono uno per volta per poter valutare a fondo l’effetto delle modifiche.  Tra gli sfidanti c’è il grande ritorno di John Bertrand (lo skipper vincitore dell’83) con Australia One che conquista un singolare primato: lo scafo si spezza al centro e affonda in pochi secondi diventando l’unica barca della storia della Coppa ad essere affondata in regata. Una esperienza simile toccherà nel 2000 a Young America, ma l’equipaggio riuscirà a riportare la barca in porto. La barca persa poteva essere l’unica a dare qualche pensiero ai kiwi, mentre quella che resta, la prima varata, non è all’altezza. Gli altri sono più lontani: c’è ancora Nippon con John Cutler e Peter Gilmour, c’è Tag Heur disegno di Farr con Chris Dickson e alcuni vecchi leoni: è un programma low budget ma in alcune condizioni e con la cattiveria di Chris è davvero pericolosa, Farr escluso da New Zealand sa comunque il fatto suo e si esprime con uno scafo tradizionale molto rapido.  Pedro Campos si presenta con Rioja de España, ci sono Sydney ’95 del grande appassionato ma non molto generoso Syd Fischer e France con una sontuosa campagna, che rimane fuori dalle semifinali sfidanti, allestita da Marc Pajot che finirà sulla graticola per i soldi spesi e i modesti risultati ottenuti.
Nelle regate della Coppa New Zealand umilia ogni giorno gli americani infliggendogli distacchi di oltre due minuti,  così la Coppa vola a Auckland. Mitica la conferenza stampa dei vincitori, decisamente alticci: “terremo la Coppa cento anni”. Una dichiarazione un po’ esagerata…

Eccola…. La nuova Luna Rossa, un complicato catamarano del terzo millennio che vola sulle onde, è finalmente svelata. E’ una esile struttura di carbonio con una grande vela alare, ricoperta con una pellicola a specchio, tanto per ricordare quando nel 2000 il suo grigio metallizzato chiaro le aveva conquistato il soprannome di “Silver Bullet”. Patrizio Bertelli mentre la spiega ai giornalisti la guarda contento e svela anche la sua missione: “è la prima volta che due sindacati avversari hanno due barche identiche, questo è importantissimo per gli allenamenti e migliorare le prestazioni. Adesso la nostra missione è di togliere la Coppa agli americani,chiunque tra Luna Rossa e Emirates Team New Zealand ci riesca avrà l’appoggio dell’avversario per cambiare le regole e tornare al vero spettacolo”. Insomma, i due team hanno già un accordo di ferro: se uno dei due vince l’altro è Challenger of Record, e poi, aggiunge: “lavoreremo per una Coppa che abbia almeno otto sfidanti, un numero che è già una elite ma che rappresenta le forze della vela nel mondo. Solo tre, quattro sono troppo pochi per lo spettacolo moderno. Non è molto importante che la barca sia con un monoscafo o un catamarano, è invece fondamentale contenere i costi nei 50 milioni di euro per sindacato. Ci vogliono barche più piccole e maneggevoli, ma spettacolari. Sono sicuro che questa sia l’ultima volta con queste barche così grandi. Oracle ha un team di 200 persone… sono troppe”. Bertelli prosegue: “qui in Nuova Zelanda ci considerano il secondo Team New Zealand: è quasi vero, ma si riferisce soprattutto all’affetto che ci dimostrano ogni giorno, ai problemi che ci aiutano a risolvere. Quando eravamo a Punta Ala ogni giorno dovevamo rispondere a una accusa diversa. Detto questo siamo contenti di rappresentare l’Italia e di avere questa responsabilità”. Dice lo skipper Max Sirena: “Il team di Luna Rossa è una squadra nuova, dove sono premiate le competenze e non il potere”.
L’ala di Luna Rossa è lunga 40 metri, poco di più di quanto sia quella di un Airbus 380, che ha un’apertura alare di 80 metri. Sono 1400 kg di tecnologia, costruita con una struttura di carbonio, un rivestimento di un materiale usato in aeronautica, che si tende con il calore una volta applicato alla struttura. Questa prima ala è semplice, divisa in due sezioni di cui quella di poppa divisa in quattro pannelli regolabili. E’ possibile che in futuro i team cercheranno di montare vele più complesse, e quindi più veloci. Il catamarano, la piattaforma come la chiamano, è lungo 22 metri, largo 14, pesa a vuoto meno di 6 tonnellate, cui si aggiungono i 1400 kg dell’ala. Gli scafi sono stati costruiti in Italia, sono stati completati a Auckland. Il team resterà in Nuova Zelanda fino a febbraio, sfruttando tutto il vento possibile dell’estate neozelandese per gli allenamenti. Dopo lo spettacolare ribaltamento di Oracle lo skipper Max Sirena aggiunge: “La paura in effetti può condizionare il modo di regatare, con solo 18 nodi volano a 40 e sicuramente il fattore psicologico, umano, condizionerà il risultato della regata. Queste barche non permettono di sbagliare”.

E’ tutto pronto per il varo di Luna Rossa, il catamarano AC 72 che l’anno prossimo sarà sfidante per la 34 esima Coppa America. Sarà una grande festa nella grande, ormai, famiglia di Luna Rossa, un equipaggio il cui nucleo storico ha navigato tanto assieme fin dalla prima sfida per le regate del 2000. I vecchi leoni sono pochi, a partire dallo skipper Max Sirena, ma si portano dietro esperienza e passione su cui sono stati innestati molti talenti giovani presi dal meglio della vela mondiale. La madrina è Miuccia Prada, come sempre, il padrino… è Patrizio Bertelli che alla quarta sfida ha la grinta di sempre, la voglia di competere fin che non vince.
Il catamarano nasce da un progetto congiunto del design team di Emirates Team New Zealand e Luna Rossa, costruito in parte in Italia presso il cantiere Persico e finito in Nuova Zelanda. Il Protocollo della prossima regata infatti offre la possibilità di condividere con altri sindacati progetto e dati. Questo è stato anche uno dei motivi che hanno convinto Patrizio Bertelli a lanciare la sua quarta sfida, decisione presa dopo il successo della quotazione in Borsa a Hong Kong, che ha avuto un notevole successo. Il consiglio di amministrazione Prada ha deliberato la sponsorizzazione del team per circa 40 milioni di euro, un budget medio piccolo per la Coppa, ma che può essere più che sufficiente a fare una bella figura viste le condizioni generali degli avversari. Gli sfidanti attendibili sono tre, ovvero New Zealand, Luna Rossa e Artemis. Essere “alleati” di un team assolutamente forte come quello neozelandese è un grosso vantaggio e ha consentito a Luna Rossa di entrare senza dover partire da zero, in un certo senso comprando la competitività. I kiwi hanno avuto, ovviamente, il loro beneficio vedendo arrivare un rimborso spese per il lavoro di progettazione già svolto che gli consentirà di sviluppare altre ricerche. L’accordo dovrebbe prevedere il pagamanto del 50% delle ore di sviluppo design fatte prima della sfida. Luna Rossa è il terzo catamarano classe AC 72, si chiama così l’invenzione degli americani, che viene varato. Oracle il catamarano del defender pochi giorni fa è finito cappottato in mezzo alla baia di San Francisco con danni ingenti che fermano gli allenamenti del team per almeno due mesi e costeranno alcuni milioni di euro. Artemis, del sindacato svedese omonimo, pare si sia già rotto nelle prove di traino: queste barche non vengono buttate subito in mare a navigare, ma si caricano un po per volta, proprio per trovare i punti deboli. Se quella di Oracle almeno è una rottura spettacolare, questa è solo il sintomo di quanto ci sia ancora da esplorare. La migliore, anche per il suo assetto nelle foto, sembra New Zealand, che si solleva bene sui “foil”, ovvero le derive. L’intenzione di Patrizio Bertelli e Grant Dalton è quella di dividersi la finale Louis Vuitton Cup, come è stato del resto nel 2007, quando i due team che si erano incontrati nel 2000 a Auckland per la Coppa in una delle edizioni più memorabili della storia. Il vincitore poi dovrà strapparla agli americani e avere così la possibilità di tornare a regole e spettacoli più vicini al match race, con gli sfidanti che merita l’evento.

Nella baia di San Francisco spettacolare incidente alla barca del defender della Coppa America Oracle, che in una giornata di vento forte si è ribaltato durante un allenamento. Non si è fatto male nessuno, ma i danni alla barca sono ingenti e terranno fermo il team per un po’. Tanto per fare qualche cifra una “piattaforma”, si chiama così il catamarano nella comunità dei progettisti, ha un costo tecnico di costruzione di circa 5 milioni di collari, escluso la ricerca e lo sviluppo, per il quale stanno lavorando da ormai anni una ventina di persone. Il costo dell’ala rigida che è la propulsione principale al posto delle vele morbide, sempre di sola costruzione, è di circa due milioni e mezzo. Certo Larry Ellison che anima il sindacato è costantemente tra i cinque, sei uomini più ricchi del mondo, ma questo incidente rischia di rallentare le operazioni e gli allenamenti. Questo catamarano è della classe AC 72, lungo quindi circa ventidue metri ed è come una delle barche con cui verranno disputate il prossimo anno da aprile a settembre la Louis Vuitton Cup, regata di selezione sfidanti, e poi la Coppa America. Finora abbiamo visto in regata, come a Venezia e Napoli, solo i piccoli AC45, che simulano i fratelli più grandi nelle reazioni. Tuttavia la musica, crescendo di dimensioni, è molto diversa e perfino gli equipaggi temono le prestazioni fuori controllo. Quello di Oracle è un concreto assaggio di quello che può succedere. La sfida progettuale è di far letteralmente volare le barche, che si sostengono come un aliscafo sulle pinne di deriva e i timoni. Lo speedometro (strumento che misura la velocità) sale fino a 40 nodi, velocità che molti motoscafi non sono in grado di raggiungere. E sono proprio derive e timoni il campo dove ci si attende il maggior sviluppo tecnologico e dispendio di energie da parte dei team. Le barche si ribaltano quando per effetto del mare la prua di uno scafo comincia a infilarsi sott’acqua e fa da freno e perno. I pericoli per l’equipaggio sono concreti: si vola in acqua o dentro l’ala. Per questo gli uomini sono protetti come calciatori di football americano, con caschi e imbottiture anche sostegno di galleggiamento, piuttosto ingombranti. L’incidente avviene a pochi giorni dal varo di Luna Rossa a Auckland, che sarà il quarto catamarano AC 72 ad essere varato, del tutto simile a Emirates Team New Zealand con cui il team di Patrizio Bertelli ha condiviso il progetto. Gli scafi sono stati costruiti in Italia secondo il regolamento della Coppa, poi trasferiti e completati in Nuova Zelanda dove un po’ tutto il mondo della Coppa America ha lasciato il cuore. Il team condotto da Max Sirena è nella città australe dove dopo il varo inizierà gli allenamenti prima del trasferimento armi e bagagli a San Francisco. Sempre in argomento ali e derive Luna Rossa ha condotto alcuni allenamenti non molto segreti, dovevano esserlo, in Sardegna. Le altre barche AC 72 pronte sono Emirates Team New Zealand, che ha dimostrato una bella stabilità e velocità nei video disponibili e Artemis Racing, sindacato condotto da Paul Cayard, che ha provato prima un’ala su un trimarano modificato (per non incorrere nel limite di costruzione previsto dal regolamento e far presto) e poi portato a San Francisco la nuova barca. Mentre si attende che il circuito degli AC 45, aperto a più partecipanti, torni in scena a Venezia in aprile e a maggio a Napoli queste quattro barche sono le uniche che, a meno di sorprese, vedremo in regata l’anno prossimo a San Francisco.

 

A Plymouth il secondo evento delle World Series della America’s Cup. Segue Cascais, avvenuto in pieno agosto. La novità per il popolo della Coppa America sono stati come sappiamo i catamarani con la vela rigida alare, una riduzione del mostruoso (per dimensioni) BMW Oracle che ha vinto nel febbraio 2010 cui è seguita la decisione di Russell Coutts di proseguire per quella strada. I velisti “tradizionali” hanno fatto una bella polemica sul fatto che si cambiava radicalmente il modo di fare le regate, per loro era anche un problema di mera disoccupazione: la paura del cambio generazionale, l’incertezza di un programma che è ancora da definire nei dettagli, cambiato più volte. Ma il vero problema della crisi della Coppa non è stata la scelta delle barche, quanto proprio questa difficoltà a definire un calendario credibile di eventi. Se si rileggono le intenzioni di un anno fa sembrava che senza un budget di 80 milioni non fosse possibile entrare in gioco. Adesso bastano 25 ben spesi per arrivare in semifinale e si partecipa al gioco degli AC 45 con 5/6.  
Curiosità delle differenze? Tanto per dare una misura, la vecchia Luna Rossa portata da diciassette uomini faceva al massimo, in condizioni normali, dodici nodi. Questi catamarani di tredici metri vanno abitualmente al doppio e possono raggiungere i trenta con facilità. Difficile seguirli con il gommone, gli arbitri in acqua usano delle moto d’acqua per essere più rapidi e le decisioni vengono prese con l’aiuto delle immagini in televisione e comunicate via radio, poi capita che le luci rossi di bordo siano guaste e gli equipaggi non si accorgano delle penalità nella confusione. Il pubblico non si accorege delle proteste perchè non c’è più la plateale alzata di bandiera su cui indugiava la camera on board.
La novità dunque sono le barche, ma quello che tutti si aspettavano era anche il cambio generazionale. In tanti hanno pensato che fossero i giovanissimi i nuovi eroi del timone: riflessi freschi, agilità, voglia di vincere. Mica vero: i vecchi leoni del match race sono andati a scuola di catamarani e hanno imparato presto. Della serie il talento non è acqua, chi è bravo resta bravo. Così i più efficaci restano i soliti noti: Dean Barker timoniere di Emirates Team New Zealand, James Spithill con Oracle, Terry Hutchinson di Artemis. Anche il datato Russell Coutts è riuscito a entrare in semifinale, mostrando agilità e nervi saldi con il suo equipaggio di cinquantenni. In realtà smetteranno per far posto a un equipaggio giovane. Quello che doveva far paura a tutti era l’espertone francese di multiscafi Loik Peyron: succede però che alla fine in qualche occasione sa sfruttare meglio la barca, ma la classifica non lo vede facilmente nelle parti alte. Insomma, quel che si capisce è che sono cambiate le barche ma che il modo di vincere resta lo stesso: organizzazione, allenamento, istinto, talento. Qualcosa di simile è successo anche con regate di altura come il giro del mondo a vela: quando sono arrivati i velisti più raffinati e tecnici usciti da Coppa America e Olimpiadi hanno chiuso la partita contro gli oceanici che pensavano di essere più marinai. Ci hanno messo meno i tecnici a diventare marinai che il contrario.
A Plymouth il pubblico ha assistito alle regate dal prato che è stato dei grandi ammiragli della Royal Navy dei secoli scorsi, dove passeggiavano in attesa di nuove campagne di guerra: il viceammiraglio Francis Drake, il pirata della regina Elisabetta e lord Howard hanno atteso qui la marea giusta per scatenare la flotta reale contro la Grande Armada, poi demolita dalle navi incendiarie, dalla tempesta e della ferocia degli irlandesi che hanno distrutto e ucciso tutto ciò che naufragava sulle loro coste.  
Il pubblico è una bella novità del nuovo formato tanto criticato: non in mezzo al mare dove neanche i binocoli bastano e per conquistare un posto in barca spettatori ci vogliono decine di euro. La televisione si capisce che fa del suo meglio e che può migliorare molto nella spettacolarità, quando i registi avranno imparato a usare le camere di bordo con più efficacia e tempismo. Le regate di match race sono state vinte da Emirates Team New Zealand, quella di flotta da Oracle – Spithill. Dopo Plymouth la flotta si sposta a San Diego per l’ultimo evento del 2011. Si ricomincia in gennaio nell’emisfero australe, con un evento a Brisbane. Si sa che al 99% scenderà in campo Luna Rossa, al momento dice solo per partecipare al circuito degli AC 45  e non alla Louis Vuitton e alla Coppa America che saranno nella primavera estate del 2013 con gli AC72, potrebbe esistere un progetto dell’ultima ora. C’è fermento per l’arrivo di altri sindacati italiani, dopo la conferma di ben quattro eventi in Italia due a Venezia e due a Napoli, che diventano un palcoscenico importante per gli sponsor italiani anche con interessi internazionali.