Da mesi se ne parlava, ma nessuno ci credeva davvero: radio banchina continuava a ripetere che Vincenzo Onorato, dopo aver conquistato per amicizia con Coutts il ruolo di Challenger of Record, cioè quello di primo sfidante del Golden Gate Yacht Club, si sarebbe ritirato dalla Coppa America. Ieri invece l’arrivo del comunicato ufficiale: Mascalzone Latino si ritira, rinuncia alla sfida presentata al Golden Gate Yacht Club del defender Oracle attraverso il Club Nautico Roma e quindi non partecipa alla edizione 34 della Coppa America. Motivo ufficiale la difficoltà a raccogliere il denaro necessario ad allestire una sfida ben fatta, competitiva. Da mesi Mascalzone Latino era distratto. Non è mai salito, ad esempio, con un equipaggio completo sui catamarani della classe AC 45, piccoli mostri con vela alare che hanno debuttato a Auckland qualche settimana fa: sintomo di una decisione imminente. C’è dell’altro: Onorato ha molto lavoro per seguire la sua compagnia di navigazione Moby Lines e per la questione Tirrenia, così dice: “non ho tempo per seguire personalmente la sfida, se non ci sono io il sindacato non funziona e senza il mio contributo diretto non riesco a raccogliere gli sponsor. Quando scendo in mare voglio vincere, dunque una sfida persa in partenza non mi interessa, mentirei agli sponsor, ai nostri tifosi ed anche a me stesso”. Quanti soldi servivano? 40 milioni per esserci, un po’ di più per vincere qualche regata, almeno 80 per puntare alla vittoria. Come risultato del ruolo di Mascalzone Latino si era parlato a lungo di Venezia e Trapani come possibili sedi di regate ma tutto si è fermato tra richieste economiche eccessive degli americani, ma alla fine molto trattabili, e lentezze politiche. Il primo evento della prossima edizione con i catamarani Ac 45 che poteva essere in luglio a Venezia sarà in agosto a Cascais, Portogallo.

Forse un errore di Vincenzo, che resta uno degli armatori più appassionati, è stato proprio quello di strizzare l’occhio alla politica, che in realtà non è stata in grado di assicurare e soprattuto di capire che la Coppa poteva essere una grande occasione. Dall’altra parte del mondo il governo stanzia 36 milioni di dollari per Team New Zealand perchè crede nell’industria nautica. Qui fatichiamo a rendere operativi dei coefficienti adeguati per il redditometro o rendere umani i controlli in mare.

Prima di Mascalzone che ha partecipato alla Coppa nel 2003 e nel 2007, sono stati Challenger of Record Azzurra nell’87, Il Moro di Venezia nel 92 (che in realtà “abdicò” a favore di un comitato di sfidanti) e Luna Rossa nel 2003. Adesso che succede? Il ruolo passa al Royal Swedish Yacht Club che ha presentato la sfida di Artemis, sindacato condotto da Paul Cayard e c’è un interessante retroscena. I destini di Russell Coutts, lo skipper del defender americano Oracle e di Cayard sono di nuovo strettamente legati alla Coppa: sono stati per anni due grandi “esclusi” per aver discusso con i loro finanziatori. Nel 2003 Cayard fu messo a riposo da Larry Ellison per eccesso di personalità “non voglio che diventi famoso con i miei soldi” ma questo gli costò una campagna disastrosa e l’assunzione di Dickson che nel 2007 si è riveltao anche peggio. Nel 2007 Coutts è rimasto ai domiciliari (si fa per dire) per volere di Ernesto Bertarelli per motivi mai spiegati fino in fondo prima di chiudere il contratto con Ellison, piegato dalla voglia di vincere a prendere un uomo faro e vincente. Cayard e Coutts, ai tempi dell’esilio, insieme avevano progettato un circuito alternativo con i multiscafi, che è esattamente quello che stanno facendo adesso. L’Italia resta rappresentata da Venezia Challenge, un sindacato del tutto nuovo che fonderà le sue risorse economiche su nuovi mercati e nuove strutture manageriali. Presto sapremo di più degli uomini che si sono. Finora sono pubblici i nomi di Carlo Magna e Emanuela Pulcino che hanno dato vita al sindacato. La rinuncia di Mascalzone può essere un colpo di fortuna, per raccogliere quegli sponsor che vorrebbero buttarsi nel grande palcoscenico della Coppa. Senza voler assolutamente dare giudizi su questo sindacato la cui dote migliore finora è la voglia di rischiara anche la faccia, è singolare che l’Italia a vela sia rappresentata nel massimo evento da un team del tutto nuovo, con poca esperienza. Non è solo paura degli americani, del loro vantaggio tecnologico, ma anche una sostanziale incapacità di fare squadra, progettare team ed eventi e anche rischiare.  I velisti italiani sono rimasti progionieri della presunzione “tanto mi chiameranno, hanno bisogno di me”. Un marketing da ragazza sedicenne al liceo, che fa gli occhi dolci al più bello. E prigionieri della voglia di far da soli, di fare meglio. Legati ancora alla figura del padre armatore, pagatore, traghettatore. Le occasioni di fare c’erano, eccome. Forse non tanti soldi certo, ma la possibilità di partecipare esisteva.

I sindacati iscritti restano quattordici, purtroppo quelli che hanno fondi sicuri per partecipare sono molto meno: oltre ad Artemis e Oracle c’è Team New Zealand, saldamente guidato da Grant Dalton, che una volta di più ha confermato il suo carattere di nazionale della vela neozelandese. Ma in Nuova Zelanda la vela e l’industria nautica sono particolarmente importanti e il Governo punta anche a mantenere forte questa immagine “industriale”. Sembra impossibile, ma quella nautica è una delle prime del paese australe, la cui economia è fondata su allevamento e agricoltura.

Comincia venerdì 13 maggio il Portofino Rolex Trophy, la regata che lo Yacht Club Italiano e Rolex dedicano alle classi metriche: J Class, 12 Metri S.I., 8 Metri S.I., 6 Metri S.I., 5.50 S.I. e dragoni interamente costruiti in legno. Le regate si svolgeranno nelle acque del Golfo Marconi fino a domenica. Promessi l’anno scorso per la prima edizione i J Class arrivano a Portofino questa volta e sarà possibile vedere due gioielli della vela mondiale: il J Class Shamrock V e il 23 Metri S.I. Cambria, i cui nomi sono legati alla più antica e affascinante sfida di tutti i tempi, l’America’s Cup. Shamrock V fu costruita nel 1929 per Sir Thomas Lipton, inventore del the con scatola marchiata e delle prime forme di conunicazione sponsorizzata, e partecipò all’edizione del 1930 della Coppa America, perdendo contro il J Class americano Enterprise. E’ uno degli ultimi J Class giunti intatti fino a noi: oggi, nel mondo, ce ne sono solo cinque esemplari. Nel 1937 Shamrock V venne acquistata da Vittorio Crespi, il proprietario del Corriere della Sera, e con il nome di Quadrifoglio ha soggiornato a lungo a Genova al Porticciolo Duca degli Abruzzi. Lunga 36,51 metri e larga 6, ha una superficie velica di 702 metri quadri. Durante il Portofino Rolex Trophy ci sarà a bordo Elizabeth Meyer nipote di Eugene Meyer, primo presidente della World Bank, e di Agnes Ernst Meyer, proprietaria del Washington Post durante il Watergate. La Meyer comprò il J Class Endeavour nell’84 sottoponendolo a uno dei primi restauri totali di queste grandi barche, praticamente una ricostruzione avvenuta in Olanda presso Royal Huisman, da allora è una autorità nel mondo dello yachting classico e presidente della International Restoration School di Newport. Cambria, progettata nel 1928, è lunga 40 metri e ha una superficie velica di 760 metri quadrati. Ordinata dal magnate della carta stampata Sir William Berry fu più volte avversaria di Shamrock V sui campi di regata. E’ l’unico 23 Metri S.I. ancora navigante al mondo.
Il Portofino Rolex Trophy sarà anche l’occasione per ammirare alcuni storici 12 Metri S.I., le barche su cui si disputava la Coppa America negli anni del dopoguerra. Saranno in regata Emilia, il secondo 12 Metri S.I. costruito in Italia, Ikra, French Kiss, Kookaburra III e Sovereign. Tra gli 8 Metri S.I. è confermata la presenza di Margaret e Miranda III, tra i 6 Metri S.I ci saranno Bau Bau, Dan e Valentina. Nutrita anche la flotta di 5.50. Saranno in regata anche i Dragoni, che si affronteranno per conquistare la Coppa Alberti.

La seconda edizione della Nespresso Cup, regata internazionale riservata alla classe Wally e organizzata dallo yacht Club Italiano, si è conclusa con la vittoria di Indio di Andrea Recordati nella divisione Overall e di Ryokan 2 nella divisione Performance. Le regate sono state caratterizzate da condizioni di vento leggero.  Il campionissimo tedesco Jochen Schüman, era tattico su Magic Carpet2 e testimonial dell’evento assieme a Francesco de Angelis, Loick Peyron, Grant Dalton e Samantha Davies: “Siamo stati abbastanza fortunati ad avere il vento sufficiente per completare 4 regate in tre giorni sotto il sole – ha detto –  Le condizioni sono state molto impegnative per tutti con diversi rovesciamenti di fronte”. Nella divisione Overall, il 30 metri Indio è stato in testa alla classifica dal primo giorno con tre vittorie e un secondo posto proprio nella regata odierna vinta dal diretto avversario Y3K di Claus-Peter Offen. “Sono molto contento – ha dichiarato Andrea Recordati, armatore di Indio – questa è la nostra prima regata della stagione e il risultato è inatteso soprattutto per il modo con cui l’abbiamo raggiunto”. L’equipaggio di Indio è composto da un gruppo di campioni di diverse nazionalità provenienti da diverse discipline come l’America’s Cup e la Volvo Ocean Race, tra cui il tattico Philippe Presti (già timoniere allenatore di Luna Rossa) e il navigatore Marc Lagasse.  Nella divisione Performance la battaglia tra Inti e Ryokan 2 si è risolta a favore di quest’ultimo. In classifica tutte e due le imbarcazioni hanno pari punti, ma la vittoria finale è andata ai francesi grazie al risultato dell’ultima prova. Dice l’armatore della barca francese: “La nostra barca ha la chiglia basculante quindi è più veloce con vento forte, mentre nelle condizioni di bonaccia siamo normalmente penalizzati”. Ma il team francese, di cui fanno parte il tattico François Brenac e il navigatore Olivier Douillard, ha vinto lo stesso la sua sfida contro Inti.
Carlo Croce, Presidente dello Yacht Club Italiano, ha riassunto così questi tre giorni di regate: “Sono state giornate meravigliose, nel corso delle quali abbiamo disputato quattro prove. Regate molto combattute con vento stabile. Sono particolarmente contento perché a Portofino può capitare di non avere vento e quindi di non poter regatare. E’ il secondo anno che riusciamo a completare tutto il programma dell’evento. Per noi organizzatori questo è un motivo di orgoglio”.

Calssifica Overall: 1) Indio 1-1-1-3 / 6 punti; 2) Y3K 3-2-2-1 /  8 punti; 3) Magic Carpet2 2-3-3-2 / 10 punti; 4) Dark Shardow (P) 4-4-4-4 / 16 punti;
Divisione Performance: 1) Ryokan 2 2-1-2-1 / 6 punti 2) Inti 1-2-1-2 / 6 punti; 3) Dark Shadow 4-3-4-3 / 14 punti; 4) Kenora 3-4-3-4 /14 punti.

In questa edizione arriva un altro personaggio storico, probabilmente quello ha illuminato di luce definitiva la storia della Auld Mug: Thomas Johnstone Lipton (foto sotto). Un self made man irlandese che ha cominciato da zero, lui stesso testimone del sogno americano: emigrato povero negli Stati Uniti a quindici anni, nel tempo ha costruito un impero economico. Iniziò a sfidare gli americani alla  fine dell’ Ottocento su invito personale di re Edoardo, di cui era buon amico nonostante la differenza di ceto che gli procurò il soprannome di “droghiere del re” e qualche esclusione dai club più nobili. La sua partecipazione ha anche, forse per la prima volta, dei risvolti commerciali: Lipton ha interessi in America. Lipton ha lanciato cinque sfide, l’ultima quando aveva oltre ottant’anni, durante le regate fu sempre attento a non irritare nessuno: per lui l’America era comunque un mercato. In tanti anni ha vinto solo due regate ma venduto molte tonnellate di tè proprio negli Stati Uniti. L’idea che lo ha fatto ricco è stata quella di mettere il tè in scatola, scrivere sopra le scatole il suo nome, scriverlo anche sui carretti e piano piano invadere il mondo. Il suo è stato un primo esempio di sponsorizzazione e di packaging di successo. Fino a quel momento infatti il tè finiva regolarmente in maniera anonima nei barattoli di cucina
Lipton commissiona la costruzione del primo dei suoi Shamrock (“trifoglio” in irlandese) a William Fife, un costruttore e architetto che ha scritto la storia dello yachting. Per lanciare la sfida sceglie il Royal Ulster Yacht Club di Belfast. Gli americani mettono in acqua Columbia, un nome che torna per la seconda volta. Per gli americani dell’Ottocento chiamare Columbia gli Stati Uniti è un modo per restituire a Cristoforo Colombo la paternità della scoperta, assegnata dal cartografo Waldseemüller ad Amerigo Vespucci dopo la lettura della sua lettera Mundus Novus. Columbia, che batte nelle selezioni il vecchio Defender armato da Vanderbilt e soci, è disegnata da Herreshoff e armata da Charles Oliver Iselin, alla terza campagna, e da E.D. Morgan. Al timone c’è un uomo che diventerà un’altra leggenda: lo scozzese naturalizzato Charlie Barr che isdelin aveva visto in azione su Vigilant nel 1893.
Lipton affida il timone ad Archie Hogarth e segue le regate dallo yacht a vapore Erin, su cui ha invitato Henry Ford, Theodore Roosevelt, Thomas Edison e Mark Twain. Columbia batte agevolmente Shamrock che si dimostra solo promettente per tre volte,  ma la regata offre un altro primato: Guglielmo Marconi (che resterà legato alla famiglia Iselin per i suoi interessi americani)  invia via radio la notizia del risultato al New York Herald Tribune.

Il combattivo Lord Dunraven si presenta con un nuovo Valkirie. Gli americani gli oppongono Defender, progetto di Herreshoff: un’altra barca molto aggressiva, innovativa. È armata da Iselin, Morgan e Vanderbilt, l’influente famiglia americana fa la sua comparsa nel teatro della Coppa America. Durante le regate Dunraven si lamenta di tutto. Qualche volta ha ragione, come per le invasioni di campo della flotta degli spettatori avvenute durante la prima regata, che stava conducendo. Nella seconda prova le due barche fanno collisione in partenza e Valkirie si ritira. Dunraven protesta perché l’avversario non si è fermato a controllare i danni ma la sua protesta, la seconda in due regate, non viene accolta. Così la sua barca dopo la partenza della terza prova volta la prua e si ritira mentre Defender completa il percorso. Dunraven è sdegnato, convinto di essere stato trattato male. L’azione del lord finisce addirittura per raffreddare i rapporti tra Inghilterra e America e, dopo che la lite ha coinvolto avvocati, ammiragli e ambasciatori, la sua boria sfinisce il New York Club che alla fine lo mette alla porta. Il lord che aveva vissuto in America e ne era socio viene radiato, alimentando i cattivi pensieri di chi vuole vedere gli americani disposti a tutto pur di tenere la coppa in America.

Sono già passati quarantadue anni dalla prima regata, sebbene non ancora Coppa America,  a New York che resta la sede delle regate entrano in scena finalmente i grandi personaggi che hanno lasciato il segno con la loro firma sul grande evento costruendone la leggenda. Arriva il geniale progettista e costruttore Nathaniel Herreshoff che prepara per Charles Oliver Iselin il rivoluzionario defender Vigilant, costruito con un’ossatura di acciaio ricoperta da lastre lucidate di lega di bronzo, attrezzato con una chiglia mobile. Gli americani per trattenere la coppa sono disposti a costruire barche “usa e getta”, che sono veri purosangue da corsa e usano la tecnologia al meglio come accade ai giorni nostri. Per la prima volta si arriva a spendere per la difesa 100 mila dollari, che al tempo sono una cifra importante. Gli inglesi purtroppo hanno ancora la necessità di traversare in sicurezza l’oceano. Lo sfidante è il sanguigno Lord Dunraven che arma Valkirie II, una barca disegnata da Watson. Il lord ha preteso che fosse conservato il tempo compensato per stilare la classifica e gli americani, per non creare un caso, hanno accettato anche se le loro intenzioni di rendere la regata più spettacolare e comprensibile per il pubblico erano in realtà buone. Prima di incontrare la barca inglese, Vigilant elimina tre pretendenti al ruolo di defender. Sono Jubilee, Pilgrim e Colonia. Intanto Valkirie II arriva con ritardo dall’Inghilterra e gli americani concedono allo sfidante qualche giorno prima delle regate per riprendersi dalla traversata. Vigilant vince le prime due prove. Nella terza gli inglesi sono saldamente in testa quando rompono due spinnaker uno dietro l’altro e gli americani vincono di misura conquistando il tre a zero. Gli inglesi sono più vicini all’avversario ma questo non basta a colmare la tradizionale differenza.

La sfida arriva dalla Scozia: l’armatore James Bell fa costruire in gran segreto Thistle, uno sloop che cresce nel mistero al punto che anche gli operai che ci lavorano vengono spinti a non raccontare nulla di quello che vedono e fanno. Thistle esce dal cantiere coperta da teli, un po’ come successo per le barche delle ultime edizioni. Così, appena arriva in America, quelli di New York vogliono controllare la regolarità e la misurano. Purtroppo c’è una differenza di quarantatre centimetri sulla lunghezza al galleggiamento dichiarata nell’atto di sfida. La stampa e lo stesso Schuyler si schierano a favore del challenger e si corre modificando il rating per il calcolo del tempo compensato. Il defender è Volunteer dell’armatore Charles Paine timonato da Hank Haff: forse per la prima volta si comincia a capire che anche il timoniere può fare la differenza in regata. Il progettista è il solito Ed Burgess. Costruito in acciaio nel giro di sessantasei giorni, vince subito. Le regate finiscono sul due a zero, come al solito. Il destino di Thistle è interessante: prima vince molte regate in patria e poi diventa lo yacht dell’imperatore tedesco Guglielmo II, che lo chiama Meteor. Dopo le regate il Deed of Gift viene modificato e si passerà, non senza contestazioni infinite, a correre in tempo reale: da quel momento vincerà il primo che arriva sulla linea del traguardo e non a tavolino dopo il conteggio dei tempi.