Crisi e primavera
La stagione 2010 della nautica da diporto si è aperta sotto il segno della estrema prudenza. Il 2009 era finito sotto il segno della quasi totale immobilità e di poderosi riassetti produttivi che hanno colpito duramente gli addetti impiegati nei cantieri. Non solo: i piazzali sono ancora pieni di barche nuove costruite in eccesso e usate, ritirate con una certa facilità nei momenti buoni del mercato e rimaste ferme sotto le intemperie in attesa di acquirenti. Chi compra, in realtà, se fornito di liquidità e desideri definiti, ha trovato il modo di comprare il nuovo o semi nuovo a prezzi di saldo. I grandi riassetti non hanno risparmiato nessuno. Il Gruppo Ferretti ha lavorato duramente concentrando unità produttive attorno a Forlì nel tentativo di ottimizzare una filiera costruita sul rispetto dei diversi marchi che ne fanno parte, buona per rispettare lo stile ma che ha creato duplicazioni poco economiche. E’ di poche settimane fa la conferma che il marchio Aprea è stato ri-ceduto alla famiglia che lo ha fondato, guidata da Cataldo Aprea. Sorte diversa è toccata al marchio Pershing, una invenzione di Attilio “Tilli” Antonelli, che con la sua impresa e il lavoro dell’amico designer Fulvio De Simoni ha davvero inventato uno stile, sia formale che funzionale. Sua la finestra e semicerchio ripresa perfino sulle auto e poi abbandonata per eccesso di repliche. Sua l’idea di realizzare una barca open ma non troppo, con ambienti protetti e condizionabili. Il gruppo non ha accettato una proposta di acquisto del valore di cento milioni di euro fatta da fondi stranieri che avrebbe messo al riparo il marchio e lui si è dimesso dal ruolo che continuava a ricoprire come anima del cantiere separandosi dalla sua creatura. Il gruppo non ha ceduto perché ritiene il marchio strategico per riconquistare quote di mercato. In casa Azimut Benetti dopo molti mesi di ricorso a cassa integrazione è cambiato l’amministratore delegato di Azimut Yacht, al posto di Federico Martini infatti è arrivato Gianni Cucco, un uomo che ha lavorato a lungo in passato con il fondatore del gruppo Paolo Vitelli. A lui è affidata anche la supervisione di Atlantis, gestita da Alessandro Furfaro.
Mentre si attende il lancio dell’iniziativa di Beneteau nell’ambito delle barche a motore, che ha lavorato per realizzare una nuova unità produttiva a Trieste dedicata alle barche più grandi del marchio Montecarlo, il mercato delle barche a vela ha reagito un poco meglio di quello delle barche a motore: forse più stabile nella passione.
È vero che tutto il comparto, per voce del presidente di Ucina Anton Albertoni ha chiesto aiuti, ha parlato di “nautica dimenticata dal Governo”. Questa la sua analisi: «Il nostro fatturato, che ammonta complessivamente a 6,2 miliardi di euro nel 2009 ha subito un calo di oltre il 30 per cento, pur con una bilancia positiva tra import ed export. Ma il salone di Miami di febbraio ci ha dato indicazioni positive. L’America sarà la prima nazione, penso già nel 2010, a riprendersi, davanti a Ue e Paesi dell’Est. E per noi, che esportiamo il 50 per cento del fatturato, gli Usa sono il secondo mercato, dopo l’Europa. Abbiamo bisogno, però, che venga rilanciato anche il mercato interno, dove va il restante 50 per cento del nostro fatturato». La ricetta per rilanciare il mercato domestico è la solita: posti barca e leasing. Temi ben noti su cui non si lavora mai abbastanza.
Tamburi di guerra suonano anche dopo la ricerca dell’Osservatorio Nautica e Finanza fatto da Pentar, che descrive un “disastro” non tanto sul piano produttivo e di mercato quanto su quello che riguarda il patrimonio netto aggregato delle società che secondo la ricerca si è ridotto di circa il 21%. Anche il risultato netto è per la prima volta pesantemente negativo, rappresentando il 4,2 % del valore della produzione.
“Il settore della nautica da diporto avrebbe bisogno di un supporto solido da utilizzare come base per impiantare il rilancio – è l’analisi di Maurizio Romiti – Si tratta di affrontare i problemi ormai cronici della nautica italiana come per esempio la carenza di infrastrutture che rende difficile il turismo nautico. Anche le imprese del settore debbono dimostrare di aver “imparato la lezione”. Il mercato dovrà essere composto da imprese pronte ad affrontare la competizione internazionale in modo professionale e coerente, costruite attorno alla realtà tecnica e stilistica che già esiste ed è il patrimonio di questo settore. Malgrado tutto ciò, la nautica italiana continua ad avere alcuni indicatori positivi che inducono alla constatazione che il settore poggia su basi solide.”