Il golfo di Napoli è in splendida forma per l’inizio delle regate delle AC World Series, unica tappa europea di quest’anno e conclusione del circuito 2012 – 2013. L’anno scorso c’era tempesta e Luna Rossa Piranha aveva vinto le regate di flotta con un jack pot nell’ultimo giorno. Quest’anno torna in forze, team con due barche affidate ai due titolari dei ruoli chiave per la sfida che da luglio vedrà impegnati gli sfidanti a San Francisco nella 34 edizione della Coppa America che si correrà con i catamarani volanti della classe AC 72, volanti perché si alzano sull’acqua come aliscafi. Un concetto che non tutti capiscono al primo colpo, la magia del foiling, l’ossessione di Tabarly è divenuta realtà quotidiana. Adesso la scommessa per gli equipaggi è di volare anche in strambata, non perdere mai la velocità.
Chris Draper, giovane inglese timoniere titolare con la passione della mountain bike e della bici acrobatica, è alla barra di Luna Rossa Piranha, Francesco “Checco” Bruni, tattico titolare sarà invece a bordo di Luna Rossa Swordfish assieme allo skipper del team Max Sirena. Bruni, che dice “mi va bene il ruolo di tattico sulla barca grande, sono qui per imparare le reazioni al timone dei catamarani”. Reazioni già imparate, visto che nelle regate di prova ha vinto più di una regata. Si dice che potrebbe essere il timoniere di partenza a San Francisco “è una ipotesi –dice- ma le operazioni di prepartenza durano appena due minuti, ad alta velocità, non è la danza tipica dei monoscafi”. Dunque mentre negli States si montano le basi, e tutto è un po’ in ritardo, a Napoli si regata davvero. A testimoniare il tasso tecnico in campo il numero di medaglie olimpiche totali, 13 distribuite in diversi equipaggi. Il riferimento, per bravura olimpica, è sir Charles Benedict Ainslie, detto Ben: 5 medaglie, l’uomo che ha vinto di più nella vela. Provate voi a vincere una medaglia in cinque edizioni diverse dei Giochi, debuttare con un argento e poi vincere quattro ori consecutivi. Ben è nello squadrone americano di Oracle, ma qui a Napoli corre con lo sponsor J.P.Morgan, che tra l’altro ha appena dichiarato utili importanti, la bandiera inglese e l’intenzione di allestire per la edizione 35 della Coppa un team inglese “alla Coppa serve un team british” dice. Il timoniere più giovane è quello di Artemis, la squadra condotta da Paul Cayard, si chiama Charlie Ekberg e correrà la Youth America’s Cup Red Bull, manifestazione parallela per addestrare i giovani equipaggi. Al veterano Mitch Booth, nascita olandese e passaporto australiano, tocca fare scuola vela all’equipaggio di China Team. Ci sono i francesi di Energy Team, sempre pericolosi con i catamarani con al timone Yann Guichard. Oracle ha lasciato il timoniere titolare James Spithill a San Francisco e qui corre il giovane Tom Slingsby, preso al volo dopo la conquista dell’oro il Laser a Londra. HS Racing è la barca di Roman Hagara, austriaco asso del Tornado, il catamarano olimpico. Per ultimi abbiamo lasciato i fortissimi neozelandesi di Emirates Team New Zealand con Dean Barker e il tattico Ray Davies. Sempre incisivi, puliti e pericolosi. Le regate iniziano giovedì e terminano domenica, la Rai ha conquistato i diritti per la diretta.
Il massimo trofeo velico
Questo articolo rivisto e riletto dopo qualche mese dai fatti e dopo tutto quello che è successo fa un certo effetto. Da qui in poi infatti saranno davvero pochi gli ospiti ammessi a bordo degli AC 72. Adesso mi chiedo se “dovevo” aver paura, idea che non mi ha sfiorato per un secondo nelle ore passate a bordo nel mitico Golfo di Hauraki. Forse perché ho visto la sicurezza dell’equipaggio kiwi ed ero seduto di fianco a Glenn Ashby. Sono convinto che quello che è successo a Andrew Simpson è stato anche, come dice Max Sirena, il frutto di una catena di eventi che prendono anche il nome di sfiga. Brad Butterworth afferma che una morte “in porto” è inaccettabile e ha ragione. Un conto è perdersi a Capo Horn, altro a centianaia di metri da riva, con attorno i gommoni.
Comunque questo è il resoconto a caldo di una giornata di ottobre passata a bordo di ETNZ AC 72.
E’ stato incredibile, una giornata da ricordare… a poche ore dal varo di Luna Rossa a Auckland mi sarei contentato di seguire New Zealand dal gommone, vederla navigare da fuori. Invece mi hanno invitato a bordo e per un regalo vero per cui è bastato un Sms di Warren Douglas, ufficio stampa ETNZ. Questa confidenza oltre tutto è stata il sintomo di un cambiamento radicale del grado di protezione dei segreti nel design preteso dai team: chi non ricorda i tempi delle barche protette dai teloni, cui era impossibile avvicinarsi pena essere malmenati da qualche energumeno. Invece è stato facile, certo i kiwi mi conoscono da anni, ma questo non sarebbe certo bastato, in altri tempi se non per essere invitato a una festa di fine regate. Ho già navigato con i silenziosi kiwi, un equipaggio tanto diverso in regata da ogni altro, a loro bastano poche parole a prendere le decisioni più gravi. Anzi sguardi: Barker muove la testa e tutti corrono per la virata. Questa grande nazionale della vela neozelandese pianta le radici nella lontana sfida di New Zealand per l’edizione ’87 a Perth Australia, la barca di plastica, passa attraverso la grande vittoria del ’95 con l’eroico Peter Blake. Molti di quei “ragazzi” hanno proseguito e vinto in ogni mare, intrecciando i loro destini. Se la sfida vincente ha provocato un vero caso nazionale, tesi di laurea comprese, la sonora sconfitta del 2003 è stata protagonista di interrogazioni parlamentari e adesso tutti rivogliono la Coppa nella sede del Royal New Zealand Yacht Squadron.
Il messaggino diceva “sail for you tomorrow at 8 30”, qualche minuto di attesa e siamo a bordo, stacchiamo dalla banchina: fin dall’inizio è tutto veloce, più veloce di qualsiasi altra barca: il traino (e ci sono molte miglia dal Viaduct Basin fino al golfo dove ci si allena) è a 25 nodi, quando il gommone rimorchiatore (quattro motori da 300 cavalli, plana mentre traina) ci lascia e l’equipaggio si prepara all’allenamento si naviga a 10 nodi spinti solo con dall’ala libera, cioè senza scotta che addirittura non è ancora passata nel bozzello: lo sarà in diretta sul winch su un bordo e con un paranco che smezza la corsa sull’altro. Mi pare tutto molto semplice, facile. Tra gli undici dell’equipaggio, ma siamo di più con i tecnici, alcuni mitici personaggi dello sport. Le prime prove sono di bolina, ala e fiocco piccolo, è facile vedere lo speedometro salire a 22, 24 nodi, non siamo in “foiling” e so bene che il boccone migliore deve ancora arrivare. Quando Dean Barker decide finalmente di issare il gennaker la barca ha un balzo. Quando pronuncia la parola magica “testing” New Zealand decolla sulla deriva, sul mitico Golfo di Hauraki soffiano 16 nodi di vento reale e in pochi secondi navighiamo a 33, 5 stabili sui tre punti. Per regolamento infatti può essere immersa una sola delle derive e i tre punti che sostengono in “volo” sono la deriva sottovento e i due timoni. In realtà quello sopravento ogni tanto esce e fischia, schiaffeggia l’acqua. Per questa uscita Emirates Team New Zealand monta due derive a sciabola che terminano con un’ala orizzontale, è l’unica barca progettata fin dall’inizio per volare. La deriva può essere mossa in diverse direzioni, immersa più o meno secondo le andature. Più tardi mi racconterà Giovanni Belgrano “non capisco le scelte degli altri e soprattutto di Oracle, a noi sembrava evidente che volare fosse la strada da percorrere, la nostra barca è pensata con i pesi a poppa per essere sempre stabile”. A bordo si registra ogni cosa: prestazioni e carichi, ogni giorno dei 30 a disposizione per questa prima fase che finisce in dicempre 2012, deve essere sfruttato al meglio.
Per salire a bordo mi hanno fatto indossare il salvagente da big jim, l’inguardabile casco, la bomboletta di ossigeno da usare in caso di ribaltamento, per fortuna si fidano del mio piede marino e posso circolare senza troppi confini. Si preoccupano quando, durante un cambio vele, metto il naso dentro la scassa della deriva: la pinna può muoversi in tutte le direzioni e viene usata in diverse configurazioni, non sempre alla massima immersione. Volare è una decisione dell’equipaggio e non solo il risultato della velocità che sale. Dopo la giornata Dalton confessa “siamo troppo stabili, si decolla troppo bene, secondo me vuol dire che c’è da limare, ridurre le superfici bagnate. Vedrai, Luna Rossa sarà di sicuro più veloce di noi ed è la prima volta che sono contento che un avversario sia più rapido di New Zealand: vuol dire che percorriamo la strada giusta e la nostra seconda barca sarà più forte”. Quando racconto il commento ai ragazzi di Luna Rossa ottengo solo qualche grugnito, il programma sviluppo velocità è da divulgare poco. Non ho avuto nessuna sensazione di pericolo.. si certo la velocità è tanta: il vento apparente a bordo supera agevolmente i 40 nodi, mi raccontano che non è raro leggere 60 nodi in testa d’albero… del resto basta fare due conti: 25 di reale più 45 di velocità… Pochi giorni dopo un collega neozelandese ha navigato a 44 nodi, con tanto vento in più: è sceso da New Zealand estasiato. Glen Ashby è categorico: “con una vela tradizionale sarebbe quasi impossibile gestire le manovre, faremmo a pezzi le stecche”. Per regolare l’ala si contenta di un piccolo winch con la scotta in diretta, il carico è di circa una tonnellata. Volete fare paragoni? Una vela tradizionale grande uguale potrebbe arrivare a un carico di scotta di 25/30 tonnellate . Questo è uno dei grandi vantaggi dell’ala rigida. L’ala di New Zealand ha un sistema complesso di regolazioni interne per modificare il twist. Sempre Ashby illumina “possiamo navigare con molto vento perché riusciamo a rendere negativa la parte alta, quindi a creare raddrizzamento e non sbandamento…”. E’ prevedibile che gli americani corrano ai ripari, non hanno la stessa possibilità, almeno nelle prime ali, non ci hanno creduto. L’ala è tutto, le altre vele sono semplici: il fiocco serve più per le manovre, che per la propulsione, il gennaker fa… ma di quello sappiamo tutto.
Differenze dal monoscafo? Sono stato su tante barche della Coppa: i J Class hanno un incedere maestoso, i 12 metri invece sembrano soffrire, gli Iacc sono complessi, tanta gente a bordo, piccole regolazioni, il timoniere è prigioniero del randista. Gli AC 45 sono nervosi, una sensazione di pericolo molto maggiore che sugli AC 72. Match racing? Mah… sarà una regata tanto diversa. Il canale del percorso è piuttosto stretto e prevedono sette virate per bolina e tre strambate per ogni poppa, bordi obbligati sul vento. Questa insomma sarà un’altra storia, tutta da scrivere e vedere. Una regata nuova, non sappiamo ancora se meglio o peggio. Diversa si. Del resto dal 1851 vince la barca più veloce e la ricerca è sempre stata in quella direzione. Perfino i J Class che adesso ci sembrano “barche d’epoca” sono stati disegnati con la collaborazione di ingegneri aeronautici.
La novità di questa edizione è che il fortissimo Team New Zealand dopo la difesa del 2000 si è dissolto per le lusinghe economiche che arrivano da tutto il mondo, per anni i kiwi hanno guadagnato poco pur di vincere ma adesso arrivano ingaggi sostanziosi. Un nucleo di quattro uomini d’oro ha seguito Russell Coutts in Svizzera: Ernesto Bertarelli li ha voluti per la sua sfida che chiama Alinghi, è un giovane imprenditore a capo di una industria farmaceutica, molto appassionato di barche che era stato spettatore nel 2000. Molti altri kiwi sono finiti in America da One World, un sindacato molto forte dove Peter Gilmour ha scelto per timoniere il giovane James Spithill, la sorpresa del 2000. Il giovane Dean Barker, allievo di Coutts, è rimasto fedele alla nazionale della vela mentre Tom Schnackenberg, un geniale velista e progettista gestisce l’organizzazione, però non saprà inventarsi anche manager. Patrizio Bertelli ha deciso per il ritorno di Luna Rossa, la vittoria della Louis Vuitton Cup alla prima partecipazione è un grande successo. Bertelli ha le stesse ambizioni e purtroppo lo stesso progettista Doug Peterson che vuole vincere la sua scommessa: non copiare la prua con il ginocchio neozelandese, come invece fanno tutti. Una storia di vecchi dissapori: non vuole riconoscere che il suo partner del 1995 Laurie Davidson rimasto con i kiwi ha avuto l’idea giusta. Timoniere e skipper è ancora Francesco de Angelis, tattico Torben Grael, l’equipaggio è in gran parte confermato con qualche inserimento. Tra gli altri sfidanti debutta un altro sindacato italiano, è Mascalzone Latino di Vincenzo Onorato, armatore storico dell’altura italiana. Poi ci sono Oracle Bmw con il debutto del multimiliardario Larry Ellison , lo skipper è Chris Dickson il timoniere Peter Holmberg e c’è Tommaso Chieffi alla tattica; Gbr Challenge del finanziere inglese Peter Harrison è affidata a Ian Walker, torna Stars & Stripes di Dennis Conner con Ken Read, poi la svedese Victory Challenge e di nuovo i francesi di Le Defi.
Luna Rossa è il Challenger of Record, ruolo che non le porta fortuna. Le regate della Luna infatti sono difficili, l’equipaggio è alle prese con una barca lenta e lo scopre subito demoralizzandosi, alla bravura dell’equipaggio non corrisponde un mezzo all’altezza, la sostituzione della prua e il licenziamento di Peterson non bastano a trasformarla in un purosangue. Alinghi, dove Russel Coutts ha allestito un dream team è la vera protagonista, i suoi avversari sono One World, che verrà penalizzata per aver usato dei dati illegali e Oracle Bmw, ma gli svizzeri hanno una barca molto veloce, che riesce a superare ogni situazione di crisi con facilità. Coutts ne mostra il potenziale solo quando è indispensabile e vince la Louis Vuitton Cup con facilità. L’incontro con i kiwi è una formalità: i neozelandesi non hanno una barca affidabile e commettono troppi errori, insomma non sono pronti, cosi rompono un albero, il boma, imbarcano troppa acqua. Con il cinque a zero per Alinghi la Coppa parte per Ginevra, verso lo storico rientro in Europa. Il Bertarelli decide di proporre una gara per definire la città che ospiterà la prossima edizione e alla fine sceglie Valencia.
I neozelandesi per la loro prima difesa della Coppa hanno voluto attendere la fine del secolo e il passaggio del millennio, che celebrano con una memorabile Haka. I kiwi sono lo squadrone di sempre, anzi, velisticamente hanno raggiunto la maturità completa e il team è fortissimo anche se c’è qualche crepa nella organizzazione: sir Peter Blake è al comando delle operazioni a terra, conduce la raccolta fondi mentre Russell Coutts è leader dell’equipaggio e dello sviluppo barca. I due non sono più in sintonia per motivi economici, Coutts vuole essere protagonista e guadagnare di più, ma questo non pregiudica le prestazioni della barca e il buon uso del fattore campo. I sindacati che hanno raggiunto la Nuova Zelanda per disputare formidabili regate nel golfo di Hauraki sono undici. L’Italia, dopo Azzurra Italia e il Moro di Venezia torna protagonista con Luna Rossa, la barca che Patrizio Bertelli ha affidato a Francesco de Angelis e a un team giovane , il tattico è Torben Grael mentre i progettisti sono German Frers e Doug Peterson. E’ l’inizio di una lunga avventura, Patrizio Bertelli ama la Coppa da sempre e in occasione della costruzione del megayacht Ulisse si è fatto convincere da Frers a partecipare. Luna Rossa, che si allena con materiale e barche di America Cubed, è molto veloce e durante la Louis Vuitton Cup conquista il soprannome di Silver Bullet. Gli altri sfidanti sono Stars & Stripes di Dennis Conner, che fa fruttare molto bene un budget esiguo e affida il timone a Ken Read, Paul Cayard è skipper di America One, c’è America True di Dawn Riley e John Cutler, Nippon con Peter Gilmour, Bravo España con Pedro Campos, Abracadabra di John Kolius, Le Defi con Bertrand Pace, Young America di John Marshall con Ed Baird. Quest’ultima si rompe in due come era successo cinque anni prima a OneAustralia: riescono a tenerla a galla e riportarla alla base, ma il sindacato ne risente psicologicamente e non riesce a esprimere le prestazioni dello scafo, considerato il più rapido della flotta tanto che dopo le regate gli asset verranno acquistati da Luna Rossa per preparare l’edizione successiva. C’è anche il primo sindacato svizzero, con Fast 2000, una barca complicata con timone di prua, molto rapida in linea retta ma ingovernabile in manovra, inoltre su Young Australia c’è il debutto al timone del diciottenne James Spithill, un ragazzo da tenere d’occhio. In questa edizione, visto il numero di sfidanti, si sperimenta una semifinale a sei con gironi all’italiana che in realtà si dimostra molto pericolosa per gli italiani che, pur forti, rompono un albero per la rottura di un tip cup (connessione delle sartie alle crocette) perdendo un punto prezioso. Solo la vittoria nell’ultima regata di America True contro Stars & Stripes li qualifica per la finale contro AmericaOne di Paul Cayard e Luna Rossa. Questa finale sarà una delle regate più combattute della storia della Coppa, le prestazioni delle due barche sono molto vicine, Luna Rossa è più collaudata mentre America One è arrivata in ritardo a Auckland e ha qualche difetto che si rivelerà determinante: gli stopper dei bracci spi a pedale, poco affidabili che con vento forte cedono e il tessuto degli spi che si rompe con il colpo di frusta delle onde, anche per questo da un iniziale vantaggio americano gli italiani prima rimontano e poi vincono di misura nell’ ultima regata dopo una serie di avvincenti colpi di scena. Le regate tra Luna Rossa e New Zealand sono purtroppo senza storia e il cinque a zero “secco” è inevitabile. I kiwi hanno per le mani una barca decisamente più veloce, dove hanno inventato molto, soprattutto una nuova prua con un vistoso ginocchio e un nuovo modo di distribuire i volumi, la chiamano barca con la flat polar, ovvero si può correre di bolina larga senza perdere acqua ma cercando di entrare prima in una raffica. E poi in partenza Russell Coutts non perdona, nella quinta regata debutta, dopo un bel gesto di Coutts, il giovane Dean Barker che per tutta la campagna è stato timoniere di allenamento.
il video:
La Coppa dopo la vittoriosa difesa di America Cubed contro il Moro di Venezia è rimasta a San Diego. Gli americani però sono deboli, nessun dream team con fondi consistenti come nel ’92. Ci sono però le selezioni dei defender cui partecipano Stars & Stripes di Dennis Conner, Young America che sfoggia tecnologia e una barca decorata dall’artista Roy Lichtenstein. Bill Koch schiera Mighty Mary, con equipaggio femminile e America Cubed decisamente più lenta. Gli americani si perdono tra giochi politici e vittorie in acqua e alla fine il defender è uno strano miscuglio di intenzioni. Dennis Conner, che ha scelto per timoniere Paul Cayard, vince con Stars & Stripes ma riconosce che la sua barca è lenta (ha vinto con l’esperienza e un equipaggio fortissimo) e chiede di usare Young America, del sindacato allestito dal vecchio amico John Marshall. Probabilmente è più veloce Mighty Mary, ma con Bill Koch tra proteste varie hanno litigato troppo e una eventuale vittoria con la sua barca non sarebbe opportuna. Conner commette un errore fondamentale: rifiuta di farsi “insegnare” come funziona Young America e pretende di cambiare le regolazioni e la messa a punto solo per averla osservata dall’esterno, proabilmente non avrebbe vinto ma forse qualche cosa di più poteva dire.
La vera battaglia nella fase preliminare, come spesso accade, è però stata nella spettacolare Louis Vuitton Cup, dove i soliti protagonisti hanno dato grande spettacolo. Lo sfidante è Team New Zealand, che arriva all’ incontro dopo aver perso una sola regata in tutta la serie per una piccola avaria. Quello dei kiwi è uno squadrone: sir Michael Fay dopo aver animato alcune sfide determinanti ha ceduto tutto il materiale a Peter Blake, recente vincitore del giro del mondo. Peter fa leva sullo spirito di team e sceglie per timoniere Russell Coutts, un maniaco della match race assieme al tattico Brad Butterworth e alcuni ragazzi che da tempo regatano con loro. Alcuni uomini lavorano insieme dall’87 (anno del dodici metri di vetroresina) e hanno accumulato una bella esperienza. I progettisti sono Doug Peterson e Laurie Davidson, c’è anche Tom Schnackenberg che alterna il lavoro di navigatore a quello di coordinatore delle vele. Blake dopo l’esperienza con Bruce Farr (autore e sostenitore del bompresso e della twin keel nel 92) ha deciso di ridurre drasticamente il potere dei progettisti e costruire un nuovo dialogo con l’equipaggio che vuole soprattutto affidabilità. Tutta la barca è costruita attorno al piano velico molto magro ed è strettissima. Si tratta di una “two boat campaign” nel vero senso della parola, i due scafi sono praticamente identici e progrediscono uno per volta per poter valutare a fondo l’effetto delle modifiche. Tra gli sfidanti c’è il grande ritorno di John Bertrand (lo skipper vincitore dell’83) con Australia One che conquista un singolare primato: lo scafo si spezza al centro e affonda in pochi secondi diventando l’unica barca della storia della Coppa ad essere affondata in regata. Una esperienza simile toccherà nel 2000 a Young America, ma l’equipaggio riuscirà a riportare la barca in porto. La barca persa poteva essere l’unica a dare qualche pensiero ai kiwi, mentre quella che resta, la prima varata, non è all’altezza. Gli altri sono più lontani: c’è ancora Nippon con John Cutler e Peter Gilmour, c’è Tag Heur disegno di Farr con Chris Dickson e alcuni vecchi leoni: è un programma low budget ma in alcune condizioni e con la cattiveria di Chris è davvero pericolosa, Farr escluso da New Zealand sa comunque il fatto suo e si esprime con uno scafo tradizionale molto rapido. Pedro Campos si presenta con Rioja de España, ci sono Sydney ’95 del grande appassionato ma non molto generoso Syd Fischer e France con una sontuosa campagna, che rimane fuori dalle semifinali sfidanti, allestita da Marc Pajot che finirà sulla graticola per i soldi spesi e i modesti risultati ottenuti.
Nelle regate della Coppa New Zealand umilia ogni giorno gli americani infliggendogli distacchi di oltre due minuti, così la Coppa vola a Auckland. Mitica la conferenza stampa dei vincitori, decisamente alticci: “terremo la Coppa cento anni”. Una dichiarazione un po’ esagerata…
Dopole regate dell’88 e l’altalena delle decisioni prese in Tribunale si torna in acqua con una edizione “tradizionale”. Si corre a San Diego e cambiano le barche: viene utilizzata una nuova regola di stazza per abbandonare i vecchi 12 metri Stazza Internazionale. La sfida è tra il Moro di Venezia e America Cubed, il contadino Raul Gardini contro l’industriale e petroliere Bill Koch. Per la prima volta una barca “latina” infatti vince la regata di selezione sfidanti Louis Vuitton Cup e sfida il colosso a stelle e strisce, finisce cinque a uno per gli americani. Al Moro di Venezia iscritto con il guidone della Compagnia della Vela di Venezia e timonato da Paul Cayard la soddisfazione, magra ma unica, di vincere una regata con un vantaggio di pochi metri. La barca americana, inesorabilmente più veloce, è timonata da uno strano consorzio: il vecchio campione Buddy Melges e l’armatore stesso, già famoso per le sue trovate nel campo dei maxi yacht. I veri vincitori sono i progettisti navali che fanno parte dello squadrone, soprattutto Doug Peterson, Jim Pugh e John Reichel che, in stato di grazia hanno saputo prima stringere la barca al galleggiamento e poi interpretare le ricerche del Mit che spingevano verso una drastica riduzione delle superfici immerse di deriva e timone, una mossa decisiva fatta negli ultimi giorni, gli americani in poppa sono imprendibili. America Cubed si seleziona battendo l’altra barca del sindacato Kanza e Stars & Stripes di Dennis Conner. Il Moro per essere il challenger ha battuto in una estenuante serie di regate nella finale delle selezioni New Zealand, penalizzata in una regata per l’uso improprio del bompresso con una manovra che però fa saltare i nervi ai kiwi che vengono rimontati e superati dagli italiani. Nelle due regate finali debutta senza successo la coppia Coutts-Butterworth che sostituisce Rod Davis e David Barnes. È una bella edizione, dove si sperimenta di tutto, come le tandem keel presenti su New Zealand e Spirit of Australia. Agli sfidanti si aggiungono Nippon portata da Dickson e Cutler, Ville de Paris di Marc Pajot, España ’92 di Pedro Campos, la svedese Tre Kronor di Gunnar Krantz, Challenge Australia di Syd Fisher.
Dopo la sconfitta subìta in Australia, Sir Michael Fay è determinato a vincere la Coppa. Su suggerimento di Bruce Farr cerca di sorprendere gli americani che tardano a definire come annunciato nuove regole per sostituire i vecchi 12 metri Stazza Internazionale. Fay a nome del Mercury Bay Boat Club (sede in una auto arrugginita) deposita una sfida contro il San Diego Yacht Club secondo il Deed of Gift dove dichiara di presentarsi con un monoscafo con lunghezza al galleggiamento di 90 piedi. Quello disegnato da Bruce Farr è un moderno J Class: imponente e particolare, con le sue ali. Dapprima gli americani non vogliono accettare, ma il giudice Carmen Beauchamp Ciparick della Corte Suprema di New York chiamata in causa li costringe a difendersi. Dennis Conner alle strette decide non senza un pizzico di provocazione di costruire due catamarani che fa disegnare da un pool di designer coordinato da John Marshall di cui fanno parte Gino Morelli e un pool di esperti della “piccola Coppa America”, dove si impiegano cat velocissimi che già usano vele rigide. Uno ha vele tradizionali e uno ha la randa alare in due parti per 160 metri quadri. L’efficienza di queste imbarcazioni è micidiale e il confronto con il monoscafo improponibile. Così Fay torna a rivolgersi alla Corte Suprema, che questa volta gli dà torto; il cat è “legale”. Si arriva alla sfida in acqua e il colosso di 27metri, con un albero di 46 e 600 metri di vela in bolina, contro l’agile e veloce catamarano di 18 fa una brutta figura, in due sole regate senza storia. Kiwi Magic finirà parcheggiato su un piazzale a Auckland, testimone di un’avventura considerata la peggiore edizione della Coppa, sebbene con i suoi elementi di spettacolarità. Nell’89 la Corte è chiamata ancora a decidere sulla regolarità delle regate: prima assegna la vittoria ai kiwi e poi in appello ci ripensa. È una edizione di rottura, dopo la quale si decide di definire una nuova regola di classe che sarà la IACC, utilizzata in cinque diverse versioni fino al 2007, e una vera rifondazione dell’evento.
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