L’inizio del novecento è ancora un’epoca di giganti, i mari sono solcati dalle ultime navi a vela che riescono a percorrere il globo segnando record di velocità e percorrenza che hanno resistito fino al tempo dei multiscafi. Anche le barche da regata sono affette da gigantismo. Thomas Lipton ritorna da William Fife, che realizza il terzo Shamrock. Oliver Iselin, influente newyorkese, è sempre alla testa di un consorzio di soci che armano il defender Reliance, ancora una volta del mago Herreshoff. È lungo 43 metri, un’enormità. Quando sbanda, per navigare di bolina, la sua linea di galleggiamento aumenta di tredici metri… L’albero è di 56 metri e in coperta arrivano finalmente i winches, altra innovazione importante che resterà nella vela per sempre. Per manovrarlo, a bordo ci vogliono sessanta uomini e già con quindici nodi di vento è in difficoltà. Il defender vince piuttosto agevolmente le prime due prove, mentre nella terza addirittura si perde nella nebbia e si ritira. La barca di Lipton non è più lenta, ma di certo conta la bravura di Charlie Barr. Già all’inizio del Novecento si tentava di togliere alla leggendaria regata il suo primato. Nel mondo si percepisce la tensione che porterà alla guerra e dopo questa edizione non ci sono sfidanti pronti, disposti a tentare la sorte. Anche Lipton mette in vendita le sue barche.
Charlie Barr che si afferma come primo grande timoniere era nato in Scozia nel 1864, era stato naturalizzato americano, portava barche di quaranta metri come fossero biciclette. Ha vinto nove regate consecutive in tre edizioni diverse, il suo è un record durato fino all’arrivo di Coutts. È stato il grande avversario delle barche di Thomas Lipton. Nel 1905, con la ricetta “tutta la tela possibile”, ha anche stabilito il record di traversata atlantica a vela, 12 giorni e 4 ore, con lo schooner a tre alberi Atlantic durante una regata nata per far concorrenza alla famam della Coppa America, record che ha resistito per 75 anni fino al 1980, quando Eric Tabarly impiegò 10 giorni e 5 ore a bordo del trimarano Paul Ricard. Il primo monoscafo a batterlo è stato Mari Cha, 9 giorni e 15 ore, nel 2006.
Ricevo questa lettera di Epaminonda Ceccarelli. Un ingegnere geniale che ha saputo dire la sua nella barche, nell’edilizia, nelle auto da corsa cui devo gran parte della mia passione per il mare. Non solo lo conosco da quando portavo i pantaloni corti, ma ho avuto modo di sfidare il Tirreno con un EC 26 dell’amico Enrico, imparando tanto e cementando soprattutto una passione forte per le barche. In un momento in cui “sapere” viene addirittura nascosto se non temuto è una luce in fondo al tunnel.
Caro Antonio,
ieri ho aperto quella che era la tua rivista: non potevo non ricordarmi di te perché le tante delle tue parole, assai tecnicamente preparate, hanno procurato a me, e soprattutto a Giovanni, informazioni sul racing delle vele. Tu con i tuoi articoli ci spingevi dentro una lunga onda di episodi che come addetti ai lavori ci interessavano particolarmente. E’ appropriato parlare di onda per i ricordi, perchè ti piombano addosso fantasticamente e ,come le vere onde , ritirandosi formano una risaccca che lascia fermi sul bagnasciuga gli amari residui di qualcosa di informe e non gradito.
In questi giorni, per me, c’è stata la coincidenza di un succedersi di eventi. Infatti dopo la amarezza di vedere il trattamento riservato al maestro d’arte Sgarbi nell’annullare la sua trasmissione in prima serata , dopo che avevo trascorso due ore di vera cultura nell’impalpabile ma grande godimento in tutti sensi dello spettacolo e’ stato un vero colpo di grigio. Tanto più finalmente in un Canale votato per obblighi alla più melensa e vuota narrativa vedere quel vero “canto libero.” Attaccato il lavoro di Sgarbi come un delitto e interrotto da burocrati incapaci del più elementare coraggio dopo la notizia mi sono mentalmente e volutamente allontanato nel continuare entrando nel ludico sportivo: la mia vela.
Così ho sfogliato, con un gesto nevrotico e ripetitivo le pagine di Vela e Motore di fresco arrivo dove ho subito notato, nel cambiamento, un secondo colpo di grigio. Un foglio reclame seguito da un foglio di notizia, eccetera, avanti alla stessa maniera fino in fondo: forse oggi i manager, per far denaro, devono far così.
Ma un giornale di vela, il più anziano d’Italia, dove in modo quasi infantile ritrovi te stesso non deve cambiare così improvvisamente, però’ penso che la dirigenza lo abbia fatto in buona fede, usando il suo linguaggio.
La vela è stato il mio gioco negli anni passati. Un gioco che molte volte mi e’ capitato di vivere quando per lavoro vado nei Porti o incontro qualche manager amante della vela di altura in Italia e all’estero, in Francia, in Brasile ecc. non posso dimenticare alla mia età quale emozione sia stato sentisti chiamare “Maestro“, o “Mito della sua giovinezza“. Dunque è vero, leggendo il ricordo di tali apprezzamenti tutto si rinnova e ti fa sentire uno di loro; pure loro lettori attraverso gli strumenti che gli abbiamo procurato.
Cambiando la veste (parlo da modesto incompetente che esprime una sensazione), editoriale si e’dato un colpo al foglio, agora’ virtuale di convegno ideale, incontro attraverso la notizia e il rapporto col lettore.
A volte mi e’ capitato l’incontro fisico con chi scriveva sulle riviste, ritrovandosi all’Admiral’s, a qualche Campionato, alla Coppa America o a qualche competizione FIV. Quei lettori particolari sono degli appassionati legati alla natura per il semplice fatto di saper di con abile mano riuscire a strappare al vento la energia per girare il mondo. Sono lettori giustamente ambiziosi e ansiosi di leggere da altri (preparati) dell’ultimo “si dice” e ognuno nel suo piccolo ricavare un consiglio utile per il suo gioco.
Lasciamo ora perdere se noi lettori abbiamo opinioni diverse nel sociale perché il bello è che quando entriamo nelle letture dello sport velico tutto diventa un linguaggio trasversale che unisce e accomuna i popoli. Sappiamo tutti che a volte il mare ti fa dimenticare le diversità quotidiane…
Antonio, nelle tue osservazioni o scazzignamenti post regata riuscivi ad usare un linguaggio critico fatto ad hoc per gente come me attaccata alla sua esperienza a volte pionieristica. Da parte mia apprezzavo il senso critico quando affrontavi le luci e ombre di una economia settoriale, purtroppo a volte gestita in modo poco ortodosso e fuori dalle norme. Io che dal 46 ho seguito passo a passo lo sviluppo e la rivoluzione che ha portato alla seconda generazione della nautica frutto di botteghe dove ogni famiglia aveva un suo linguaggio posso dire che ci sono stati cambiamenti epocali come la scomparsa delle botteghe, di quei piccoli qualificati Cantieri che sotto spinte sbagliate dovute alle lotte sociali di accorpamenti a volte indiscriminati fatti pensando che bastava acquistare per avere continuità creativa del prodotto, senza tener conto che era scomparsa nelle “vendite” l’anima di quell’ homo faber che l’aveva creata, dandogli così un particolare linguaggio e stile.
Il senso critico e competente nella tua informazione, che quando sfiorava il commerciale sapeva cogliere anche i momenti critici di un settore economico che, in certe bolle, viveva fuori dalle norme con una pubblicità esaltante ma cosciente della stima all’esterno del Made in Italy.
Come ho scritto sopra ho preso la rivista Vela e Motore ben ultima di aprile, un rigo una pubblicità e poi un altro rigo altra pubblicità ecc… non ho letto nulla: è stato per me come un divorzio dopo uno sposalizio d’amore durato ininterrottamente dagli anni 50. Pensa a sessant’anni! Io però continuerò a leggerlo sperando che riprenda in quella direzione editoriale, ho tutti i numeri e tutti gentilmente offerti.
In quella ideale risacca o guardato e riguardato, cercato almeno un piccolo granchio ancora vivo ,(due righe critiche ): nulla .
Aspetterò!
Allora in parallelo ho pensato a Sgarbi .
Mi sono ricordato che agli albori suoi mia moglie Anita appassionata di arte anni fa come Presidente della associazione FIDAPA si interessò organizzando alla Biblioteca Classense di Ravenna una delle sue prime conferenze di arte. Ebbi modo di conoscerlo e capì che eravamo nella comunicazione culturale su un altro pianeta. Il suo spettacolo e’ stato fermato lo share basso al pubblico non ha tempo per pensare culturalmente, criticamente non gli interessano le sole armi per un futuro .
Il calamaio che sant’Agostino portava con se per dirci non interessa più. E l’’inchiostro di china che ha resistito nei suoi scritti migliaia di anni . Ora basta, tutto è ridotto a un file magnetico che sarà buttato dopo 5 o 6 anni cosa importa tanto e’ vuoto come vuote le pagine che sto guardando. Ho pensato a te e ti sto rubando un po’ di tempo perché non potevo non farlo. Non ho potuto non fare il parallelo con i tuoi articoli collezionati nei miei armadi fatti nelle due Coppe America. Non potevo non pensare agli articoli su Il Giornale e alla tua rivista, così anche per lei hanno spento come per Sgarbi la luce riaccendendola in altro scenario.
Sono rimasto a riordinare nella memoria dei veri ricordi ai agli articoli tuoi durante alle due Coppe di Giovanni, erano come assist calcistico a volte che gli servivi . Erano tutte note competenti, utili come invece inutili perché vuote quelle e mi riferisco al nostro paese, ora in tanti tabloid il vacuo inutile sta dilagando.
Fu la tua rivista che mi mando’ negli anni 70 la bella bruna Giorgia Ghessner a intervistarmi al mio studio dove parlammo per ore, del made in Italy che primo stavo proponendo al Salone primi anni 70 a Genova, all’apertura riempì una pagina intera del Corriere della sera. Debbo a Lei e a Vela e Motore questo lancio trainante quanto ho aperto il primo studio di progettazione nautica. Poi sono state pubblicate decine di barche che ho progettato. Insomma anche tutta la presenza Vettese e’ stato un grande motore indimenticabile, proseguito anche con Giovanni autore del secondo tratto di staffetta della corsa dei Ceccarelli. Debbo solo ringraziare te, la rivista Vela e Motore e sono certo che l’esame delle cose passerà ancora e presto attraversa la cultura perché e’ come la sete di libertà.
Dio nel lavoro dell’uomo gli ha donato la creatività ma l’uomo usa la sua intelligenza per una giusta interpretazione.
A te e alla tua famiglia Buon vento !
Epaminonda Ceccarelli
Thomas Lipton si diverte ad andare a vela, è già amico di Edoardo VII che succede alla regina Vittoria e lo spinge a partecipare. Inoltre è molto amato dagli americani per i suoi modi gentili. Lipton si affida a Watson per il secondo sfidante che chiama ancora Shamrock. Ne esce una barca migliore della precedente che purtroppo rompe l’albero proprio con il re a bordo nelle regate di preparazione a Cowes. Per scegliere il defender ci sono selezioni, il nuovo Constitution disegnato da Herreshof per August Belmont è molto aggressivo, tuttavia il vecchio Columbia rimodernato appare più affidabile. C’è anche Indipendence di un sindacato di Boston, che il New York Yacht Club vorrebbe sotto il suo guidone e quindi resta in porto. Columbia è armato da John Pierpont Morgan, influente finanziere ma anche appassionato e vero velista che quell’anno regala al NYYC l’area su cui ancora sorge la sede a terra del club a Manhattan, e da Edwin Morgan. Il timoniere americano è ancora Charlie Barr, che governa un equipaggio scandinavo professionista e stipendiato. Barr conduce Columbia “come una bicicletta” e vince agevolmente le selezioni, non è più veloce in assoluto ma lo diventa sul campo. La barca di Lipton nella prima prova sembra in grado di battere gli americani e conduce lungo la bolina. Nella parte finale però Columbia recupera e vince con facilità. La seconda prova è solidamente in mano agli americani. La terza prova è assolutamente spettacolare. Shamrock conduce e vince in tempo reale per pochi secondi, però la classifica in tempo compensato dà ragione agli americani. Lipton non si scoraggia e pensa già a una nuova sfida.
Il vero vincitore della sfida del 1901 è Charlie Barr, che dimostra come conoscenza della barca e delle manovre siano fondamentali; soltanto altri due Defender nella storia della Coppa hanno avuto l’onore di difendere il trofeo per due volte: Intrepid (1967, 1970) e Courageous (1974, 1977) entrambi disegnati da Olin J. Stephens II.
Azzurra, lo storico nome legato che per ha portato per la prima volta l’Italia in Coppa America con la sfida per la edizione 1983 a Newport torna sul palcoscenico della grande vela. Dopo aver rinunciato ad allestire una sfida per la edizione 34 della Coppa è il nome di una barca che partecipa al circuito MedCup Audi, che si corre con le barche della classe TP52, una formula inventata per traversare l’Oceano Pacifico da San Francisco alle Hawaii presa a prestito per queste regate tra le boe, il successo del circuito è stato deciso da Juan Carlos di Borbone qualche anno fa ha scelto di costruire una barca (le barche del Re si chiamano Bribon, che significa più o meno ragazzaccio) per partecipare “sdoganando” di fatto il neo nato circuito. La prima tappa è in corso a Cascais, L’armatore di Azzurra è Alberto Roemmers, appassionato socio argentino dello Yacht Club Costa Smeralda, la barca è nuova costruita su progetto di Rolf Vroljik (quello di Alinghi per non sbagliare) le basi di organizzazione ed equipaggio sono quelle di Matador, nome della barca precedente dello stesso armatore con skipper Gulliermo Parada e l’addizione non superflua di Francesco Bruni, uno dei migliori velisti nazionali e Vasco Vascotto, che merita la medesima definizione. Il progetto è seguito in prima persona dal Commodoro dello Yacht Club costa Smeralda Riccardo Bonadeo, madrina del varo è stata Zahra Aga Khan. Bonadeo dopo aver accarezzato il sogno di rilanciare una sfida con il nome Azzurra in Coppa America partecipando al Louis Vuitton Trophy conserva un altro sogno nel cassetto, quello di un giro del mondo in equipaggio Volvo Race. Dice Bonadeo: “Cerchiamo qualcosa che tenga viva l’icona di Azzurra, quando ci siamo noi c’è subito un nuovo interesse per la vela e il mio impegno è di riuscire a trasmetterlo in maniera corretta. Insomma Azzurra fa bene al futuro della vela. Il mio sogno resta il giro del mondo che resta la regata di riferimento per molti di noi”. Bonadeo, che per le sue barche usa il nome di Rrose Sélavy, pseudonimo femminile dell’artista Marcel Duchamp, commenta anche la situazione della Coppa America che ha perso il Challenger of Record Mascalzone Latino: “come molti sanno io e Vincenzo Onorato abbiamo discusso e non dovrei esser io a commentare la situazione … in realtà mi spiace molto quello che è successo e do atto a Vincenzo di aver fatto una grande fatica per portare l’evento su binari ragionevoli, per renderlo un gioco possibile sia per lo spettacolo che per i budget. Adesso penso tutto il peggio possibile, proprio non mi piace”. Gli avversari forti di Azzurra sono Synergy (Russia), Quantum Racing (Usa), Ran (Svezia), Container (Germania) e All4One (Francia-Germania), Bribon (Spagna). Le tappe del MedCup 2011 saranno cinque. Il 16-24 maggio; 14-19 giugno a Marsiglia; 19-24 luglio a Cagliari; 23-28 agosto a Cartagena; 12-17 settembre a Barcellona. Dal 2 all’8 ottobre lo Yacht Club Costa Smeralda ospiterà a Porto Cervo il TP 52 World Championship 2011.
Da mesi se ne parlava, ma nessuno ci credeva davvero: radio banchina continuava a ripetere che Vincenzo Onorato, dopo aver conquistato per amicizia con Coutts il ruolo di Challenger of Record, cioè quello di primo sfidante del Golden Gate Yacht Club, si sarebbe ritirato dalla Coppa America. Ieri invece l’arrivo del comunicato ufficiale: Mascalzone Latino si ritira, rinuncia alla sfida presentata al Golden Gate Yacht Club del defender Oracle attraverso il Club Nautico Roma e quindi non partecipa alla edizione 34 della Coppa America. Motivo ufficiale la difficoltà a raccogliere il denaro necessario ad allestire una sfida ben fatta, competitiva. Da mesi Mascalzone Latino era distratto. Non è mai salito, ad esempio, con un equipaggio completo sui catamarani della classe AC 45, piccoli mostri con vela alare che hanno debuttato a Auckland qualche settimana fa: sintomo di una decisione imminente. C’è dell’altro: Onorato ha molto lavoro per seguire la sua compagnia di navigazione Moby Lines e per la questione Tirrenia, così dice: “non ho tempo per seguire personalmente la sfida, se non ci sono io il sindacato non funziona e senza il mio contributo diretto non riesco a raccogliere gli sponsor. Quando scendo in mare voglio vincere, dunque una sfida persa in partenza non mi interessa, mentirei agli sponsor, ai nostri tifosi ed anche a me stesso”. Quanti soldi servivano? 40 milioni per esserci, un po’ di più per vincere qualche regata, almeno 80 per puntare alla vittoria. Come risultato del ruolo di Mascalzone Latino si era parlato a lungo di Venezia e Trapani come possibili sedi di regate ma tutto si è fermato tra richieste economiche eccessive degli americani, ma alla fine molto trattabili, e lentezze politiche. Il primo evento della prossima edizione con i catamarani Ac 45 che poteva essere in luglio a Venezia sarà in agosto a Cascais, Portogallo.
Forse un errore di Vincenzo, che resta uno degli armatori più appassionati, è stato proprio quello di strizzare l’occhio alla politica, che in realtà non è stata in grado di assicurare e soprattuto di capire che la Coppa poteva essere una grande occasione. Dall’altra parte del mondo il governo stanzia 36 milioni di dollari per Team New Zealand perchè crede nell’industria nautica. Qui fatichiamo a rendere operativi dei coefficienti adeguati per il redditometro o rendere umani i controlli in mare.
Prima di Mascalzone che ha partecipato alla Coppa nel 2003 e nel 2007, sono stati Challenger of Record Azzurra nell’87, Il Moro di Venezia nel 92 (che in realtà “abdicò” a favore di un comitato di sfidanti) e Luna Rossa nel 2003. Adesso che succede? Il ruolo passa al Royal Swedish Yacht Club che ha presentato la sfida di Artemis, sindacato condotto da Paul Cayard e c’è un interessante retroscena. I destini di Russell Coutts, lo skipper del defender americano Oracle e di Cayard sono di nuovo strettamente legati alla Coppa: sono stati per anni due grandi “esclusi” per aver discusso con i loro finanziatori. Nel 2003 Cayard fu messo a riposo da Larry Ellison per eccesso di personalità “non voglio che diventi famoso con i miei soldi” ma questo gli costò una campagna disastrosa e l’assunzione di Dickson che nel 2007 si è riveltao anche peggio. Nel 2007 Coutts è rimasto ai domiciliari (si fa per dire) per volere di Ernesto Bertarelli per motivi mai spiegati fino in fondo prima di chiudere il contratto con Ellison, piegato dalla voglia di vincere a prendere un uomo faro e vincente. Cayard e Coutts, ai tempi dell’esilio, insieme avevano progettato un circuito alternativo con i multiscafi, che è esattamente quello che stanno facendo adesso. L’Italia resta rappresentata da Venezia Challenge, un sindacato del tutto nuovo che fonderà le sue risorse economiche su nuovi mercati e nuove strutture manageriali. Presto sapremo di più degli uomini che si sono. Finora sono pubblici i nomi di Carlo Magna e Emanuela Pulcino che hanno dato vita al sindacato. La rinuncia di Mascalzone può essere un colpo di fortuna, per raccogliere quegli sponsor che vorrebbero buttarsi nel grande palcoscenico della Coppa. Senza voler assolutamente dare giudizi su questo sindacato la cui dote migliore finora è la voglia di rischiara anche la faccia, è singolare che l’Italia a vela sia rappresentata nel massimo evento da un team del tutto nuovo, con poca esperienza. Non è solo paura degli americani, del loro vantaggio tecnologico, ma anche una sostanziale incapacità di fare squadra, progettare team ed eventi e anche rischiare. I velisti italiani sono rimasti progionieri della presunzione “tanto mi chiameranno, hanno bisogno di me”. Un marketing da ragazza sedicenne al liceo, che fa gli occhi dolci al più bello. E prigionieri della voglia di far da soli, di fare meglio. Legati ancora alla figura del padre armatore, pagatore, traghettatore. Le occasioni di fare c’erano, eccome. Forse non tanti soldi certo, ma la possibilità di partecipare esisteva.
I sindacati iscritti restano quattordici, purtroppo quelli che hanno fondi sicuri per partecipare sono molto meno: oltre ad Artemis e Oracle c’è Team New Zealand, saldamente guidato da Grant Dalton, che una volta di più ha confermato il suo carattere di nazionale della vela neozelandese. Ma in Nuova Zelanda la vela e l’industria nautica sono particolarmente importanti e il Governo punta anche a mantenere forte questa immagine “industriale”. Sembra impossibile, ma quella nautica è una delle prime del paese australe, la cui economia è fondata su allevamento e agricoltura.
Si può affermare che il gruppo Azimut Benetti con la linea Magellano ha reso disponibile una nuova tipologia: il nome del grande navigatore portoghese Fernäo de Magalhäes, il primo ad allestire una spedizione che ha concluso la navigazione attorno al globo, non è stato scelto a caso. E’ la testimonianza di voler proporre barche a tutto mare, che significa in grado navigare in ogni condizione ma anche di rispettarlo rispondendo in pieno alle esigenze di compatibilità ambientale di una utenza che si rivela sempre più matura.
Azimut Magellano 50 è stato presentato in anteprima mondiale durante il Salone di Genova e segue il primo modello della gamma, Azimut Magelllano 74, che ha segnato il cammino in questa navigazione nel mercato mondiale che ama i contorni “new classic”. Gli yacht Magellano sono il frutto di un grande lavoro di ricerca che si è spinto a esplorare nuove soluzioni in ogni aspetto fondante della barca: carena, propulsione, interni. Per Azimut Magellano 50 la carena è opera dello specialista americano Bill Dixon, il disegno particolare le consente di navigare in “dual mode”: a bassa velocità in dislocamento o a 24 nodi in planata. Il look esterno e il layout degli interni sono opera di Cor D Rover, per la prima volta su una imbarcazione di questa taglia sono disponibili ben quattro versioni. Tutte dispongono di una cabina armatoriale a centro barca, una cabina vip, ogni cabina ha il suo bagno, e possono disporre di una ulteriore cabina a letti sovrapposti oppure di una zona divano e/o studio nella zona centrale del ponte inferiore. L’interior design è opera dello Style Department di Azimut. Il dipartimento R&D di Azimut ha lavorato per una nuova propulsione ibrida disponibile in opzione che affianca di motori diesel common rail della ultima generazione, due Cummins da 425 cavalli con trasmissione V-Drive che lo spingono a una velocità massima di 22 nodi, che propone due motori elettrici da 20kW con cui si può navigare fino alla velocità di 8 nodi contando solo sulle batterie con una autonomia di 8 miglia con la dotazione standard di accumulatori (che possono essere raddoppiati) o sul generatore principale, una opzione che riduce molto i consumi di carburante (autonomia oltre 1000 miglia) e innalza il livello di comfort, attenuando drasticamente rumore e vibrazioni. Il sistema si chiama Easy Hybrid Plus e grazie al controllo elettronico si può passare in automatico dal regime elettrico a quello tradizionale spostando semplicemente le leve dei motori.
Magellano 50 è omologato in classe A CE e quindi può navigare in qualsiasi condizione di mare, dispone della certificazione Green Plus di Rina (primo yacht al mondo sotto i 50 piedi a ottenerla), di quella FSC (Forest Stewardship Council) che certifica che i legni impiegati provengono da foreste gestite con criteri di eco – sostenibilità, la laminazione in infusione della carena è realizzata negli stabilimenti Azimut di Avigliana che hanno ottenuto la certificazione ISO 14001 Ambiente.
Dice Paolo Vitelli, presidente del Gruppo Azimut Benetti: “Magellano 50 è il risultato di anni di esperienze e della volontà di proporre un progetto totalmente innovativo in cui esploriamo l’opzione della propulsione elettrica e tante nuove soluzioni. Per noi è un traguardo in nome della compatibilità. Tuttavia voglio sottolineare che in Azimut Benetti crediamo che per fare discorsi seri sulla riduzione dell’impatto ambientale bisogna lavorare sull’ efficienza generale e quindi soprattutto di riduzione dei consumi ottenuta anche con tecnologie tradizionali. Su gran parte della nostra gamma montiamo motori a bassa emissione che rispondono alle normative più severe comparabili agli Euro5 stradali, generatori con decantazione dei fumi, impianti per le acque nere sempre più sofisticati. Abbiamo iniziato a proporre tessuti naturali e legni FSC lavorati con trattamenti poco inquinanti oltre a materiali sintetici che li sostituiscono in alcune parti”.
Comincia venerdì 13 maggio il Portofino Rolex Trophy, la regata che lo Yacht Club Italiano e Rolex dedicano alle classi metriche: J Class, 12 Metri S.I., 8 Metri S.I., 6 Metri S.I., 5.50 S.I. e dragoni interamente costruiti in legno. Le regate si svolgeranno nelle acque del Golfo Marconi fino a domenica. Promessi l’anno scorso per la prima edizione i J Class arrivano a Portofino questa volta e sarà possibile vedere due gioielli della vela mondiale: il J Class Shamrock V e il 23 Metri S.I. Cambria, i cui nomi sono legati alla più antica e affascinante sfida di tutti i tempi, l’America’s Cup. Shamrock V fu costruita nel 1929 per Sir Thomas Lipton, inventore del the con scatola marchiata e delle prime forme di conunicazione sponsorizzata, e partecipò all’edizione del 1930 della Coppa America, perdendo contro il J Class americano Enterprise. E’ uno degli ultimi J Class giunti intatti fino a noi: oggi, nel mondo, ce ne sono solo cinque esemplari. Nel 1937 Shamrock V venne acquistata da Vittorio Crespi, il proprietario del Corriere della Sera, e con il nome di Quadrifoglio ha soggiornato a lungo a Genova al Porticciolo Duca degli Abruzzi. Lunga 36,51 metri e larga 6, ha una superficie velica di 702 metri quadri. Durante il Portofino Rolex Trophy ci sarà a bordo Elizabeth Meyer nipote di Eugene Meyer, primo presidente della World Bank, e di Agnes Ernst Meyer, proprietaria del Washington Post durante il Watergate. La Meyer comprò il J Class Endeavour nell’84 sottoponendolo a uno dei primi restauri totali di queste grandi barche, praticamente una ricostruzione avvenuta in Olanda presso Royal Huisman, da allora è una autorità nel mondo dello yachting classico e presidente della International Restoration School di Newport. Cambria, progettata nel 1928, è lunga 40 metri e ha una superficie velica di 760 metri quadrati. Ordinata dal magnate della carta stampata Sir William Berry fu più volte avversaria di Shamrock V sui campi di regata. E’ l’unico 23 Metri S.I. ancora navigante al mondo.
Il Portofino Rolex Trophy sarà anche l’occasione per ammirare alcuni storici 12 Metri S.I., le barche su cui si disputava la Coppa America negli anni del dopoguerra. Saranno in regata Emilia, il secondo 12 Metri S.I. costruito in Italia, Ikra, French Kiss, Kookaburra III e Sovereign. Tra gli 8 Metri S.I. è confermata la presenza di Margaret e Miranda III, tra i 6 Metri S.I ci saranno Bau Bau, Dan e Valentina. Nutrita anche la flotta di 5.50. Saranno in regata anche i Dragoni, che si affronteranno per conquistare la Coppa Alberti.
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