Chi si appresta a partire per l’Atlantico gode uno spettacolo di natura, mare. Di attesa. In banchina, nelle isole di fonte l’Africa, ci sono i “prigionieri del sogno”: sono i marinai che hanno venduto la casa per comprare la barca, gente che aspetta di partire, transitare il mare di Colombo per un sole nuovo. O forse un sole che ha già visto molte volte di cui non può fare a meno. Alcuni, e sono i veri prigionieri, hanno la barca a terra e procedono a lavori infiniti di preparazione, modifica, manutenzione su barche di nessun valore economico, che sono il loro monumento al mare. Punta estrema dell’iceberg della passione per il mare, unico e forte denominatore comune per chi desidera, possiede, vuole una barca. Quella cosa che purtroppo i nostri governanti hanno sempre faticato a comprendere e riconoscere. La nuova Tassa di Stazionamento dovrebbe avere un altro nome: Tassa sulla Passione. E’ singolare come le tasse arrivino puntuali a colpire il cuore e la produttività. Le enormi accise sui carburanti dovrebbero chiamarsi “Tassa sulla mobilità”. In maniera meno estrema di quei navigatori oceanici anche i diportisti italiani, tanti di loro, sono legati al mare da una passione forte, che finora è costata molti sacrifici. Il sistema però deve fare un poco di autocritica: finora legate alla nautica da diporto ci sono state bandiere positive, come la capacità industriale, quella legata al design. Le barche italiane sono le migliori del mondo. Ma anche bandiere che si sono trasformate in negative, come aver quella del lusso esclusivo, del lifestyle inteso come esibizione. Una debolezza cui sono caduti in molti, che contagia ormai la nostra società, molte troppe aspirazioni al consumo sono state costruite sulla emulazione di trend setter. I-phone e I-Pad sono meravigliose protesi del nostro cervello, ma anche “indispensabili” status. E’ difficile che una campagna pubblicitaria sia permeata di valori concreti legati alla vacanza, al mare. Alla fine tutti credono che le poche centinaia di barche che solcano i mari più esclusivi, Porto Cervo, Argentario, Portofino, siano davvero la sostanza della nautica. Delle centomila barche (circa) immatricolate in Italia più della metà ha un valore commerciale di sicuro inferiore ai centomila euro, ma prima della Tassa, perché ora non valgono nulla. Tante sono il tesoretto di marinai, impiegati, pensionati che vivono al mare. Siamo di nuovo di fronte a una scelta di risparmio forzato. Dopo la cura Goria per la crisi dell’83 (insostenibile redditometro) ci sono voluti una quindicina di anni per ritrovare una nautica da diporto vitale. Quanti ce ne vorranno dopo questa nuova presa di posizione? E chi l’ha inventata non poteva guardare al passato? E ricordare che era stata tolta perchè l’incasso non valeva il suo costo?
E’ nato come protezione del pilota delle auto da corsa, ma si sta rapidamente diffondendo sulle barche a vela. I cantieri lo usano per la sua suggestione di sicurezza, ma serve a poco. Già, finora al roll bar avevano pensato solo i rudi navigatori oceanici: a loro serviva per montare antenne, pannelli solari, generatori eolici, e appenderci sotto il tender. Una piramide che aveva anche il simpatico effetto di far calare di qualche centimetro il bordo libero a poppa, solo talvolta compensato da altrettante dotazioni infilate nei gavoni di prua, tanto per dimenticare la buona regola dei pesi al centro per passare meglio l’onda. Ma in barca ciò che fa sicurezza non è sopra… come sulle auto dove l’abitacolo deve proteggere gli ospiti anche in caso di ribaltamento. Le spider per regola devono avere un roll bar, ma i designer di oggi fanno di tutto per non farlo vedere: di solito collaborano alla protezione il sostegno del parabrezza e i sedili. Ma le barche… semplicemente non devono ribaltarsi e quello che le rende sicure è sott’acqua e si chiama zavorra. Chi compra una barca a vela dovrebbe sapere cosa sono la percentuale di zavorra, il momento raddrizzante, la stabilità. Negli anni la zavorra è calata molto, questo porta un risparmio sia in materiali sia in strutture del fondo dello scafo. Il roll bar è stato usato tanto come decorazione dei fly bridge dai designer dei motoscafi, proprio in anni in cui nelle auto spopolava e poi è rimasto li, una piattaforma verso il cielo. Adesso la simpatica protesi viene proposta sulle barche a vela di grande serie. Il motivo principale, sebbene condito da un alibi funzionale per sostenere il trasto della randa, è psicologico. Il roll bar addolcisce il senso di scomodo della barca a vela lavorando sulla suggestione di una sicurezza che andrebbe cercata altrove. E poi… le fa somigliare ai motoscafi e questo serve per catturare quel poco di clientela che non può più riempire serbatoi che alimentano motori roboanti. Insomma, il roll bar è una bugia. Forse innocente e necessaria, ma pur sempre una cosa di cui non si sentiva il bisogno. Quando avremo le barche a vela con il fly bridge? O con due ponti. Qualche megayahct così esiste già, purtroppo la mente corre a quei maxi anni ottanta “flush deck” con la loro severa eleganza, oppure alle tughe leggere e filanti di qualche buona barca contemporanea.
Con i recenti provvedimenti del Governo in tema di tassazione alla nautica rivediamo quello che abbiamo già vissuto ai tempi del ministro Goria, il primo Grande Affondatore del settore nautico con il primo redditometro. Se allora gli strumenti di intelligence e tracciatura di spese e altro erano pochi e si poteva almeno dare una spiegazione (non una giustificazione) adesso la situazione è molto più evoluta. Le passeggiate dei finanzieri lungo i moli alla caccia di “possessori” di barche sono del tutto inutili. Coreografia per scrivere qualche comunicato stampa. Sarebbe molto più utile usare le stesse energie per scovare in altro modo gli evasori, con un lavoro di intelligence vera fatta a terra. Ci sono flussi di denaro che sembra impossibile non vengano mai percepiti, rivelati, scovati. Il primo duro colpo alla nautica da diporto contemporanea, quello inferto dalla Agenzia delle Entrate con gli accertamenti del 2008/9 quando ha voluto riscrivere la legge sul leasing dimenticando che era stata scelta una visione “forfetaria” dal legislatore (ma l’intenzione del legislatore ha un valore nella interpretazione o no?) e interpretando a modo suo le premesse della legge (aiuti all’Industria Nautica) non è servito a nulla. A fronte di 400 (quattrocento in lettere) procedimenti un incasso ridicolo dopo contestazioni infinite (molte perse) ma la paralisi del settore con un danno immediato ben maggiore. Mancato introito di Iva e non solo: aziende chiuse con un ulteriore aggravio sociale. Adesso la situazione già grave diventa paradossale. Fuga dai porti, barche a terra. Nessuno verrà a navigare in Italia. Era già successo con la brillante tassa sul lusso della Regione Sardegna: i ricchi (quelli veri con i sessanta metri) avevano rinunciato alla Costa Smeralda per principio più che per il prelievo al portafoglio. Il Governo e chi scrive questi provvedimenti si dimentica che il Turismo è un prodotto in concorrenza, siccome non è obbligatorio navigare in Italia dove anzi è spesso scomodo e difficile i turisti li perderemo. Tornando a Goria bisogna ricordare le sue motivazioni, le stesse di adesso: colpire un settore piccolo ma di immagine. Indorare la pillola della severità. In fondo il settore nautico, di forte immagine ma di pochi denari, vale in Italia molto poco, soprattutto se si considera il solo mercato domestico e si dimenticano le esportazioni. E’ un po’ come quando il generale Badoglio mandava i fanti allo sbaraglio, per vincere una guerra di posizione più strategica. Questa guerra adesso si chiama risparmio forzoso. La nautica ha perso, non ci saranno marce indietro. Abbiamo perso anche perchè la categoria del diportista non è una categoria rappresentata, difesa. Anzi, nasce con il complesso di colpa che ha radici sociali profonde. Eppure la barca, la nave restano un mezzo di trasporto che hanno fatto il mondo, le scoperte, la pesca, il viaggio. Una funzione ormai perduta nell’immaginario collettivo. Resta molto difficile dimostrare che per decine e decine di persone la barca è uno strumento di vacanza che costa meno di una seconda casa qualsiasi.
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