La primavera nautica potrebbe esplodere, rapidamente e solidamente. Ma c’è ancora il freno a mano tirato forte, con la sicura. E ha un nome: redditometro. La paura di un rigurgito, di un incrudimento dei controlli che hanno per bersaglio dei proprietari delle barche sempre considerate “lussuose” paralizza il mercato dalla radice, ovvero a partire da quegli scambi a pochi soldi di imbarcazioni usate, che però muovono e smuovono tutto il settore. Dice Paolo Vitelli presidente di Azimut Benetti: “il rispetto delle leggi in materia fiscale è giusto e auspicabile, ma non devono essere persecutorie per i possessori di yacht rispetto a quelli di altri beni di lusso. Inoltre ritengo che l’associazione automatica armatore = evasore e l’utilizzo di azioni spettacolari come assalti in mare, articoli e interviste a senso unico, non fanno altro che generare un clima negative”. Nel mercato dell’usato ci sono in giro affari d’oro: oggetti naviganti che nel 2008 valevano 100 in liquidazione a 50, o anche meno. L’usato è un affare, qualcuno lo sa, ci prova. Anche il nuovo è un affare: i margini sono ridotti all’osso dalla necessità di fare cassa. Sintetizza bene Anton Francesco Albertoni presidente di Ucina con una battuta: “dobbiamo trovare il cliente… ma anche il modo per convincerlo”. La frase nasconde non solo un problema di prodotto, tutti i cantieri più bravi hanno affrontato la crisi proponendo novità, nuovi modelli, eco modelli e via dicendo, ma soprattutto un problema di motivazioni. Che vanno dalla paura dei controlli, denominatore comune per tutti, anche per chi vive di trasparenza perché comunque il fastidio e la perdita di tempo per un “accertamento” guastano sempre le vacanze, alle garanzie finanziarie. Se non ci si indirizza al “prêt à naviguer”, paga e porta via (molto difficile se non per i gommoni e le piccole unità) il patema di affidare per le barche più grandi dei denari di acconto che possono anche evaporare per molti motivi resta. Dunque la parola chiave di questa primavera è proprio questa: garanzia. Di comprare una novità che dura nel tempo, di affidare i propri soldi a qualcuno che li trasforma davvero nel sogno promesso dal volantino pubblicitario, di avere un servizio post vendita, di avere una qualità elevata. Insomma, un mercato con i piedi di piombo, attento. Poco volatile, di gente appassionata, un panorama in cui, ci dice Albertoni: “pur in una situazione difficile in cui non si può parlare di ripresa ci sono aziende che vanno anche più di prima, chi ha saputo essere concreto ha dei vantaggi. Dobbiamo fare i conti con un mercato che è totalmente diverso da quello di qualche anno fa. I pochi clienti si indirizzano dove c’è più barca. E poi è sempre più difficile capire se il prezzo è quello giusto, è difficile spiegare a chi vuole a tutti i costi fare un affare quanto vale il proprio prodotto. Ma i costi di produzione stanno realmente aumentando”. Risveglio delle barche piccole, i natanti sotto i dieci metri e tenuta delle barche di lusso, di cui siamo forti esportatori con un primato mondiale. In crisi il settore del medio, dai dieci ai venti metri, guarda caso un settore in cui l’usato è disponibile a cifre molto basse e dove la stretta nel concedere i leasing è stata più limitante. I grandi gruppi hanno capito prima di altri dove si andava. Paolo Vitelli afferma: “quello che ci ha differenziato da altri marchi sin dall’inizio della crisi è stata la nostra capacità di reagire velocemente ai cambiamenti e proseguire con i programmi stabiliti. Questo si è tradotto in un continuo rinnovamento della gamma, grazie al quale abbiamo potuto mantenere salda la leadership. Evoluzione, ricerca e innovazione sono le parole chiave alla base della nostra strategia. Purtroppo la crisi in Italia ha mietuto anche vittime illustri: ora più che mai, è chiaro che il mercato di questa nuova fase è riservato alle aziende solide, quelle che hanno costruito il loro successo su basi stabili”. Non distante l’idea di Norberto Ferretti, anima del gruppo omonimo: “Il Cliente è tornato ad essere quello di una volta, appassionato, competente e pertanto attento alla qualità e al comfort della navigazione e questo non può che renderci ancor più competitivi. Nostro obiettivo sarà continuare lavorare su prodotti sempre più innovativi e su servizi sempre più completi e customizzati rispetto alle esigenze dei nostri clienti. Entro la fine del 2013, il Gruppo prevede di presentare ben 42 nuove imbarcazioni, attualmente in fase di sviluppo. Per quanto riguarda questo anno nautico siamo cautamente ottimisti. Tutti i saloni a cui abbiamo partecipato ci hanno fornito un feed back positivo. Stiamo continuando a puntare sull’Est Europa, sul Far East, sul Middle East e sull’America Latina, oltre ai tradizionali mercati “domestici” dell’Europa allargata e del nord America. Da sette anni siamo presenti in Cina con un ufficio a Shanghai, e siamo appena rientrati dal Salone di Hainan, dove due nostre imbarcazioni che hanno riscosso un grande successo”. L’estero è il riferimento per chi produce barche di lusso. Dalla Cina arrivano segni di primato per il gruppo Azimut Benetti, anche lui impegnato da anni e attualmente leader di vendite: “L’Italia era e rimane la patria della nautica di lusso – aggiunge Paolo Vitelli – il nostro stile e le nostre barche continuano ad essere apprezzati e ricercati in tutto il mondo. La Cina sta diventando un vero mercato e le misure delle barche stanno crescendo rapidamente”. Fino ai 50 metri di un Perini Navi, attualmente in costruzione.
Il dottot Paolo Vitelli, ingegnere honorsi causa, inventore e anima del gruppo Azimut Benetti, in questi mesi ha lavorato duramente per non perdere le posizioni acquisite negli anni scorsi in tempi di crisi. Non si sbaglia a scrivere che ha “stretto i denti” e con lui tutto il gruppo, che per primo ha intrapreso iniziative pesanti di riduzione della produzione con il ricorso a cassa integrazione in maniera molto massiccia e alle prime avvisaglie della crisi. Complice anche una produzione abbondante che aveva in qualche modo rimepito i magazzini, se si può dire, che solo ora è stata smaltita. Fin dall’inizio di questo rallentamento produttivo gli è rimasta la ferma intenzione di restare particolarmente attivi nella progettazione e nella proposta di novità, con l’idea di proporre subito prodotti appetibili alla ripresa del mercato. Dopo anni in cui il mondo politico aveva capito la forte valenza industriale, di immagine per il made in Italy della nautica da diporto Vitelli vede con preoccupazione questo modo di portare le lancette del tempo all’indietro trasformando ogni possessore di barca in un osservato speciale, potenziale evasore, “la nostra industria crea ricchezza, racconta in tutto il mondo quello che sappiamo costruire e disegnare in Italia – dice – non mi stancherò mai di dirlo. E bisogna spiegarlo”.
Prima dell’estate il gruppo ha mostrato ai potenziali clienti a Cannes Porto Canto i nuovi progetti : la novità dell’Azimut 64, un motoryacht che si inserisce in una delle fasce più combattute del mercato dei fly bridge, ci sono i nuovi progetti delle gamme Magellan, Benetti.
Dott Vitelli, sente il suo gruppo uscito dalla crisi?
“Non ancora, ci sono dei segnali positivi del mercato, abbiamo effettuato delle vendite all’estero mentre il mercato domestico ha poco entusiasmo. Abbiamo fiducia. Ci sentiamo solidi e perfino più forti di prima. Non è bello dirlo, ma abbiamo anche la concreta speranza che qualche cliente perso dai concorrenti in difficoltà economica arrivi da noi. Abbiamo avviato la costruzione di un nuovo grande cantiere in Brasile a Itajaì, dove produrremo cento barche l’anno di sei modelli per essere più competitivi sui vecchi mercati e aggredirne di nuovi. Sarà in un’area coperta di 200 mila metri, il doppio dello storico cantiere di Avigliana. Detto questo abbiamo fiducia e soprattutto ci sentiamo solidi e perfino più forti di prima. Con un poco di cinismo posso dire che la crisi di qualcuno sarà un vantaggio per noi, che potrebbe arrivare qualche cliente che non avevamo””.
C’è un motivo per questi risultati?
“Mi lasci dire che succede perché siamo i più bravi. Perché siamo un’azienda privata con una strategia a lungo termine, concentrata su prodotto e cliente e non sulla finanza o sull’arricchimento dell’azionista”.Che risposta danno i mercati stranieri?
“Il mercato europeo, che ha come bacino il Mediterraneo è ancora in difficoltà. I cantieri inglesi stanno lavorando bene e la Francia che continua ad applicare con coerenza norme chiare resta un riferimento anche per gli armatori italiani. Gli Stati Uniti sono in ripresa, il Messico è in forte crescita e il Brasile in piena espansione e non a caso abbiamo scelto di produrre direttamente. Ci sono nuovi ricchi e quindi potenziali clienti per le grandi barche in Cina, India, Corea. Anche la Malesia, molto legata a Singapore, ha una nuova classe con grandi disponibilità”.
Ci sono delle barche più adatte a superare la crisi?
“L’obiettivo per un cantiere come il nostro è sempre lo stesso: dare di più in barca e tecnologia riducendo i costi di acquisto. Quello che è successo in questi anni ci ha spinto ancora di più in questa direzione e siamo convinti di poter proporre al mercato grandi vantaggi rispetto a molti concorrenti. Adesso ci stiamo concentrando su Azimut Grande, ovvero sulla produzione con marchio Azimut di imbarcazioni oltre i trenta metri. Per quanto riguarda Benetti abbiamo inaugurato la nuova linea Sensation, con barche di alluminio semiplananti”
All’orizzonte c’è una nuova spinta verso le barche a basso impatto. Quali sono le sue idee?
“Per fare discorsi seri bisogna parlare di efficienza generale e quindi soprattutto di riduzione dei consumi anche con tecnologie tradizionali. I nostri motori hanno emissioni come gli Euro5 stradali, i generatori hanno un sistema che decanta i fumi, gli impianti delle acque nere sono sempre più sofisticati. Abbiamo iniziato a proporre tessuti naturali e legni lavorati con trattamenti poco inquinanti. Per non tagliare le foreste vogliamo proporre una rivoluzione usando per i ponti il teak artificiale. Un risultato da raggiungere è il riciclo della vetroresina. Ci stiamo lavorando”.
L’unica regata della ottava giornata del Louis Vuitton Trophy è il “re-sail” dell’incontro tra Emirates Team New Zelaand e BMW Oracle, raccomandato dalla Giuria al Comitato dopo le decisioni seguite alla penalizzazione della barca neozelandese per tensione insufficinete dello strallo di prua.
Oggi per la barca neozelandese era importante vincere, utile a rimanere in testa alla classifica con cinque punti come Synergy e Artemis. Per quella americana altrettanto importante: lotta per la salvezza. Lotta per non finire tra i due esclusi dal round robin, che sarebbe una posizione molto scomoda per i Defender della Coppa America.
Si parte presto al mattino, con il vento che comincia a soffiare con una certa decisione: le previsioni sono chiare e Peter Reggio vuole disputare più prove possibile prima che il Mistral, il vento che arriva dal Golfo del Leone e spazza il Tirreno, diventi troppo forte.
La partenza è sostanzialmente a favore della squadra neozelandese, che naviga sulla sinistra del campo e guadagna presto acqua. Alla fine della bolina le due barche sono vicine, molto vicine, ma i kiwi passano la boa con qualche secondo di vantaggio. Nella poppa una bella battaglia, ravvicinata e spettacolare, finisce a favore della barca kiwi che gira in testa e sembra allungarsi bene ancora una volta verso sinistra lungo la bolina. Gli americani però si fanno pericolosi, Dean Barker si difende e in una manovra di “dial up” molto vicina alla boa guadagna una penalità a suo favore. BMW Oracle la esegue troppo vicino alla boa ed è costretta dagli Umpire a rifarla appena inizia la poppa.
Da lì in poi per i kiwi è una cavalcata solitaria per la barca neozelandese che conquista il suo quinto punto e si installa in testa alla classifica.
Subito dopo il Comitato di regata presieduto da Peter “Luigi” Reggio decide di rimandare a casa le barche perchè il maestrale comincia a essere troppo forte. Le previsioni del tempo sono cattive per tutto il pomeriggio e almeno per domani mattina: il vento potrà raggiungere i 40 nodi. Poco dopo il rientro a terra viene presa la decisione di rinunciare alle regate di domani e concedere ai team un giorno di riposo dopo il programma estenuante, anche se spettacolare, dei giorni scorsi.
Classifica provvisoria
1) Artemis, 5-2, 5 punti
1) Emirates Team New Zealand, 5-2, 5 punti
1) Synergy Russian Sailing Team, 5-4, 5 punti
4) TEAMORIGIN, 4-3, 4 punti
4) All4One, 4-3, 4 punti
6) Mascalzone Latino Audi Team, 4-1, 3 punti *
6) Azzurra, 3-4, 3 punti
8) Luna Rossa, 2-6, 2 punti
9) BMW Oracle Racing Team, 1-6, 1 punti
10) ALEPH Sailing Team, 2-4, -2 punti *
* Punti dedotti per intervento della Giuria/Comitato
La giornata comincia con l’incertezza del vento, quando il Comitato chiama in mare la barche è ormai ora di pranzo e il programma è in ritardo di qualche ora. Del resto la notte è stata lunga, con la bella festa, il “beach party” che Louis Vuitton ha voluto a Cala Trinita e ha tenuto impegnati gli equipaggi fino a tardi: prima stregati dallo spettacolo di un magico tramonto sulle Bocche di Bonifacio e poi delle danze.
La prima coppia di equipaggi era quella formata da Luna Rossa e TeamOrigin. Per i primi quasi una lotta per la sopravvivenza, per i secondi una vittoria era importante per restare nelle parti alte della classifica dove regna Artemis. TeamOrigin, ben manovrata dal timoniere Ben Ainslie e dal tattico Iain Percy conquista subito la sinistra del campo che si rivela il lato favorito. Per Ed Baird e il suo equipaggio di veterani la partita è subito chiusa: gli inglesi conducono per tutta la regata, senza fatica, e vincono con un vantaggio di 37 secondi.
I due turni successivi toccano ad Azzurra, con due avversari importanti. Per la barca di Francesco Bruni e Tommaso Chieffi gli incontri sono contro Synergy, barca di bandiera russa ed equipaggio internazionale e Artemis. Come nella regata precedente la vittoria si costruisce nelle primissime scelte e Azzurra decide bene: parte a sinistra come avevano fatto gli inglesi, poi decide di “scambiare” lato quando ha il vantaggio sufficiente a passare sulla destra del campo e gira la boa di bolina in vantaggio. Il vantaggio è poco, ma quel che basta a contenere il ritorno di Jablonski e la sua Synergy. Nella seconda bolina si lavora tanto per un “tacking duel” (un duello di virate) in cui si contano dodici cambi di bordo. Azzurra vince con 15 secondi di vantaggio.
Poco dopo la partenza della terza regata del giorno, Azzurra contro Artemis, la capo classifica. Si prova a partire una prima volta, poi il comitato si rende conto che il genoa di Artemis è sbagliato e richiama le barche. Nella partenza vera il timoniere di Artemis, l’americano Terry Hutchinson, controlla bene Bruni e gli somministra una penalità. Artemis e Azzurra restano sempre vicine, Azzurra passa in poppa ma il suo vantaggio non basta. Anzi lungo la bolina Artemis naviga meglio e passa di nuovo in testa. Insomma per gli italiani non ci sono possibilità ne di restituire la penalità ne di conquistare un vantaggio adeguato a eseguirla in tranquillità. Devono cedere ad Artemis che conquista il quinto punto.
Nel quarto match Artemis e Synergy sono un incontro al vertice: gli svedesi sembrano controllare bene gli avversari, ma al cancello di poppa compiono un errore di manovra e rompono il tangone, il gennaker si infila sotto la barca e si fermano mentre gli avversari sfilano di poppa e vanno a conquistare una vittoria importante.
Il programma si conclude con l’incontro tra Emirates Team New Zealand e All4One. Si corre questa quinta prova con l’anemometro che sfiora i venti nodi e crea qualche difficoltà agli equipaggi. La regata è presto detta: in partenza il timoniere della barca franco tedesca Sebastien Col controlla bene Dean Barker che entrava con la bandiera blu, le due barche si scambiano qualche favore sulla linea di partenza, ma All4One esce un po’ meglio. Lungo la bolina sulla barca neozelandese si apre un piccolo taglio sul genoa, fatto che limita le possibilità di virare: farlo potrebbe significare ingrandire lo strappo. I kiwi sono costretti a inseguire e nella poppa successiva si avvicinano un poco all’avversario ma non basta per cambiare le sorti della regata. All4One vince con un vantaggio di 21 secondi.
Classifica provvisoria
1) Artemis, 5-2, 5 punti
1) Synergy Russian Sailing Team, 5-4, 5 punti
2) Emirates Team New Zealand, 4-2, 4 points
2) All4One, 4-3, 4 punti
2) TEAMORIGIN, 4-3, 4 punti
6) Mascalzone Latino Audi Team, 4-1, 3 punti *
7) Azzurra, 3-4, 3 punti
8) Luna Rossa, 2-6, 2 punti
8) BMW Oracle Racing Team, 2-5, 2 punti
10) ALEPH Sailing Team, 2-4, -2 punti *
* Punti dedotti per intervento della Giuria/Comitato
I porti turistici sono la vera Cenerentola del sistema infrastrutturale “turistico nautico” italiano. Perché? Soprattutto perché la cultura che sta alla base della concezione di porto turistico è sbagliata, aggrappata a una concezione di marina che funziona solo in alcuni casi, peraltro rari, che trasforma le barche in pretesti per costruire a terra e i porti in garage impenetrabili del turismo, aperti solo alle barche residenti. La trasformazione culturale necessaria è capire che il porto turistico, almeno in una forma buona per le vacanze, è una infrastruttura che porta benessere alle comunità locali. La regione Sardegna, tanto per fare un esempio, qualche anno fa ha messo in opera uno dei piani più inutili e disastrosi dedicati alla portualità turistica. Con un costo per posto barca incredibile (molti soldi pubblici) è riuscita a “de” localizzare i porti, con il risultato che ci sono alcune realtà in cui per comprare una bottiglia d’acqua bisogna prendere il taxi. Va da se che tolte alcune realtà famose il resto funziona poco, e funziona a costo di rimaneggiamenti continui e costosi. Se da una parte le comunità locali continuano a non capire come si può creare occupazione con i porti turistici dall’altra il fronte dei marina privati fa corpo unico e si difende su un terreno facile. Nelle condizioni attuali dello Stato è impensabile assegnare ai porti turistici un ruolo infrastrutturale e dedicare fondi pubblici alle opere. Spesso non servirebbe un euro pubblico, basterebbe mettere a disposizione quello che già esiste, moli inservibili costruiti per qualche elezione dimenticata. In Italia esiste una associazione di marina, si chiama Assomarinas e il suo presidente è Roberto Perocchio. Racconta una fase positiva nella costruzione dei marina, un censimento fatto dall’associazione che ha dei motivi di interesse. “Il nostro censimento più recente ci restituisce una stima di 40600 posti barca che verranno completati, realizzati nei prossimi anni. E’ una stima realistica, cui crediamo – dice – “si tratta di interventi nuovi, di recuperi urbanistici. La nostra impressione è che la delega alle autorità locali sta funzionando bene per concretizzare nuove strutture. Ad esempio l’iniziativa di Fiumicino ne è una concreta testimonianza”. Non tutti sono della sua opinione, anche se questo numero è positivo arriva dopo un immobilismo durato troppo tempo, rallentato proprio dal passaggio dei poteri demaniali alle autorità periferiche che ha provocato per almeno cinque anni una sorta di paralisi: le Regioni non erano pronte (non tutte per fortuna) con funzionari che avessero una cultura specifica sull’argomento. Chi c’era ha voluto rivedere in molti casi concessioni già concesse. E in termini di programmazione complessiva talvolta il peso si sente ancora: invece di un sistema organico, connesso e utile a un flusso turistico nautico che ha bisogno di diverse tipologie e servizi portuali, perché un conto è parcheggiare la barca durante l’inverno altro è navigare, spesso i marina nascono come funghi spontaneo spinti da richieste locali. Il tutto dovrebbe essere inquadrato in un intervento strategico, nazionale se non Mediterraneo. Una recente proposta di legge per la revisione delle Autorità portuali in qualche modo “liberalizza” l’uso dei pontili galleggianti, togliendo la necessità della licenza edilizia che per molti anni è stata usata come una delle scuse per bloccare i lavori può davvero servire a migliorare la situazione .In realtà la questione era discussa anche prima, nel senso che per alcune interpretazioni non era necessario arrivare alla licenza edilizia per queste strutture che sono mobili, ma il fatto che non ci fosse una norma univoca era fonte di incertezza. Racconta ancora Perocchio: “E’ una misura sensata, perché il Comune è già coinvolto nella concessione demaniale e quindi sa cosa succede. Era un inutile doppione”. Come abbiamo scritto all’inizio in alcuni casi il principale ostacolo allo sviluppo della portualità sembra essere la concezione classica di “marina turistico”: una enclave dove non si può entrare, non si può uscire. Certo è protezione ma spesso è anche una negazione della funzione stessa di porto, interfaccia tra il territorio, e i suoi abitanti, e il mare. Spesso il cancello è una invalicabile barriera. Ci sono luoghi dove per regolamento urbano i porti turistici collocati nei centri storici non possono essere chiusi al pubblico. Le barche da diporto diventano arredo, oggetti da guardare per chi frequenta il “sea side”. I viaggiatori a loro volta trovano un ambiente vitale, dove la vita è spontanea e non è generata con forza dalla gestione, per rendere il posto abitabile. Certo, questo può implicare dei problemi di sicurezza, ma anche per questo alcuni marina sono diventati dei grandi garage a cielo aperto. Dove si crea una vita artificiale o dove non si riesce per nulla a creare una vita.
E’ a La Maddalena uno degli oggetti naviganti più inguardabili che siano stati concepiti. Il passato, e anche il presente, ci ha proposto barche veramente brutte, ma almeno avevano l’attenuante di non avere nessuna firma e nessuna ambizione: erano il frutto di fantasie personali. Il pubblico di fronte a questa creatura di nome Ocean Emerald si sente costretto ad annuire, anzi stupire. Il motivo sta nella firma. Grande architetto, grande designer che si esprime a suon di conferenze stampa e che muove una corte rinascimentale di bravi ragazzi e ragazze che lo seguono con il nasino per aria. Si chiama sir Norman Foster, ed effettivamente è uno dei maestri dell’architettura contemporanea, ha scritto pagine interessanti nelle grandi opere londinesi e mondiali: torri, grattacieli, restauri. Ma andar per mare è una storia diversa, come sappiamo. E questa barca non solo è brutta da vedere, rolla anche da ferma per le sue grandi sovrastrutture. C’è qualcosa di buono? Si, il dentro non corrisponde al fuori, nel senso che gli spazi e gli arredi, le luci, sono gradevoli e lontani dal kitch consueto delle navette a motore, dove sembra spesso che le lezioni del design contemporaneo siano dimenticate e che si possa esprimere solo lo stile “ottone e radica”. Lo stile di arredo in realtà è molto simile alla new age minimale proposta una decina di anni fa da alcuni progetti di restauro. Insomma sir Norman Foster ci ha deluso. E tanto. E più di lui tutti quelli che, solo perchè è baronetto, pensano abbia ragione.
Una bicicletta, pochi minuti di pedalata senza affanni dall’Antico Arsenale che ospita il Louis Vuitton Trophy, ed ecco il ponte tra La Maddalena e Caprera. Massi di granito che il vento ha sbozzato in sculture improbabili, macchia mediterranea, una pineta popolata dai cinghiali. La sequenza di rettilinei e curve finisce a Stagnali, la nostra meta, un’antica struttura militare non lontana dalla casa di Garibaldi, dove si trovano il Museo Geomineralogico, il Museo del Mare e delle Tradizioni Marinaresche e il Centro Ricerca Delfini.
Tutti ma proprio tutti i minerali dell’isola sono raccolti nelle due sale della prima struttura. Il responsabile Ennio Santoro, esalta le caratteristiche del granito isolano. “E’ il più tenace e duro. I nostri scalpellini e la nostra pietra hanno reso La Maddalena famosa nel mondo”. Una foto, vecchia di ottant’anni, immortala la preparazione sull’isola del singoli elementi e il montaggio in Egitto del gigantesco monumento intitolato “Alla difesa del Canale di Suez”, una sorta di torre-obelisco visibile a chilometri di distanza. Una scacchiera a settori, protetta da un cristallo. “Ognuno contiene la sabbia di una nostra spiaggia”. Dal grigio all’oro al giallo al rosa. Santoro indica contemporaneamente due riquadri, il primo è grigio, appena macchiato di rosa, nel secondo il colore è intenso. “La spiaggia di Budelli ha ritrovato il suo colore naturale grazie alla tutela ambientale. I turisti prelevavano la sabbia come souvenir, le ancore aravano i fondali e uccidevano la Posidonia, “responsabile” della colorazione della rena. Siamo tornati all’antico, fortunatamente”. Domina la sala un grande blocco di quarzo che Santoro definisce “eccezionale”. In un’altra vetrina, le testimonianze preistoriche dell’utilizzo delle pietre locali: coltellini in selce, punte di freccia in ossidiana, pestelli in “Gneiss”. Un settore è dedicato alle attrezzature dei cavatori. Scalpelli, ovviamente, martelli di ogni tipo, manuali e pneumatici. Nella seconda sala, decine e decine di specie di conchiglie e di flora marina.
Il Museo del Mare e delle Tradizioni Marinaresche “apre” con un’attrezzatura completa da palombaro con tanto di pompa della ditta Italo Zannoni di La Spezia, risalente ai primi del secolo scorso, baule, vestiario e tabelle originali di decompressione. Poi, modelli in scala di scafi. E madieri, bozzelli, passacavi, tutti di fattura artigianale, fanali di via, bussole. Non si tratta di cimeli ma di “strumenti quotidiani”, opacizzati dall’uso e dal tempo. Un armo latino, completo di vela, campeggia nella seconda sala, a fianco di un boma proveniente da una grande imbarcazione ottocentesca.
Tra i responsabili del Centro Ricerche Delfini, Irene Galante, milanese. “In queste acque vivono circa cinquanta esemplari della specie Tursiope. Nelle Bocche di Bonifacio, transitano anche Stenelle e Balenottere. Un maschio adulto di Tursiope, che in libertà vive sino a quarant’anni, può pesare sino a trecento chili per tre metri di lunghezza”.
Il Tursiope è il delfino che conosciamo grazie al cinema. Pare sia un attore nato. Curioso, intelligente, facile da addestrare. Il Centro monitora tutto l’anno dal gommone gli esemplari in arcipelago; il Tursiope ha abitudini costiere e stanziali. Ogni delfino ha una sorta di carta d’identità che ne permette il riconoscimento: la pinna dorsale, mai eguale a un’altra. Da qui, il nome attribuito a ciascun esemplare: Pippo ( è il più famoso, un grande poster lo ritrae a pelo d’acqua mentre si sta immergendo, la pinna è ben visibile), Pennabianca, Lembo… Al nome non corrisponde sempre la certezza sul sesso dell’esemplare. “Andiamo per esclusione” precisa Irene. “Se un esemplare viene avvistato per più stagioni senza un piccolo che nuota al suo fianco, è un maschio. I cuccioli restano con la madre per almeno tre anni”. Il delfino ha un palato fine; le sue papille gustative ne fanno un intenditore di triglie e calamari. Meno gradito è lo scorfano. Tra le attività del centro, i corsi di educazione ambientale per studenti, la divulgazione ai turisti e un parallelo monitoraggio dei Tursiopi in collaborazione con i pescatori locali.
Donatello Bellomo
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