A Plymouth il secondo evento delle World Series della America’s Cup. Segue Cascais, avvenuto in pieno agosto. La novità per il popolo della Coppa America sono stati come sappiamo i catamarani con la vela rigida alare, una riduzione del mostruoso (per dimensioni) BMW Oracle che ha vinto nel febbraio 2010 cui è seguita la decisione di Russell Coutts di proseguire per quella strada. I velisti “tradizionali” hanno fatto una bella polemica sul fatto che si cambiava radicalmente il modo di fare le regate, per loro era anche un problema di mera disoccupazione: la paura del cambio generazionale, l’incertezza di un programma che è ancora da definire nei dettagli, cambiato più volte. Ma il vero problema della crisi della Coppa non è stata la scelta delle barche, quanto proprio questa difficoltà a definire un calendario credibile di eventi. Se si rileggono le intenzioni di un anno fa sembrava che senza un budget di 80 milioni non fosse possibile entrare in gioco. Adesso bastano 25 ben spesi per arrivare in semifinale e si partecipa al gioco degli AC 45 con 5/6.
Curiosità delle differenze? Tanto per dare una misura, la vecchia Luna Rossa portata da diciassette uomini faceva al massimo, in condizioni normali, dodici nodi. Questi catamarani di tredici metri vanno abitualmente al doppio e possono raggiungere i trenta con facilità. Difficile seguirli con il gommone, gli arbitri in acqua usano delle moto d’acqua per essere più rapidi e le decisioni vengono prese con l’aiuto delle immagini in televisione e comunicate via radio, poi capita che le luci rossi di bordo siano guaste e gli equipaggi non si accorgano delle penalità nella confusione. Il pubblico non si accorege delle proteste perchè non c’è più la plateale alzata di bandiera su cui indugiava la camera on board.
La novità dunque sono le barche, ma quello che tutti si aspettavano era anche il cambio generazionale. In tanti hanno pensato che fossero i giovanissimi i nuovi eroi del timone: riflessi freschi, agilità, voglia di vincere. Mica vero: i vecchi leoni del match race sono andati a scuola di catamarani e hanno imparato presto. Della serie il talento non è acqua, chi è bravo resta bravo. Così i più efficaci restano i soliti noti: Dean Barker timoniere di Emirates Team New Zealand, James Spithill con Oracle, Terry Hutchinson di Artemis. Anche il datato Russell Coutts è riuscito a entrare in semifinale, mostrando agilità e nervi saldi con il suo equipaggio di cinquantenni. In realtà smetteranno per far posto a un equipaggio giovane. Quello che doveva far paura a tutti era l’espertone francese di multiscafi Loik Peyron: succede però che alla fine in qualche occasione sa sfruttare meglio la barca, ma la classifica non lo vede facilmente nelle parti alte. Insomma, quel che si capisce è che sono cambiate le barche ma che il modo di vincere resta lo stesso: organizzazione, allenamento, istinto, talento. Qualcosa di simile è successo anche con regate di altura come il giro del mondo a vela: quando sono arrivati i velisti più raffinati e tecnici usciti da Coppa America e Olimpiadi hanno chiuso la partita contro gli oceanici che pensavano di essere più marinai. Ci hanno messo meno i tecnici a diventare marinai che il contrario.
A Plymouth il pubblico ha assistito alle regate dal prato che è stato dei grandi ammiragli della Royal Navy dei secoli scorsi, dove passeggiavano in attesa di nuove campagne di guerra: il viceammiraglio Francis Drake, il pirata della regina Elisabetta e lord Howard hanno atteso qui la marea giusta per scatenare la flotta reale contro la Grande Armada, poi demolita dalle navi incendiarie, dalla tempesta e della ferocia degli irlandesi che hanno distrutto e ucciso tutto ciò che naufragava sulle loro coste.
Il pubblico è una bella novità del nuovo formato tanto criticato: non in mezzo al mare dove neanche i binocoli bastano e per conquistare un posto in barca spettatori ci vogliono decine di euro. La televisione si capisce che fa del suo meglio e che può migliorare molto nella spettacolarità, quando i registi avranno imparato a usare le camere di bordo con più efficacia e tempismo. Le regate di match race sono state vinte da Emirates Team New Zealand, quella di flotta da Oracle – Spithill. Dopo Plymouth la flotta si sposta a San Diego per l’ultimo evento del 2011. Si ricomincia in gennaio nell’emisfero australe, con un evento a Brisbane. Si sa che al 99% scenderà in campo Luna Rossa, al momento dice solo per partecipare al circuito degli AC 45 e non alla Louis Vuitton e alla Coppa America che saranno nella primavera estate del 2013 con gli AC72, potrebbe esistere un progetto dell’ultima ora. C’è fermento per l’arrivo di altri sindacati italiani, dopo la conferma di ben quattro eventi in Italia due a Venezia e due a Napoli, che diventano un palcoscenico importante per gli sponsor italiani anche con interessi internazionali.
Dopo la sconfitta del 34 sir Thomas Sopwith lancia una nuova sfida e prepara un nuovo Endeavour. Vanderbilt, che ha rischiato molto nella precedente edizione per difendere la Coppa, lancia il progetto di Ranger, ancor oggi considerata una barca insuperabile, che ha tutta l’eleganza dei J Class e la potenza delle dimensioni. Il progettista Starling Burgess è affiancato da Olin Stephens, un ragazzo che saprà portare un approccio scientifico prima sconosciuto, e da un pool di tecnici che si occupano delle diverse parti dello scafo. Il giovane Stephens segue le prove in vasca con Kenneth Davidson. Probabilmente disegna anche gran parte della carena che alle prove risulta più rapida. Il risultato è eccellente: Ranger domina, è una barca che nasce veloce e fortunata. Nella sua breve vita regaterà trentasette volte, perdendo solo tre regate. Quando i due giganti sono finalmente a confronto di fronte a Rhode Island ci si aspetta qualcosa di davvero spettacolare, un duello sanguinario. Invece nella prima prova Ranger liquida l’avversario con facilità, lasciandolo tagliare il traguardo con diciassette minuti di ritardo. La seconda prova, ancora con vento leggero, finisce in maniera simile: diciotto minuti. Con il vento più fresco della terza e della quarta prova il distacco scende a quattro. La Coppa resta in America, e con la seconda guerra mondiale si apre un periodo molto triste per il mondo e la Coppa stessa. Gli stupendi J Class finiscono quasi tutti demoliti per ricavare materia prima. Ranger era costruito per non durare con materiali che si deteriorano rapidamente. Restano Velsheda, Endeavour I e II, Shamrock V, restaurati in vari momenti. Nel 2005 è stata completata una bella copia di Ranger.
Da quella edizione inizia la lunga e felice carriera di Olin Stephens: iniziò come spalla e concorrente all’interno del team di Starling Burgess ai tempi dell’innovativo Ranger. Un po’ di fortuna della sua fortuna la deve al broker Drake Sparkman che ne intuì il genio e gli offrì di fondare lo studio Sparkman & Stephens. Come Herreshof ha vinto sei volte la Coppa: dopo Ranger con Columbia, Constellation, Intrepid, Courageous e Freedom. Sulla scena dal ’37 all’80, fino a pochi anni fa, era possibile incontrarlo ultranovantenne sulle banchine delle regate più famose. Dopo barche degli anni Trenta come Stormy Wheater e Dorade e l’aver partecipato ai tavoli che hanno scritto le regole di stazza. Nel suo studio hanno lavorato, anche per pochi mesi e come ragazzi di bottega, molti dei progettisti più importanti.
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