Patrizio Bertelli, la quinta sfida è per vincere
Mentre nella baia infuria la lotta tra Oracle e New Zealand, mister Patrizio Bertelli (il mister sta li per dire che dire che da l’impronta alla squadra) si è fatto vedere spettatore sul gommone con Max Sirena e il gruppo storico di conduzione di Luna Rossa. Tra i ragazzi, non manca l’avvocato Luis Saenz Mariscal, che sta lavorando sodo in questo periodo. Dopo le proteste il documento in preparazione è il Protocollo. Se Emirates vince, Luna Rossa sarà Challenger of Record, con la responsabilità, per Patrizio Bertelli, Max Sirena, Matteo De Nora e Grant Dalton, per citare i vertici, di costruire un nuovo evento a misura di vela e non è roba da poco, dopo la controversa eredità di questa edizione: barche lanciate verso il futuro, così avanti da essere poco comprese. Un evento partito con alcune buone idee mai praticate.
Il circuito delle World Series si è ridotto e il suo messaggio di diffusione ha perso grinta. Le notizie che sono trapelate finora parlano di una stretta sul controllo della nazionalità, i team dovrebbero avere una minima quota di stranieri, sicuramente non il timoniere. Questo è bene per le nazioni mature, non tanto per aprire a nuove realtà, come il far east che non ha una dotazione sufficiente di campioni locali. Esclusa la condivisione dei progetti. Se esiste un fondamentale accordo su gran parte delle questioni che riguardano l’evento per la decisione che tutti aspettano ci vorrà tempo. Sono pronti dei modelli, delle simulazioni, tra cui decidere. Lo abbiamo intervistato prima che ripartisse per Milano, destinazione sfilate.
Patrizio chi vince?
“Mi sorprenderei davvero che Oracle riuscisse a rimontare: deve vincere dieci regate, i kiwi cinque. A loro basta vincerne una al giorno delle due per andare avanti e non è impresa impossibile. I kiwi mi sembra siano sempre più veloci di bolina anche due nodi”.
La sua Luna Rossa le è piaciuta?
“Abbiamo centrato l’obiettivo che ci eravamo posti: arrivare alle finali con Emirates Team New Zealand. Abbiamo vinto le World Series con gli Ac 45 imparando a portare la barca molto in fretta. Nei primi eventi eravamo dietro tutti. Ci è mancata una corretta filosofia progettuale. Abbiamo ottenuto il massimo risultato per gli strumenti che avevamo, oltre che maggior tempo avremmo dovuto avere una seconda barca come gli altri”.
E quello che succede in mare?
“Non mi piace il percorso delle regate, la partenza al lasco va bene, ma ci vorrebbe subito la bolina come una volta, quando si aspettava il primo incrocio e c’era da fare tattica vera fino alla prima boa. Adesso chi è dietro alla prima boa deve aspettare la bolina. Insomma io sono contrarissimo alle partenza di poppa. Il percorso dovrebbe essere bolina , poppa, bolina, si può togliere anche il gancio. Per quanto riguarda le barche devo ammettere che da maggio in poi ”.
Le barche così contestate sono davvero da buttare?
“Ho sempre detto che catamarani erano difficili da vedere per il consumatore, per chi va in barca da anni sul monoscafo è difficile riconoscersi. Dopo l’incidente di maggio tempo in cui sembrava di aver preso davvero una strada sbagliata ogni giorno la mia opinione è cambiata, migliorata, mi sono avvicinato a questi mezzi. Il risultato positivo è raggiunto anche se resta la complessità di queste barche, che in una prossima edizione finirebbe per restringere la partecipazione a pochi team”.
E’ arrivato a cinque sfide, solo sir Thomas Lipton ha fatto tanto. Cos’è per lei la Coppa America?
“Ho iniziato un po’ per gioco, per la mia passione per la vela, per fare una sfida, anche per sostenere l’immagine dell’Italia. Sono arrivato a cinque sfide un po’ così, ogni volta con una motivazione diversa. Della Coppa America mi piace un insieme di cose: la costruzione del team, saper studiare un progetto vincente, anche gli aspetti legali”.
Dopo la quinta andrà avanti?
“Vincere la Coppa America è l’obiettivo finale della nostra quinta sfida. Per quanto mi riguarda la considero la mia ultima volta, direi che ho fatto abbastanza. Partiamo per vincere e portare la Coppa in Italia. Questo team è servito per gettare le basi del prossimo, volevamo partecipare per non perdere la continuità e fare esperienza con la velocità. Da questo punto di vista abbiamo un vantaggio sui team che si formeranno”.
C’è una autocritica da fare?
“In questi anni ci è mancato un design team con una scuola di pensiero, che poteva fare esperienza e crescere avere continuità, a volte abbiamo avuto un equipaggio molto forte ma ci è mancata la cultura del progetto”.
Tanti attacchi alla Coppa perchè c’è poco match race
“Se guardiamo al suo percorso la Coppa negli anni trenta era solo velocità, poi è stata match race. In questo momento deve essere l’uno e l’altro. Tra Oracle e New Zealand abbiamo visto belle regate anche con il match race”.
Qual’è la dote migliore di Max Sirena?
“La dote migliore di Max è che sa gestire i rapporti con i suoi collaboratori molto bene, ne capisce le logiche e li tratta in modo paritetico, tiene al gruppo.
Nel futuro della Coppa cosa vede? Cosa bisogna fare per aumentare la popolarità della vela?
“S’è capito che bisogna promuovere lo sviluppo tecnologico che resta una parte importante e fondamentale della Coppa. Poi le World Series hanno dimostrato che il pubblico può esserci e si appassiona. Bisognerà anche avere la modestia di fare una comunicazione meno elitaria, parlare a tutti in modo da spiegare che è un evento vero. Spero che non venga considerato solo l’avventura di qualche marinaio un po’ pazzo e ricco. Se saremo Challenger non vorremmo occuparci di questo aspetto che assorbe molte energie e distrae dalla vittoria. Lo stesso vale per il Defender, credo vada creato un organismo autonomo e molto dipenderà dallo sponsor della manifestazione”.
Una ultima domanda: i velisti sono stati rivestiti di casco salvagente, cintura, che impatto ha sul pubblico questo aspetto, che li fa sentire più vicini a dei combattenti e più lontani dai velisti
“ Con questo aspetto da combattenti attirano la fantasia, son vestiti così perché ci sono delle norme di sicurezza e d’altra parte succede anche in Formula Uno e in altri eventi. Il fatto che non si parla più del gentleman con la maglietta ma di uno sportivo con degli strumenti più aggressivi è interessante”.