La corsa del trimarano francese, che ha stabilito il record dell’Indiano e quello del Pacifico, ha subito un forte rallentamento dopo il passaggio di Capo Horn. Il vento è poco e la rotta scelta, lontana dalle coste del Brasile, non sembra produttiva. Il risultato è un ritardo di 240 miglia. Non sono molte viste le velocità che questi trimarano possono produrre, ma è ma il risultato finale, scendere sotto i cinquanta giorni attorno al mondo, può essere più difficile da raggiungere.

Nella foto Capo Horn

qui la cartina con la rotta
Groupama – Jules Verne

La notizia è “sentimentalmente” più importante di quel che può sembrare a una prima lettura dei fatti economici. Attilio “Tilli” Antonelli è uno degli imprenditori più dinamici dell’ultimo ventennio. Nato in Romagna ha passato la gioventù a bordo del Moro di Venezia di Raul Gardini conquistando presto il soprannome di “Toro Tilli” per la sua risolutiva potenza fisica. Certo che nel mondo della vela non poteva far cassa ha fondato i “Cantieri dell’Adriatico” che hanno iniziato a produrre le barche Pershing, nome preso a prestito da quello dei missili dedicati al generale John Pershing, eroe della prima guerra mondiale. Ed è stata una delle favole dell’italian style: con il designer Fulvio De Simoni Tilli impone un open abitabile che ha fatto scuola, di abitabilità e stile visto che la finestrella ad arco è stata copiata anche nelle auto.  Negli anni del boom il cantiere si è chiamato Pershing ed è confluito nel Gruppo Ferretti, trovando energie per diventare grande e fare ricerca.  Ma dopo il successo del gruppo ha condiviso anche la forte crisi. Negli ultimi mesi Antonelli avrebbe visto bene la vendita del “suo” cantiere di cui era sempre rimasto l’anima operativa a nuovi acquirenti, fondi internazionali, con una offerta di 100 milioni. Il gruppo non ha voluto cedere il marchio, che ritiene strategico per uscire dalla crisi e Antonelli si è dimesso. Se la crisi non rientra per l’imprenditore romagnolo significa la definitiva separazione dalla sua creatura.  Questo il testo del comunicato ufficiale del Gruppo Ferretti: “Il cda di Ferretti Spa ha rifiutato un’offerta d’acquisto pervenuta lo scorso 3 febbraio per la controllata Pershing. Decisione presa in considerazione della rilevanza strategica del marchio, dell’importanza dell’unità produttiva di Mondolfo e del valore tecnico-umano delle persone che vi operano, al fine di raggiungere gli obiettivi previsti dal piano industriale e di rilancio del gruppo. Il presidente di Pershing, Attilio Antonelli, non condividendo tale scelta, ha deciso di rassegnare le dimissioni dagli incarichi societari. I cda di Ferretti Spa e di Pershing, seppur con rammarico, hanno preso atto di tale decisione. Il presidente Norberto Ferretti, e l’ad Salvatore Basile, ringraziano Tilli Antonelli per il lavoro svolto in questi anni e gli formulano i più sinceri auguri per il suo futuro”. Qualche giorno fa il Gruppo aveva ceduto il marchio Aprea al suo fondatore Cataldo Aprea con la famiglia Pollio, che quindi restava invece del cantiere che aveva reso famoso.

Theory of Wing section di Abbot e Von Doenhoff è uno dei testi più diffusi nei politecnici per iniziare a capire che cosa sono e come funzionano le ali. Abbot quando ha scritto il libro era direttore della sezione ricerche della Nasa… un posto dove le ali servivano molto. Letto ormai da generazioni di ingegneri, progettisti e talvolta curiosi serve a costruire una base teorica un poco più solida del solito passaparola in cui i velisti sono espertissimi. Non ci sono tutti i profili più nuovi e aggiornati, frutto di solito di ricerche universitarie americane e tedesche, ma comunque spiega bene cosa succede a un profilo solido che scorre in un liquido. Angolo di attacco, allungamento, distribuzione dei carichi etc diventano concetti più familiari e comprensibili. Si possono comprendere meglio anche tante regolazioni delle vele e il tuning della barca. Nel caso è da segnalare uno dei pochi testi che affrontano in maniera moderna e attendibile il problema lasciando da parte molte favole racontate dai manuali che è “Arte e Scienza della vela” di Tom Whidden, uno dei velisti più forti del recente passato con un certo numero di vittorie della Coppa America come tattico di Dennis Conner e presidente di North Sail.

Per chi vuole curiosare sul sito della Nasa alla ricerca di nuove e vecchie teorie
Nasa Technical Reports

Inizia martedì a Auckland la terza tappa del Louis Vuitton Trophy, regata che vedrà impegnati otto team che hanno l’ambizione di diventare sfidanti nella prossima edizione della Coppa America. Uno dei due italiani iscritti a dire il vero lo è già: Mascalzone Latino Audi Team infatti ha già lanciato la sua sfida a Bmw Oracle attravero il Club Nautico Roma che è divenuto Challenger of Record. Gli altri per farlo dovranno aspettare che vengano rese note le regole della prossima edizione che Larry Ellison e Vincenzo Onorato potrebbero concordare nelle prossime settimane. L’altro team italiano è Azzurra, che ha vinto la prima serie di regate del Louis Vuitton Trophy, quella corsa a novembre a Nizza. Azzurra è dunque la barca da battere anche se i padroni di casa sono gli uomini di Emirates Team New Zealand, che ha messo a disposizione due barche su cui si alterneranno gli otto equipaggi iscritti. Mascalzone Latino ha per timoniere il neozelandese Gavin Brady e tattico l’americano Morgan Larson, stratega il bravo Flavio Favini. Azzurra è timonata da Francesco “Checco” Bruni con tattico Tommaso Chieffi, uno dei velisti italiani più esperti, già timoniere di Italia e tattico di Oracle nel 2003, prima sfida di Larry Ellison. Tommaso Chieffi in questi giorni ha ribadito i valori di Azzurra “un nome che ha portato la vela nelle case degli italiani, con un equipaggio in gran parte italiano, che a bordo parla la nostra lingua”.
Gli altri team in regata sono lo svedese Artemis, con Paul Cayard nel ruolo di skipper e Terry Hutchinson timoniere. All4 One issa due bandiere: la francese e la tedesca e schiera Jochen Schumann, uno dei velisti più forti al mondo con le sue quattro medaglie olimpiche e l’esperienza a bordo di Alinghi, il timoniere è il francese Sebastien Col. Ancora dalla Francia Aleph Sailin Team con lo skipper e timoniere Bertrand Pace, uno degli uomini più esperti con questo genere di barche e regate. Team Origin batte bandiere inglese ed è animato da sir Keith Mills, l’uomo che ha propiziato l’arrivo a Londra delle Olimpiadi 2012. Ai comandi della barca di campioni di assoluto valore, il timoniere Ben Ainslie e il tattico Ian Percy, due atleti olimpici convertiti al match race. Dalla Russia il team Synergy con timoniere il polacco Karol Jablonsky, un equipaggio in realtà molto internazionale che ha dimostrato anche a Nizza di poter competere con i migliori.
Le regate iniziano martedì: dopo una prima fase eliminatoria in cui tutti incontraranno tutti una volta le due barche con il punteggio più alto avranno il diritto di accedere alla semifinale mentre per le altre ci saranno dei gironi eliminatori.

Una delle barche più famose della Coppa America è questa New Zeland, ormai trasformata in museo galleggiante per trasportare i turisti nel Viaduct Basin di Auckland. Disegnata dallo studio Farr doveva essere imbattibile con il vento di San Diego grazie alla sua configurazione con due chiglie: sulla carta una soluzione vincente per la “portanza” ma molto difficile da mettere a punto. In quella edizione della Coppa non era l’unica a tentare questa strada, infatti anche Spirit of Australia di Iain Murray la montava con un certo successo ma il team non era molto ricco.
New Zealand è quella che ha incontrato il Moro di Venezia nella finale Louis Vuitton, la barca diventata famosa per il bompresso e per la grande protesta che lo riguardava poi vinta dal Moro. Va detto che il bompresso era certamente usato in maniera irregolare per le regole del tempo, ma che i vantaggi che dava in termini di prestazioni sono molto modesti, al tempo calcolati come qualche secondo per ogni strambata.
La configurazione con due chiglie “twin keel” può dare vantaggi notevoli soprattutto nella navigazione in linea retta mentre è più difficile la manovra in partenza e spesso dovevano timonare in due, il tattico David Barnes azionava la deriva di prua e il timoniere Roderick “Rod” Davis quella di poppa. Nelle ultime due regate nel tentativo di ribaltare la situzione hanno debuttato in Coppa America il tattico Brad Butterworth e il timoniere Russell Coutts.
Le prestazioni erano ottime con mare quasi piatto e vento di 6, 8 nodi. Per il resto New Zealand era una barca corta e leggera, una soluzione che nella formula Iacc non si è mai confermata vincente e tutti hanno scelto una strada verso le massime dimensioni di peso e lunghezza. Dunque le prestazioni “assolute” della configurazione della chiglia non sono del tutto misurabili. Il Moro di Venezia è stato il primo Iacc a raggiungere le massime dimensioni, strada seguita anche da America Cubed che ha aggiunto due intuizioni fondamentali, ridurre la larghezza in coperta e la superficie bagnata con chiglia e timone molto piccoli, strada seguita poi da tutti i progettisti.

Ha fatto paura a tutti i marinai del mondo, durante i secoli delle grandi navigazioni e delle flotte delle grandi battaglie a vela ha fatto più vittime dei cannoni. In un libro ben scritto la storia dello scorbuto e della scoperta del suo rimedio: la vitamina C, acido ascorbico. Pochi sanno che il nome è una contrazione di antiscorbutico. I romani avevano capito che i limoni freschi proteggevano gli equipaggi, l’usanza si era poi persa nei secoli e prima di tornare a capire quali alimenti erano davvero utili ci sono voluti quasi duemila anni. Prima dei viaggi di scoperta era difficile che le navi restassero in mare per un tempo così lungo da favorire l’insorgere dello scorbuto. I primi sintomi insorgono infatti dopo due, tre settimane di alimentazione povera di vitamina C, e tra questi proprio quello di essere “scorbutici”. Il problema diventa grave al tempo delle grandi flotte, soprattutto quella inglese, e delle tremende usanze di bordo. Gli equipaggi erano infatti prigionieri sulla loro nave per mesi, con alimentazione in prevalenza fatta di cibi conservati e quindi poveri di vitamina C. Forzati a bordo anche quando le navi erano in rada, per evitare diserzioni. I medici dellAmmiragliato britannico si perdono nella burocrazia e i primi risultati concreti sono del settencendo, con i viaggi di Cook che porta verdure quasi fresche. Alla fine del libro si scopre che anche noi marinai del terzo millennio dobbiamo proteggerci, perchè in realtà nella nostra alimentazione che ci spinge verso il sovrappeso mancano comunque alcuni cibi fondamentali.
Insomma, un libro che chi naviga fa bene a leggere, per tornare al passato delle grandi navigazioni ma anche scoprire scorci di vita a bordo. Dove si trova? Nelle librerie inglesi e americane sul Web. L’autore è Stephen R. Bown l’editore è St Martin’s Press.

per corrispondenza Barnes&Noble

Dicono che non si debba toccare prima di vincerla…. ma quando l’ho vista li, nella Base 8 di Bmw Oracle, circondata da gente al limite del coma etilico ho pensato: “e io quando posso vincerla… e quando mi ricapita”… mi sono messo in coda per prenderla finalmente in braccio. Avevo fatto tante foto, ma mai così. La prima volta che ho sentito parlare di Coppa America è stato attorno agli anni 80. Allora navigavo sull’Ec 26 dell’amico Enrico. Sesta classe Ior, progetto Ceccarelli. L’equipaggio della prima Azzurra usciva in mare a Porto Corsini: quando vedevo l’albero di comparire tra le dighe correvo con la moto a dare un occhio. Quella che adesso consideriamo una vecchia pentola per noi giovani velisti era fantascienza. Durante le regate di Newport l’unico collegamento era la radio, qualche articolo sulla Gazzetta, ma due giorni dopo. Da allora ho inseguito la Coppa con quella vena di follia che può finire per rovinarti la vita. Ho fatto della vela un mestiere, sono diventato anche direttore di Vela e Motore e lo sono stato per quindici anni. La Coppa vive molte leggende, alcune sinistre. Ma è troppo bello prenderla, alzarla, toccarla…. Quanto pesa? Ah, si alza bene, più leggera di quel che sembra, ma neanche così leggera come quelle coppette che si vincono all’invernale. L’hanno costruita i gioiellieri della regina Vittoria, Garrard a Londra. Ne sono stati fatti due esemplari, è stata pagata 100 Ghinee ma ormai il suo valore è senza misura. E’ il Trofeo dello sport internazionale che si disputa ininterrottamente dalla sua nascita, se si esclude qualche parentesi bellica. Una delle leggende racconta che il secondo esemplare sia stato comprato da Ted Turner e sostituito con l’originale. Dunque la vera Coppa America sarebbe rimasta sul caminetto dell’inventore della CNN che l’ha vinta nel 77, ultimo “gentlemen driver” a riuscirci prima dell’era Conner e del professionismo attuale. Ci voleva provare Bertarelli…. ma abbiamo visto com’è andata. Insomma, io al momento mi contento della foto… che è già tanto.