Conclusione con vittoria di Luna Rossa Swordfish nelle America’s Cup World Series di Napoli, unico evento europeo dedicato alla Coppa America prima delle regate che dal 4 luglio saranno a San Francisco prima con la Louis Vuitton Cup e poi con la Coppa America. E’ stata una settimana intensa, ogni giorno ha soffiato un ponentino ideale per le regate che hanno sempre rispettato il programma davanti a un pubblico unico: sui quattro chilometri di lungomare sono state stimate fino a 180 mila persone nei giorni di punta e un totale che supera il milione di persone. E ieri giocava il Napoli, una concorrenza in casa. Luna Rossa schierava due barche, Luna Rossa Swordfish con Francesco “Checco” Bruni al timone e Luna Rossa Piranha di Chris Draper. E’ andata meglio la prima, che ha disputato la finale del programma di match race contro Oracle Team Slingsby nome che ai più dice poco ma che è il campione olimpico della classe laser. Dopo una partenza formidabile di Bruni, che ha parcheggiato l’avversario vicino alla barca comitato, purtroppo si è fatto rimontare dagli americani che sono andati a vincere. Al bravo timoniere palermitano è andata meglio nella regata di flotta, dove gli americani sono partiti ancora una volta protagonisti ma hanno dovuto cedere più volte il comando: prima ai francesi di Team Energy con timoniere Yann Guichard e poi a Luna Rossa Swordfish che con la vittoria nell’ultima prova ha conquistato anche il primato nelle regate di flotta. Per il pubblico napoletano ogni mossa dei nostri eroi era un momento di gioia che si è conclusa con un plebiscito popolare. Racconta Bruni: “vincere la serie di flotta era l’unica maniera per dimenticare gli errori fatti nella finale di match race. La vittoria nella serie di flotta rappresenta un grande risultato per me. Avremmo potuto festeggiare una doppietta, ma non ce l’abbiamo fatta. Non ringrazierò mai abbastanza il mio equipaggio, composto da Paul Campbell-James, Max Sirena, Xabi Fernandez e Manuel Modena: hanno fatto tutti un grandissimo lavoro”. La soddisfazione per Bruni è doppia: lui sulla barca grande, quella della vera Coppa America che è arrivata ieri a San Francisco è tattico, mentre il timoniere titolare è Chris Draper che era su Piranha, arrivata quarta. Bruni è uno dei talenti italiani, ha saputo navigare bene alle Olimpiadi interpretando tre barche diverse: Laser, 49er e Star. Adesso dimostra di aver imparato anche i catamarani, che sono un mondo a parte. La settimana di Luna Rossa è stata difficile, una collisione con Emirates Team New Zealand durante le qualifiche di match race è costata un lavoro notturno intenso per danni a una prua e al supporto dello strallo di prua. Dopo qualche giorno di pausa tutto il team andrà a San Francisco per montare l’AC 72 e allestire la base. Il circuito delle World Series 2012 – 2013 che assegnava un trofeo particolare è stata vinta da Oracle Team. America’s Cup World Series Napoli –

Classifica finale serie di flotta: 1. Luna Rossa Swordfish (Francesco Bruni) – 80 punti 2. ORACLE TEAM USA (Tom Slingsby) – 80 3. Emirates Team New Zealand (Dean Barker) – 71 4. Luna Rossa Piranha (Chris Draper) – 70 5. J.P. Morgan BAR (Ben Ainslie) – 65 6. Energy Team (Yann Guichard) – 58 7. Artemis Racing White (Charlie Ekberg) – 40 8. HS Racing (R. Hagara/H.S. Steinacher) – 36 9. China Team (Mitch Booth) – 30

Oracle cammina forte anche quando a timonare non sono i grandissimi, Russell Coutts e James Spithill. Tocca al giovane campione olimpico del Laser Tom Slingsby insediarsi in testa alla classifica con belle prestazioni. Ma quello che emerge dal secondo giorno di regate delle Wolrd Series di Napoli è anche un generale livellamento dei valori verso l’alto. Con Emirates Team New Zealand a un solo punto dagli americani, come anche Ben Ainslie con JP Morgan, potenziale sponsor di una sfida inglese alla Coppa America. Luna Rossa Swordfish ha fatto solo benino:  nei quarti di finale delle match race ha vinto contro Emirates Team New Zealand con il botto, una collisione in boa che costringe gli uomini dello shore team a lavorare tutta la notte per sistemare le barche. Luna Rossa aveva diritto di rotta per essere entrata nelle tre lunghezze dalla boa prima dell’avversario. Emirates non ha neanche tentato di cambiare rotta, come del resto Bruni, era ormai impossibile.  Da Luna Rossa Swordfish è caduto in mare il sesto uomo, che per l’occasione era Pino Acquafresca componente dello shore team e non è l’unico danno del giorno, si è rotto infatti anche l’ancoraggio dello strallo di prua da un punto di vista tecnico più grave della ferita alla prua. Nell’altra regata di match in programma è stata ancora Oracle Team Slingsby a battere HS Racing di Roman Hagara.  Giornata piena e gran sole e gran vento nel Golfo di Napoli, inizio di un gran week end di vela.

E’ il baronetto più medagliato della vela il protagonista delle regate delle World series di Napoli: con il suo JP Morgan è già in testa alla classifica delle fleet race con una vittoria e un terzo posto, ha vinto la match race di qualifica per l’accesso ai quarti. Ha sbagliato meno e inutito di più come spesso accade nella vela. Il suo nome completo è sir Charles Benedict Ainslie, la regina Elisabetta gli ha concesso il titolo dopo le regate vincenti di Weymouth, campo di regata dei giochi di Londra e in realtà fa parte dello squadrone di Oracle anche se qui sta correndo con la bandiera ingelse e il suo sponsor, nella speranza di portare di nuovo l’Inghilterra in Coppa America. Nella match race aveva sbagliato la partenza contro Team Energy di Yann Guichard, che a sorpresa era riuscito a ingabbiarlo. Tuttavia nella navigazione di bolina ha mostrato il suo manico, comprendendo prima di altri che il vento sarebbe saltato verso destra.  Nelle fleet race vittoria di Emirates Team New Zealand in una regata che doveva essere di Luna Rossa Piranha partita molto bene.  Swordfish di Bruni meno efficace, dopo due vittorie nelle regate di prova è rimasto a centro flotta.

Il golfo di Napoli è in splendida forma per l’inizio delle regate delle AC World Series, unica tappa europea di quest’anno e conclusione del circuito 2012 – 2013. L’anno scorso c’era tempesta e Luna Rossa Piranha aveva vinto le regate di flotta con un jack pot nell’ultimo giorno. Quest’anno torna in forze, team con due barche affidate ai due titolari dei ruoli chiave per la sfida che da luglio vedrà impegnati gli sfidanti a San Francisco nella 34 edizione della Coppa America che si correrà con i catamarani volanti della classe AC 72, volanti perché si alzano sull’acqua come aliscafi. Un concetto che non tutti capiscono al primo colpo, la magia del foiling, l’ossessione di Tabarly è divenuta realtà quotidiana. Adesso la scommessa per  gli equipaggi è di volare anche in strambata, non perdere mai la velocità.
Chris Draper, giovane inglese timoniere titolare con la passione della mountain bike e della bici acrobatica, è alla barra di Luna Rossa Piranha, Francesco “Checco” Bruni, tattico titolare sarà invece a bordo di Luna Rossa Swordfish assieme allo skipper del team Max Sirena. Bruni, che dice “mi va bene il ruolo di tattico sulla barca grande, sono qui per imparare le reazioni al timone dei catamarani”. Reazioni già imparate, visto che nelle regate di prova ha vinto più di una regata. Si dice che potrebbe essere il timoniere di partenza a San Francisco “è una ipotesi –dice- ma le operazioni di prepartenza durano appena due minuti, ad alta velocità, non è la danza tipica dei monoscafi”. Dunque mentre negli States si montano le basi, e tutto è un po’ in ritardo, a Napoli si regata davvero. A testimoniare il tasso tecnico in campo il numero di medaglie olimpiche totali, 13 distribuite in diversi equipaggi. Il riferimento, per bravura olimpica, è sir Charles Benedict Ainslie, detto Ben: 5 medaglie, l’uomo che ha vinto di più nella vela. Provate voi a vincere una medaglia in cinque edizioni diverse dei Giochi, debuttare con un argento e poi vincere quattro ori consecutivi. Ben è nello squadrone americano di Oracle, ma qui a Napoli corre con lo sponsor J.P.Morgan, che tra l’altro ha appena dichiarato utili importanti, la bandiera inglese e l’intenzione di allestire per la edizione 35 della Coppa un team inglese “alla Coppa serve un team british” dice. Il timoniere più giovane è quello di Artemis, la squadra condotta da Paul Cayard, si chiama Charlie Ekberg e correrà la Youth America’s Cup Red Bull, manifestazione parallela per addestrare i giovani equipaggi. Al veterano Mitch Booth, nascita olandese e passaporto australiano, tocca fare scuola vela all’equipaggio di China Team. Ci sono i francesi di Energy Team, sempre pericolosi con i catamarani con al timone Yann Guichard. Oracle ha lasciato il timoniere titolare James Spithill a San Francisco e qui corre il giovane Tom Slingsby, preso al volo dopo la conquista dell’oro il Laser a Londra. HS Racing è la barca di Roman Hagara, austriaco asso del Tornado, il catamarano olimpico. Per ultimi abbiamo lasciato i fortissimi neozelandesi di Emirates Team New Zealand con Dean Barker e il tattico Ray Davies. Sempre incisivi, puliti e pericolosi. Le regate iniziano giovedì e terminano domenica, la Rai ha conquistato i diritti per la diretta.

Questo articolo rivisto e riletto dopo qualche mese dai fatti e dopo tutto quello che è successo fa un certo effetto. Da qui in poi infatti saranno davvero pochi gli ospiti ammessi a bordo degli AC 72. Adesso mi chiedo se “dovevo” aver paura, idea che non mi ha sfiorato per un secondo nelle ore passate a bordo nel mitico Golfo di Hauraki. Forse perché  ho visto la sicurezza dell’equipaggio kiwi ed ero seduto di fianco a Glenn Ashby. Sono convinto che quello che è successo a Andrew Simpson è stato anche, come dice Max Sirena, il frutto di una catena di eventi che prendono anche il nome di sfiga. Brad Butterworth afferma che una morte “in porto” è inaccettabile e ha ragione. Un conto è perdersi a Capo Horn, altro a centianaia di metri da riva, con attorno i gommoni.
Comunque questo è il resoconto a caldo di una giornata di ottobre passata a bordo di ETNZ AC 72.

E’ stato incredibile, una giornata da ricordare… a poche ore dal varo di Luna Rossa a Auckland mi sarei contentato di seguire New Zealand dal gommone, vederla navigare da fuori. Invece mi hanno invitato a bordo e per un regalo vero per cui è bastato un Sms di Warren Douglas, ufficio stampa ETNZ.  Questa confidenza oltre tutto è stata il sintomo di un cambiamento radicale del grado di protezione dei segreti nel design preteso dai team: chi non ricorda i tempi delle barche protette dai teloni, cui era impossibile avvicinarsi pena essere malmenati da qualche energumeno. Invece è stato facile, certo i kiwi mi conoscono da anni, ma questo non sarebbe certo bastato, in altri tempi se non per essere invitato a una festa di fine regate. Ho già navigato con i silenziosi kiwi, un equipaggio tanto diverso in regata da ogni altro, a loro bastano poche parole a prendere le decisioni più gravi. Anzi sguardi: Barker muove la testa e tutti corrono per la virata. Questa grande nazionale della vela neozelandese pianta le radici nella lontana sfida di New Zealand per l’edizione ’87 a Perth Australia, la barca di plastica, passa attraverso la grande vittoria del ’95 con l’eroico Peter Blake. Molti di quei “ragazzi” hanno proseguito e vinto in ogni mare, intrecciando i loro destini. Se la sfida vincente ha provocato un vero caso nazionale, tesi di laurea comprese, la sonora sconfitta del 2003 è stata protagonista di interrogazioni parlamentari e adesso tutti rivogliono la Coppa nella sede del Royal New Zealand Yacht Squadron.
Il messaggino diceva “sail for you tomorrow at 8 30”, qualche minuto di attesa e siamo a bordo, stacchiamo dalla banchina: fin dall’inizio è tutto veloce, più veloce di qualsiasi altra barca: il traino (e ci sono molte miglia dal Viaduct Basin fino al golfo dove ci si allena) è a 25 nodi, quando il gommone rimorchiatore (quattro motori da 300 cavalli, plana mentre traina) ci lascia e l’equipaggio si prepara all’allenamento si naviga a 10 nodi spinti solo con dall’ala libera, cioè senza scotta che addirittura non è ancora passata nel bozzello: lo sarà in diretta sul winch su un bordo e con un paranco che smezza la corsa sull’altro. Mi pare tutto molto semplice, facile. Tra gli undici dell’equipaggio, ma siamo di più con i tecnici, alcuni mitici personaggi dello sport. Le prime prove sono di bolina, ala e fiocco piccolo, è facile vedere lo speedometro salire a 22, 24 nodi, non siamo in “foiling” e so bene che il boccone migliore deve ancora arrivare. Quando Dean Barker decide finalmente di issare il gennaker la barca ha un balzo. Quando pronuncia la parola magica “testing” New Zealand decolla sulla deriva, sul mitico Golfo di Hauraki soffiano 16 nodi di vento reale e in pochi secondi navighiamo a 33, 5 stabili sui tre punti. Per regolamento infatti può essere immersa una sola delle derive e i tre punti che sostengono in “volo” sono la deriva sottovento e i due timoni. In realtà quello sopravento ogni tanto esce e fischia, schiaffeggia l’acqua. Per questa uscita Emirates Team New Zealand monta due derive a sciabola che terminano con un’ala orizzontale, è l’unica barca progettata fin dall’inizio per volare. La deriva può essere mossa in diverse direzioni, immersa più o meno secondo le andature. Più tardi mi racconterà Giovanni Belgrano “non capisco le scelte degli altri e soprattutto di Oracle, a noi sembrava evidente che volare fosse la strada da percorrere, la nostra barca è pensata con i pesi a poppa per essere sempre stabile”. A bordo si registra ogni cosa: prestazioni e carichi, ogni giorno dei 30 a disposizione per questa prima fase che finisce in dicempre 2012, deve essere sfruttato al meglio.
Per salire a bordo mi hanno fatto indossare il salvagente da big jim, l’inguardabile casco, la bomboletta di ossigeno da usare in caso di ribaltamento, per fortuna si fidano del mio piede marino e posso circolare senza troppi confini. Si preoccupano quando, durante un cambio vele, metto il naso dentro la scassa della deriva: la pinna può muoversi in tutte le direzioni e viene usata in diverse configurazioni, non sempre alla massima immersione. Volare è una decisione dell’equipaggio e non solo il risultato della velocità che sale. Dopo la giornata Dalton confessa “siamo troppo stabili, si decolla troppo bene, secondo me vuol dire che c’è da limare, ridurre le superfici bagnate. Vedrai, Luna Rossa sarà di sicuro più veloce di noi ed è la prima volta che sono contento che un avversario sia più rapido di New Zealand: vuol dire che percorriamo la strada giusta e la nostra seconda barca sarà più forte”. Quando racconto il commento ai ragazzi di Luna Rossa ottengo solo qualche grugnito, il programma sviluppo velocità è da divulgare poco. Non ho avuto nessuna sensazione di pericolo.. si certo la velocità è tanta: il vento apparente a bordo supera agevolmente i 40 nodi, mi raccontano che non è raro leggere 60 nodi in testa d’albero… del resto basta fare due conti: 25 di reale più 45 di velocità… Pochi giorni dopo un collega neozelandese ha navigato a 44 nodi, con tanto vento in più: è sceso da New Zealand estasiato. Glen Ashby è categorico: “con una vela tradizionale sarebbe quasi impossibile gestire le manovre, faremmo a pezzi le stecche”. Per regolare l’ala si contenta di un piccolo winch con la scotta in diretta, il carico è di circa una tonnellata. Volete fare paragoni? Una vela tradizionale grande uguale potrebbe arrivare a un carico di scotta di 25/30 tonnellate . Questo è uno dei grandi vantaggi dell’ala rigida. L’ala di New Zealand ha un sistema complesso di regolazioni interne per modificare il twist. Sempre Ashby illumina “possiamo navigare con molto vento perché riusciamo a rendere negativa la parte alta, quindi a creare raddrizzamento e non sbandamento…”. E’ prevedibile che gli americani corrano ai ripari, non hanno la stessa possibilità, almeno nelle prime ali, non ci hanno creduto. L’ala è tutto, le altre vele sono semplici: il fiocco serve più per le manovre, che per la propulsione, il gennaker fa… ma di quello sappiamo tutto.
Differenze dal monoscafo? Sono stato su tante barche della Coppa: i J Class hanno un incedere maestoso, i 12 metri invece sembrano soffrire, gli Iacc sono complessi, tanta gente a bordo, piccole regolazioni, il timoniere è prigioniero del randista. Gli AC 45 sono nervosi, una sensazione di pericolo molto maggiore che sugli AC 72. Match racing? Mah… sarà una regata tanto diversa. Il canale del percorso è piuttosto stretto e prevedono sette virate per bolina e tre strambate per ogni poppa, bordi obbligati sul vento. Questa insomma sarà un’altra storia, tutta da scrivere e vedere. Una regata nuova, non sappiamo ancora se meglio o peggio. Diversa si. Del resto dal 1851 vince la barca più veloce e la ricerca è sempre stata in quella direzione. Perfino i J Class che adesso ci sembrano “barche d’epoca” sono stati disegnati con la collaborazione di ingegneri aeronautici.

E’ tutta colpa dell’innalzamento delle temperature del globo… i ghiacci artici da qualche anno si sciolgono e le vie che sono costate tante vite umane nei secoli scorsi diventano possibili. Nei giorni scorsi ci è riuscito un avvocato milanese, la signora Maria Cristina Rapisardi, esperta di diritto internazionale nel campo delle proprietà intellettuali. Ha iniziato a navigare nel grande nord con una barca a vela di ventidue metri costruita dal cantiere inglese Oyster (sede a Ipswich, quello delle streghe) dal nome Billy Budd, difficile personaggio del romanzo postumo di Herman Melville con un equipaggio composto non solo di marinai nel senso stretto, ma anche di appassionati di montagna, neve e scalate, come lei del resto. Per questa impresa ha scelto una barca più grande, trenta metri e stesso nome, costruita di alluminio in Olanda da Royal Huisman. Il metallo è più sicuro e riparabile tra i ghiacci. Lei stessa ha un passato fatto di competizioni di nuoto, rafting, scalate, di tanta natura che l’ha portata verso il freddo e il ghiaccio, una frontiera che è il denominatore comune di molti grandi armatori. Il grande viaggio è nel freddo: si comincia con la Patagonia, si finisce la polo nord. Passione condivisa per esempio con Luciano Benetton che ha attrezzato il suo megayacht di 50 metri Tribù (perché ospita i figli e tanti amici dei figli) costruito per rispettare tutte le normative anti inquinamento, anche per queste navigazioni. Francesco Micheli ha portato il suo veliero Shenandoah a sud, sulle rotte di James Cook. Billy Budd è la prima barca da diporto a passare così a nord, durante questa stagione era “inseguita” da altre barche, che hanno fatto tardi più a sud, lungo una rotta sulla carta più facile. Il viaggio ha radici lontane, il Billy Budd da qualche anno esplorava le vie del nord, le montagne e i fiordi della Groenlandia, i ghiacci del Canada. La signora Rapisardi è una ragazza tenace: vuole grandi risultati nel lavoro, dove è considerata uno dei massimi esperti nella sua materia soprattutto per la sua capacità di comprendere i cambiamenti dei mercati. Il suo gruppo, 35 anni di attività, ha sedi a Milano, Londra, Lugano. Prima di questa impresa ha navigato per 14 mila miglia esplorando angoli di mondo solitari e incantati. E’ stata nell’Artico e nell’Antartico, in Patagonia, Chile, Groenlandia. E’ stata premiata nel 2006 con il premio Tilman dall’ English Royal Cruising Club. La voglia di passare a nord ovest è antica: nel 400 Venezia e Genova erano padrone dei commerci con l’oriente via Mediterraneo e via della Seta. Per i paesi affacciati sull’Atlantico la lucrosa via delle spezie era chiusa i portoghesi con la scuola del principe Enrico Il Navigatore avevano iniziato e esplorare il grande sud verso le Indie (quelle vere) passando sotto l’Africa, la Spagna si affidava a Colombo per una nuova via equatoriale il genovese fini ai Caraibi ma anche a Panama senza capire che quello era il passaggio, Francia e Inghilterra tentarono di correre ai ripari passano verso nord, sempre per cercare una via più breve e consona alle loro attitudini. Henry Hudson fu abbandonato dall’equipaggio per la sua durezza, ma gli dedicarono un fiume e un mare. Li chiamiamo viaggi di scoperta, ma cercavano autostrade per il commercio. Il re del nord è stato solo nel secolo scorso il norvegese Roald Amundsen, che passò nel 1905-06 con la nave Goja dalla baia di Baffin allo stretto di Bering. Nelle stesse settimane è passata un’altra barca per una rotta leggermente diversa, suscitando una certa polemica, perchè Blly Budd ha armaotore italiano ma bandiera inglese mentre lei ha il tricolore. Conta davvero questa differenza? Chissa, di sicuro la signora Rapisardi stava costruendo da anni questa avventura.

C’è un italiano a capo dell’ International Sailing Federation,abbreviato in ISAF. E’ Carlo Croce, già presidente della Federazione Italiana Vela e dello Yacht Club Italiano. Croce segue le orme del padre Beppe, che ha presieduto l’organismo internazionale, che allora si chiamava IYRU (International, Yacht, Racing, Union) con mano ferma per molti anni, dal 69 all’86. Giusto affermare che Carlo Croce, atleta e velista a sua volta, è cresciuto a pane e vela e che forse proprio la sua provenienza ha avuto peso nell’elezione. E’ un momento difficile per la vela, e parliamo della vela di tutti, che potrebbe essere in un futuro non troppo lontano essere esclusa dalle Olimpiadi. “Quando Costantino di Grecia ha pronunciato il mio nome è stata una grande emozione… – racconta Carlo Croce – fino a due giorni prima non ci avrei scommesso due lire, c’erano candidati che avevano lavorato da almeno due anni, mentre la mia candidatura è stata una cosa rapida, decisa alla fine”. Presidente, dove vuol portare la vela mondiale? “Il primo punto che sta a cuore a me e anche al CIO è la universalità dello sport. Per difendere la vela come sport olimpico dobbiamo insistere questo valore che è già intrinseco della vela. Per dimostrarlo occorrono delle risorse e quindi il secondo punto è dove trovare le risorse per farlo. Ci vuole un lavoro di marketing intensivo, anche di progettazione degli eventi. La World Cup attuale è incomprensibile e ingestibile per uno sponsor dobbiamo essere comprensibili alla grande massa. La mia grande fortuna è che la televisione durante le regate olimpiche di Weymouth è stata un primo passo molto positivo: si è visto che quando la vela è seguita da telecamere azionate da gente competente è bella da vedere. Nel programma olimpico ci sono 24 sport intoccabili e 9 sport che hanno delle caratteristiche un po’ estreme per cui possono essere cancellati. La vela è tra questi ma per fortuna è centrale, ci possiamo difendere. Ha già dei punti a favore, come un grande equilibrio tra sessi”. Ma la vela non è tutta li, non solo Olimpiadi “Per la vela d’altura (quella delle grandi barche ndr) ho già avuto da parte di uno sponsor noto la promessa di essere presente se riusciamo a presentare il programma per un campionato del mondo ben fatto, in una sede dove il vento è protagonista. Poi ci sono gli eventi dove l’Isaf è presente solo con un piccolo marchio sulle barche, parlo di Volvo Race, Vendee Globe, Coppa America, dove la presenza della federazione internazionale è un po’ casuale e andrebbe riordinata, convenzionata”. ISAF è un brand che va gestito ad alto livello, finora è stato come un vecchio club gestito affettuosamente, con competenza ma alla vecchia maniera. Abbiamo milioni di iscritti da far valere”. Finora i casi di positività al doping sono stati legati a casi di droghe “ricreative” ma questo può diventare un problema anche nella vela? “Si purtroppo. Bisogna stare attenti, quando si vedono certi atleti esplodere e cambiare fisico nel giro di un anno qualcosa può essere successo. In alcuni casi si arriva a un potenziamento che è difficile credere sia solo merito della palestra. E’ uno dei temi dello sport. Ci sono nazioni che hanno un approccio totalmente diverso dal nostro, che possono spingere gli atleti al risultato a qualsiasi costo e anzi lo aiutano”. Su che struttura può contare? “Sono contento di avere un vicepresidente cinese. Il board è composto da gente molto competente, distribuita geograficamente in tutto il mondo. Gente che ha voglia di cambiare, di portare lo sport verso il progresso. Il primo consiglio è avvenuto dopo l’elezione, il prossimo ai primi di dicembre, perché ho già cambiato le abitudini…lo staff voleva aprile. Adesso abbiamo da mettere i nomi in tutti i comitati, bisogna essere subito esecutivi. Vorrei arricchire l’esecutivo di un professionista di sport e marketing, se riesco ad avere un “amministratore delegato” c’è più propulsione. Adesso c’è uno staff di gente mediamente competente e un general manager che a dire il vero si occupa più di burocrazia che di sviluppo”.