Il tempo sulla Coppa America è inglese, oggi sul lungomare Caracciolo sembrava di essere a Cowes, isola di Wight, luogo di nascita della Coppa America: pioggia, vento a raffiche, grigiore. Ombre lontane. Previsioni del tempo drammatiche per la notte che hanno suggerito all’organizzazione di portare tutti i catamarani a terra e smontare le ali rigide per non correre rischi. Per fortuna tra uno scroscio di pioggia e l’altro il programma di regate è andato avanti, anche se partito con ritardo. Succede così che le due Luna Rossa sabato saranno impegnate nelle semifinali di match race. Luna Rossa Piranha di Chris Draper incontrerà Oracle Racing di Bundock mentre Luna Rossa Swordfish se la dovrà vedere con Artemis di Terry Hutchinsons. I grandi favoriti invece sono ormai fuori dalla match race: sia Oracle di James Spithill, sia Emirates Team New Zealand di Dean Barker sono infatti esclusi anche se restano in testa alla classifica della fleet race. Luna Rossa Piranha era già qualificata e Luna Rossa Swordfish ha battuto i francesi di Team Energy con il vento che calava fino quasi a morire in una regata dove fino alla fine tutto poteva cambiare. Nelle due regate di flotta I neozelandesi sono stati protagonisti di disastro ma anche di una regata magistrale, con una rimonta continua che ha fatto capire a tutti quanto siano preparati e riescano a sostenere la velocità della barca. Per il week end si attende il pubblico dei giorni migliori, mentre il sindaco annuncia che vorrebbe lasciare via Caracciolo chiusa al traffico per sempre, si attende, sempre che il sole si faccia vedere, una invasione. Da questo punto di vista le regate sono un successo, è raro vedere tanta gente interessarsi di vela, fare domande anche un po’ sciocche ma comunque che testimoniano un interesse, una curiosità.
I neozelandesi di Emirates Team New Zealand si dimostrano ancora una volta i più forti…hanno vinto senza discussione due regate lasciando gli altri protagonisti a molte lunghezze di distanza, anche in classifica. Però Luna Rossa al suo secondo giorno di regate nelle World Series dimostra di essere molto vicina alle prestazioni dei migliori e vince anche lei due regate. Luna Rossa Piranha ha conquistato la match race contro Team Korea mentre Luna Rossa Piranha ha vinto la “spare race” una prova a punteggio speciale, cinque volte il normale, che sarà determinante per la classifica se il programma di nove regate non sarà completato per ragioni varie. Nel Golfo di Napoli è stata una giornata spettacolare, con tanto pubblico sulla riva di via Caracciolo e molte barche in mare a far compagnia alla flotta. Il tempo ieri era partenopeo, quello che fa pensare a “sole, pizza e ammore” e spinge la gente fuori casa. In ombra i due equipaggi americani. James Spithill è secondo in classifica dietro i kiwi ma porta a casa solo un settimo e un quarto posto: troppo poco per lui e per il defender. La produzione Tv intanto sta mettendo a punto la regia e imparando a usare le molte telecamere on board che stanno facendo la differenza rispetto al passato. Uno degli obiettivi importanti che si erano posti gli organizzatori americani comincia a diventare visibile e reale. Non solo sui canali abituali ma anche su quanto predisposto sul web e you tube con il canale dedicato alla America’s Cup. Al momento solo in lingua inglese, ma con immagini ben comprensibili, e interviste. Aumentare la diffusione delle regate, in un certo senso abbassare il target, renderlo più giovane, è uno degli obiettivi della nuova Coppa.
Il Golfo protesta: a parole le World Series della America’s Cup sono un grande spettacolo per la città di Napoli, che la porta lontano dall’immagine legata alle montagne di spazzatura che periodicamente la invadono, sintomo di un malessere molto profondo. Partecipano i grandi della vela: ieri sotto un cielo grigio e piovoso hanno vinto James Spithill con Oracle e Dean Barker con Emirates Team New Zealand. Luna Rossa ha debuttato per la quarta sfida di Patrizio Bertelli (solo il barone Bich, Aland Bond e Thomas Lipton hanno fatto quanto lui) finendo a centro classifica, con le sue due barche Piranha e Swordfish portate dai giovanissimi Chris Draper e Paul Campbell James, nomi che dovremo imparare nei prossimi mesi. L’eccitazione, i saluti sono quelli soliti della Coppa America. Ma dopo la prima impressione e il piacere di ritrovarsi in famiglia ci ripensi cominci a riflettere sul fatto che siamo tanto sul virtuale e poco sull’evento. Dovrebbe essere un circuito di preparazione alla Coppa, un amplificatore di interesse per la vela, ma lo è davvero? Insomma, non tutto quello che si vede in acqua è quello che era stato promesso sul depliant, fin dalle prime conferenze di presentazione della Nuova Coppa. La scelta di usare i catamarani (adesso gli AC 45 lunghi tredici metri, a San Francisco nel 2013 gli Ac 72 da ventuno metri) ha fatto fare un salto di generazione a equipaggi e spettacolo, però mancano quella decina di eventi promessi per quest’anno e i dieci veri sfidanti di cui si favoleggiava. Quelli veri che saranno nelle Louis Vuitton Cup (regata selezione sfidanti) l’anno prossimo sono solo tre: Emirates Team New Zealand, Luna Rossa e Artemis. Da anni il massimo trofeo velico non era così depresso. Gli organizzatori americani sono partiti con grandi ambizioni ma il licenziamento di Richard Worth (inventore della Champions League) che doveva farne il più grande evento della vela di tutti i tempi dichiara il loro insuccesso. E’ colpa della crisi mondiale? Non solo, il programma era troppo ambizioso e costruito con poco realismo sulla capacità del mercato pubblicitario di assecondare il nuovo formato e le continue incertezze sul programma. Da qui in poi non può succedere molto: ai tre sfidanti si aggiungono alcuni partecipanti al circuito degli Ac 45 come il francese Energy Team, o Team Korea o ancora China Team. I cat sono belli da vedere, complicati da usare, uno degli esempi più concreti di come si debba andare in barca con doti atletiche e tecniche (non hanno strumenti elettronici) e fare spettacolo: le immagini da bordo sono fantastiche. Per questo meritano una sufficienza di incoraggiamento. Napoli è il primo dei quattro eventi dell’anno: gli altri saranno Venezia,San Francisco e Newport. Per questioni di budget il programma è stato ristretto, come (si dice) sarà a Venezia: ogni giorno di regata costa caro, ma è costato caro anche alla città, per cui l’investimento non è cambiato. Altri problemi? La produzione televisiva rinuncerà alla parte migliore, quella delle match race finali per non dover alzare in volo due elicotteri. La domanda resta: questa è vera Coppa America?
James “Jimmy” Spithill è il giovane bravissimo timoniere australiano di Oracle. Vincitore della ultima edizione della Coppa a bordo del trimarano Bmw Oracle, quello che ha battuto Alinghi nel 2010 a Valencia. La sua prima volta è stata quando aveva ancora i calzoni corti e si è trovato al timone di Young Australia. Era il 2000 e si correva asd Auckland, l’equipaggio era di giovanissimi ma lui, timoniere, era il più giovane di tutti. Impressionava per la sua determinazione in partenza, purtroppo di più non poteva fare con una barca lenta e senza grandi mezzi economici. Dopo lo hanno voluto su One World, sindacato americano condotto da Peter Gilmour, che diceva “è più bravo di me, lo lascio al timone”. Nel 2007 era il timoniere di Luna Rossa e in semifinale Louis Vuitton Cup è stato uno degli artefici della sconfitta di Bmw Oracle. E’ il timoniere di punta della barca americana, anche se presto avrà una dura concorrenza proprio in casa.
James, ha mai regatato a Napoli?
“In passato ho regatato molte volte in Italia, mai a Napoli. Ho tutti gli elementi per credere che sarà un grande evento. Il pubblico potrà godere uno spettacolo mai visto prima. Le regate con i nuovi catamarani AC45 sono un gioco completamente nuovo, mai visto nel passato. Agli italiani piacerà molto”.
Come giudica il nuovo sindacato di Luna Rossa?
“Luna Rossa sarà un team forte. Lo skipper Max Sirena è un mio buon amico, stanno lavorando con serietà e passione. Lui era coinvolto con me nel team di Bmw Oracle che ha vinto la Coppa nel 2010, è certamente ben educato a fare piani vincenti, a lavorare in team. Conosce bene anche i multiscafi e la vela alare rigida di cui era responsabile. Anche Patrizio Bertelli è un buon amico ed è fantastico averlo di nuovo in questo grande gioco, è un uomo che sa come raggiungere grandi risultati. A Napoli loro avranno due barche con due equipaggi molto forti condotti da due timonieri giovani che hanno dimostrato di saperci fare. Chris Draper che ha navigato bene per team Korea con gli Ac 45 e Paul Campbell Jones esperto di Extreme 40. Luna Rossa gioca in casa e conta sull’esperienza di Francesco Bruni che conosce bene questi campi, è già tra i favoriti”.
Cosa ricorda della sua esperienza con Luna Rossa?
“E’ stato un periodo incredibilmente divertente. Siamo passati dal guardare insieme le partite di football, al viaggiare. Correre contro di loro sarà molto divertente. Gli italiani nella vela sono una grande realtà”.
E’ vero che da giovane ha praticato anche la boxe?
“Si… un poco… la mia risposta standard è che in Australia se sei rosso di capelli lo devi fare per forza. Non avevo scelta”.
Che differenze ci saranno tra il vecchio USA 17, in grande trimarano di Valencia, e i nuovi cat Ac72?
“Credo che la cosa più importante sia che Ac17 aveva un motore per muovere le manovre mentre la nuova barca sarà condotta solo con la forza umana. Questa è una differenza sostanziale che renderà queste barche le più fisiche, atletiche, che abbiamo mai visto navigare. Se si guarda una regata di AC45 della durata media di venti minuti si vede che l’equipaggio lavora incessantemente dall’inizio alla fine. Non c’è riposo. Da fuori non è facile capire quanto sia faticoso, ma lo è, potrei dire che rischiamo l’infarto”.
Gli Ac72 saranno una barca completamente nuova, che potrebbe essere pericolosa anche con poco vento. A San Francisco poi il vento c’è. Cosa ne pensa?
“Se guardiamo la F1 ci rendiamo conto che i piloti non fanno cose di cui sono in grado tutti, devono passare attraverso dei rischi importanti e questo diventa eccitante per il pubblico. Vale anche per noi. Per mostrare tutto abbiamo messo molte telecamere a bordo ed esiste un sistema per educare il pubblico a comprendere meglio le regate, a capire cosa sta succedendo sul campo attraverso simulazioni che rendono più immediato capire cosa succede in acqua. Un errore su queste barche sarà decisivo, un poco come sulle macchine: spingi il massimo ma c’è un limite da non superare. Sarà il vertice del nostro sport”.
Pensa che il campo di Napoli sarà difficile da interpretare?
“Ogni campo di regata ha le sue caratteristiche. A Napoli non c’è gran vento, ma la caratteristica di queste barche è che consentono di fare spettacolo anche con poco vento. E’ facile arrivare a venti nodi, sollevare uno scafo. Con i vecchi monoscafi probabilmente le regate a Napoli sarebbero state molto noiose”.
Quale slogan si può usare per attirare il pubblico napoletano, per convincerlo a vedere le regate?
“La migliore pubblicità è affermare che arriva il più grande evento di vela, le barche più veloci con i marinai più forti del mondo. Il pubblico sarà sorpreso dei cambiamenti che abbiamo fatto. Sono cose che renderanno questa regata molto più appetibile anche dagli sponsor, quando finalmente si renderanno conto dei cambiamenti arriveranno nuove energie”.
Cosa rimane dentro del ragazzo che timonava Young Australia ad Auckland?
“Sono sempre lo stesso… mi sveglio al mattino con la voglia di vincere e fare belle regate. Sto sempre cercando di fare tutto quello che posso per vincere la partenza. Quando vado in mare voglio fare tutto il meglio per il mio team. Con gli AC45 è ancora più evidente quello che fa l’equipaggio, lo sforzo che esprimiamo per vincere. L’obiettivo finale resta sempre di vincere e farlo con valori sportivi”.
Ci sono molti olimpionici nel team. La vedremo alle Olimpiadi un giorno?
“Quando si conduce al massimo livello una campagna di Coppa America è difficile riuscire a fare più di due cose in una volta. Penso anche che ci stiamo concentrano su una cosa che è molto spettacolare. Le Olimpiadi sono fantastiche tuttavia si corrono con barche che il pubblico non riconosce come le più difficili da portare”.
Chi timonerà la barca durante la Coppa? E’ in discussione il suo posto?
“Avremo due cat Ac72 in acqua e cercheremo di usarle bene per capire quale sarà l’equipaggio migliore. Noi dobbiamo vincere, senza altri obiettivi. Abbiamo velisti di gran talento, compreso Ben Ainslie che è probabilmente il velista più forte del mondo. E’ una sfida importante anche per me”.
Patrizio Bertelli ha presentato a Palermo nella sede del Circolo della Vela Sicilia la sua quarta Luna Rossa, a fare tanto sono stati pochi nella storia del grande evento velico: cinque sfide con Shamrock per Thomas Lipton, il droghiere del re. Quattro per il barone Bich e l’australiano Alan Bond, che al suo quarto assalto riuscì finalmente nella storica edizione del 1983 a portare la Coppa in Australia. Quattro volte è tanto, è il sintomo di una passione forte e quasi inesauribile. Al punto che nel corso della conferenza stampa di presentazione della sua nuova avventura Bertelli ha fatto capire che la sua non è una sola sfida, ma che questo è un programma per arrivare fortissimi alla edizione successiva, che potrebbe essere nel 2015 o 2016. Il team della nuova Luna Rossa è un mix di “senatori” come lo skipper Max Sirena, che continua a navigare anche sugli AC 45, il responsabile della costruzione dello scafo Matteo Plazzi (già navigatore di Bmw Oracle) l’allenatore Stevie Erikson, il senior designer Roberto Biscontini. I timonieri sono i giovanissimi Paul Campbel Jones e Chris Draper che condurranno gli AC 45 fin dalle regate di Napoli. Bertelli è a suo agio nel presentare la quarta sfida, davanti a un pubblico che per lui è quasi una famiglia. Il punto forte della sfida è l’alleanza con Emirates Team New Zealand, con cui condivide il progetto della barca. Luna Rossa ha sostanzialmente pagato la metà delle ore lavoro che sono state impiegate finora dal grande team dei progettisti kiwi: una trentina di persone che lavorano da più di un anno al catamarano con vela alare rigida. Un buon compromesso che porta risorse a tutte e due le squadre. Le prime regate saranno a Napoli la prossima settimana. Come nel 2000 Luna Rossa avrà solo lo sponsor di Prada più qualche semplice partecipazione tecnica.
Come mai ha deciso di partecipare a questa edizione della Coppa?
“E’ una decisione che avevamo rinviato, pensavamo di non poter essere competitivi. Poi la possibilità di stringere una alleanza con Emirates Team New Zealand mi ha portato alla decisione di partecipare. Condividendo il design che loro avevano sviluppato abbiamo all’istante guadagnato tempo e competitività. Gli americani avevano pensato alla possibilità di collaborare al design tra team diversi per favorire la partecipazione delle squadre più deboli ma l’unione di due forti e storici, che di solito tengono ai loro segreti, credo li abbia presi di sorpresa”.
Quale è il suo obiettivo?
“Siamo partiti in ritardo e stiamo lavorando molto. Il team è nuovo con qualche senatore che viene dalla precedenti sfide. I cat sono molto diversi dai monoscafi, tuttavia il nostro obiettivo è di arrivare alla finale della Louis Vuitton Cup assieme a Emirates Team New Zealand… con tanti saluti a Paul Cayard e al suo Artemis”. Quanto è il vostro budget?
“E’ di circa 40 milioni di euro. In realtà nella storia non c’è mai stata una corrispondenza diretta tra i soldi spesi e la vittoria. Nel 95 a San Diego i neozelandesi con un budget ridotto hanno vinto. Costruiremo una sola barca, ci siamo detti che non era possibile partecipare a una Coppa successiva senza una esperienza diretta con i catamarani. Il nostro è un progetto per due edizioni”.
Quanto ha perso la Coppa America dopo le dispute legali tra Alinghi e Bmw Oracle?
“Queste cose sono insite nella storia della Coppa. E’ successo altre volte. Sono convinto però che si potesse gestire diversamente, in tempi e modi diversi, ricomponendo la lite a beneficio di tutti. La crisi finanziaria mondiale ha portato a una sommatoria di cause negative. Mi ha molto offeso che il Challenger of Record italiano si sia ritirato: in tutta la storia della Coppa non era mai successo. Io esporto l’85% della produzione, facciamo prodotti seri e non mi piace che l’immagine della nostra Italia sia sempre confusa con questa incertezza fatta di spaghetti e fantasia”.
Cosa pensa dei catamarani con cui si correrà la prossima Coppa?
“Come velista mi piacciono molto, sono curioso. Su quei grandi gli Ac72 però non salirò: sono troppo pericolosi, velocità troppo alte. Non solo puoi cadere in mare, se si ribaltano cadi dentro la vela e ti fai male. In ogni caso è un esperimento che andava fatto, poi scopriremo se sarà un successo o no. Al momento penso che non c’è emulazione, i velisti non possono rispecchiarsi, non c’è affinità con la vela di tutti i giorni. Vedremo”.
Oracle ha speso 400 milioni di dollari contro i 250 di Alinghi per vincere nel 2010 disputando due regate.
“Beh, anche questa è Coppa America. Noi nel 2007 li abbiamo battuti sonoramente e poi per vincere nel 2010 hanno assunto 28 persone che erano con me. Timoniere compreso. Noi sappiamo fare squadra, questa è la nostra forza. Se guardo indietro la nostra organizzazione e le persone sono state sempre più forti delle barche che abbiamo costruito: siamo sempre stati più forti nella parte velistica che in quella progettuale”.
Cosa pensa della possibilità che la Coppa venga disputata con i piccoli AC 45? “Se verrà presa una decisione del genere, che non credo sia possibile, non parteciperemo alla Coppa America e chiederemo i danni. Non si possono fare questi giochetti”.
La Coppa delle cento Ghinee è una brocca forgiata nel 1848 in due esemplari (si dice) nei laboratori londinesi di Garrard, i gioiellieri della regina Vittoria. Una delle due nel 1851 è stata il premio per una regata che ha visto la goletta America sfidare un certo numero di yacht inglesi nel Solent. La esile goletta, discendente diretta delle barche da pesca dei banchi di Terranova, battè senza pietà navigando attorno all’isola di Wight e sotto gli occhi della regina imperatrice le migliori barche inglesi, molte delle quali navigavano complete di caminetti, tappeti e arredi. Pare che il leggendario “maestà non vi è secondo” non sia mai stato pronunciato dal valletto: ma è servito molto a illustrare la magia della regata e la distanza che separava l’America dal resto dei concorrenti. La goletta, che in seguito ha navigato anche come nave militare, costava più o meno l’equivalente di 500 mila euro attuali. Quella sfida, avvenuta nell’anno di una importante esposizione universale, è stata l’inizio di una delle più belle leggende dello sport. Mostrava già una sua valenza simbolica: gli uomini del nuovo mondo, in arrivo dalle colonie erano riusciti a battere con quattro soldi e le loro idee la più grande potenza industriale e marittima del mondo. Quella Coppa diventa America negli anni 70 dell’ottocento attraverso un atto di donazione, Deed of Gift, che ne sancisce alcune regole fondamentali che, nel bene e nel male, le hanno consentito di restare il più antico trofeo dello sport internazionale che si disputa senza interruzioni. Nel 1983, quando Alan Bond (uno dei grandi rider degli anni ottanta, che dopo un grande successo e aver comprato i girasoli di Van Gogh ha fatto bancarotta) con un manipolo di australiani istigati da John Bertrand ha strappato la Coppa agli “imperatori” del New York Yacht Club che se la tenevano stretta da 132 anni. E’ stato proprio quell’anno che l’Italia ha scoperto tutta la leggenda della Coppa. Lo Yacht Club Costa Smeralda aveva lanciato la prima sfida italiana con Azzurra, che riuscì a battersi bene con i migliori: skipper Cino Ricci, timoniere Mauro Pelaschier. Sostenitori sono l’avvocato Gianni Agnelli e s.a. Karim Aga Khan. La sfida italiana è un indicatore anche di salute economica: essere accettati nel tempo del capitalismo anglo sassone, ha un peso. E non è un caso che un anno prima l’Italia di Zoff abbia vinto uno storico campionato del mondo di calcio. La Coppa dopo quello storico primo viaggio verso l’Australia ha viaggiato ancora. L’hanno rivinta gli americani con una storica impresa di Dennis Conner, poi i neozelandesi con sir Peter Blake e una squadra di invincibili. Nel 2003 l’imprenditore svizzero Ernesto Bertarelli riesce nella storica impresa di riportarla in Europa con il suo Alinghi. La sua vittoria è in parte ancora neozelandese, il nucleo centrale dell’equipaggio è di bandiera neozelandese ma ci sono uomini forti da tutto il mondo. Due per tutti: il timoniere ingegnere Russell Coutts, nato a Wellington, e Jochen Schumann, un atleta di Berlino che ha cominciato a navigare con la maglia grigia della DDR e ha vinto quattro medaglie alle Olimpiadi. Sono anni in cui la vecchia Europa è forte e centrale: per la prima volta le tasse di iscrizione sono in Euro. Per chi si è incuriosito sulle vicende del trofeo: sembra che il secondo esemplare del più antico trofeo internazionale dello sport sia finito sul caminetto di Ted Turner, l’armatore timoniere che aveva vinto nel settantasette prima di inventare la CNN. O sul suo caminetto è finita la Coppa originale e quella che circola è una copia? Certo è che il trofeo è stato riparato nel 98 dopo che un maori lo aveva preso a martellate nella sede del Royal New Zealand Yacht Squadron. Siamo abituati a pensare che vince chi ci mette più soldi e che la Coppa è una faccenda soprattutto mondana. E’ certamente vero che nel tempo sono stati i personaggi più ricchi e potenti del mondo ad essere incuriositi, e qualcuno si è rovinato la reputazione finendo per essere un eterno sconfitto come Thomas Lipton, Thomas Sopwith, Marcel Bich l’uomo diventato barone comprando un castello in rovina della Val D’Aosta. Ma è anche vero che è sempre stato uno scontro tra uomini e idee, prima che l’esibizione di potenza economica. La Coppa è una sfida dove i denari servono ad alimentare le idee. Il più ricco dell’inverno 2003, Larry Ellison di Team Oracle, se non avesse avuto la cattiva idea di mettere a riposo Paul Cayard per una questione di gelosia e protagonismo forse avrebbe fatto un po’ più del solletico ad Alinghi che invece le idee le aveva tutte buone. E non ha fatto meglio nel 2007 con Chris Dickson quando in semifinale è finito in ginocchio davanti a Luna Rossa. Solo nel 2010 dopo una lunga battaglia legale (la seconda della storia dopo quella dell’88) il suo trimarano BMW Oracle ha battuto Alinghi e riportato la Coppa in America. Nel 95 la vittoria dei neozelandesi a San Diego è diventato un caso universitario di “team building”: non avevano moltissimi soldi, ma un planning formidabile ed erano esperti del gioco. E’ un po’ un peccato che l’aspetto mondano prevarichi quello sportivo e tecnico: c’è molto da scoprire nelle storie e nel lavoro di queste squadre di squadre. Ci sono uomini, protagonisti. Gli italiani dopo la sfida di Azzurra ci hanno provato altre volte. Nell’87 a Perth in Australia c’erano una nuova Azzurra e Italia, condotta dai fratelli Chieffi. Nel 92 la grande sfida del Moro di Venezia, Raul Gardini mette insieme un team molto forte, con skipper e timoniere Paul Cayard, le regate diventano televisive e per la prima volta una barca italiana conquista la Louis Vuitton Cup e vince una regata contro il Defender America Cubed di Bill Koch in una delle edizioni più dispendiose. Challenger e Defender costruiscono cinque scafi, si spiano. Koch e Gardini si odiavano cordialmente e da giocatori di poker hanno affermato di spendere molto più di quello che in realtà è stato messo in campo. Koch scrisse anche un intero libro per screditare il nemico riportando cifre astronomiche a cui molti hanno creduto. Una delle armi vincenti di Koch è stata una pinna di deriva costruita poco prima delle regate, perché era convinto di perdere. Nel 2000 è arrivata Luna Rossa di Patrizio Bertelli, grande appassionato di Coppa e vela. Anche la sua Luna vince la Louis Vuitton Cup ma poi deve cedere contro i neozelandesi fortissimi. Luna Rossa partecipa nel 2003 e nel 2007 prima di lanciare una nuova sfida per il 2013. Nel 2003 lancia la sua prima sfida anche Mascalzone Latino, voluto dall’armatore napoletano Vincenzo Onorato con il guidone del Reale Yacht Club Canottieri Savoia. Dopo una edizione in cui porta a casa esperienze importanti Mascalzone si presenta anche nel 2007, con due barche rapide che si fanno notare. Nel 2007 si presenta anche +39, sindacato con equipaggio di olimpionici che si scontra subito con una sostanziale mancanza di fondi. Nel 2010 Mascalzone Latino diventa Challenger of Record, ovvero primo tra gli sfidanti, dopo la vittoria di Bmw Oracle. Dopo alcuni mesi tuttavia Onorato rinuncia al ruolo prestigioso che viene preso da Artemis.
C’è forse un brutto effetto collaterale nel disastro della Costa Concordia, forse non ancora visibile: la rovinosa caduta della figura del comandante, dello skipper, che restava uno degli ultimi eroi buoni e positivi nella memoria collettiva. Il comandante è sempre stato un tipo, magari un po burbero e distante, duro anche, che però può somministrare matrimoni e salvare le vite. Uno cui si affida la propria vita con fiducia prima di partire per un lungo viaggio. Invece Francesco Schettino si è dimostrato (per quel che abbiamo visto e sentito) solo uno dei tanti affetti dai sintomi peggiori della nuova etica contemporanea, dove la coerenza, intesa anche come dedizione al proprio ruolo, è inutile, purtroppo perfino derisa. Già il suo ruolo è ambiguo: direttore di un grande albergo semovente o marinaio? Raccontano che un mese prima del fatto del Giglio sia uscito dal porto di Marsiglia con una bufera, senza danni alla nave ma nell’incertezza degli altri ufficiali. Beh, si racconta ancora di Straulino che entra nella Manica con l’Amerigo Vespucci a vele spiegate: quella una prodezza e questa no? Diversa la funzione delle due navi. E sono cambiati i tempi, certo. E’ cambiato il modo di vedere le cose a amministrare la sicurezza, la nostra percezione del mare è cambiata. Joseph Conrad in Tifone racconta la mediocrità senza speranza di Mac Whirr, un comandante ottuso, che porta con ostinazione la sua nave al disastro traversando la tempesta. Ma quell’uomo nato sui regolamenti, che ha fatto una carriera forse non meritata riesce comunque a essere ancora un comandante perché sente la sua vita legata alla sua nave, che ritiene purtroppo invincibile. Per questo anche Conrad non riesce a farne un vero colpevole e lo descrive con rassegnazione, non poteva essere diverso per i suoi limiti. Qui la storia è diversa, non ha avuto neanche la scaltra furbizia di esser l’ultimo ad abbandonare la nave, come da copione e regolamento. I giornali non ci hanno aiutato: hanno avuto più voce i critici musicali con le loro opinioni che i veri uomini di mare. Nel mondo – spettacolo per poter parlare bisogna esser famosi più che preparati. In tante interviste abbiamo sentito pochi ammiragli e comandanti, tanti scontenti che non hanno idea di cosa sia un soccorso in mare, che non hanno capito che i morti potevano facilmente essere 2000. Schettino ha tutte le colpe? Forse no, bisogna scavare negli ordini ricevuti dalla compagnia e dalle sue speranze di salvare il salvabile. Ha sottovalutato tutto, certo. La mitica telefonata con il comandante De Falco rivela, se ben ascoltata qualche sintomo in più di un processo decisionale condizionato: nessun comandante (e questo lo faremmo anche noi con le barche da diporto) vorrebbe lasciare nelle piene mani della Capitaneria la sua nave/barca. Quante volte questo è stata solo una amplificazione del disastro? Dopo il may day la nave è persa, è relitto. E al di la di ogni considerazione economica e gerarchia tra la necessità di salvare le persone o la nave sappiamo bene che “abbandonare” significa quasi sempre perdere. Quando interviene la Capitaneria il comandante/armatore non può più dare ordini veri (“adesso comando io” infatti è la dichiarazione che arriva da Livorno “lei conti le persone”). Giusto? Sbagliato? Chi scrive aveva una barca che poteva essere salvata con un intervento più rapido e radicale, ma perfino l’avvocato gli ha consigliato di non presentarsi sul posto, di non prendere iniziative che potevano peggiorare la situazione. Dunque, forse, qualcosa non funziona, al di la della orrenda situazione che si è creata al Giglio, anche nel sistema complessivo della gestione di queste emergenze.
La figura del comandante, nel nostro piccolo, prima di Schettino, era già in pericolo: troppi skipper della domenica che non sanno più che il comando è una missione, che per comandare devi sentire addosso oltre alla tua vita, quella degli altri e della barca. Troppa gente che diventa istruttore dopo qualche settimana di mare e poi si sente in diritto di tenere prigionieri delle sue idee quelli che navigano con lui. Skipper: ma esiste ancora questo ruolo?
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