Carla Demaria è uno dei manager di riferimento dell’industria nautica italiana. Ha lavorato per molti anni all’interno del Gruppo Azimut Benetti, prima dentro Azimut di Avigliana, poi guidando il cantiere Atlantis (dopo la acquisizione dell’unità produttiva e i modelli in produzione dalla famiglia Gobbi) prima di scegliere una nuova strada. Proprio in piena crisi infatti ha scelto di accogliere una offerta di Madame Roux (imperatrice della nautica francese) ed entrare nel gruppo Beneteau. La sua missione è lanciare una gamma di lusso costruita con il marchio MonteCarlo, il primo modello sarà un motoscafo di 23 metri.

A fine 2008 con la crisi già visibile, è arrivata la notizia dell’ingresso del colosso francese Beneteau nel settore degli yachts di lusso, dopo poco più di un anno, confermate quella decisione?

“Sì, è stata una scelta molto opportuna. Il gruppo Beneteau era già il più grande costruttore europeo di imbarcazioni a motore sino a 15 mt. e la decisione di diventare un attore di riferimento anche nella fascia più grande è avvenuta con la convinzione che i profondi cambiamenti sociali ed il riassetto del settore nautico che già si intravedevano come conseguenza della crisi, erano un’opportunità da cogliere. Abbiamo impostato la strategia lavorando sulla valorizzazione della nostra doppia anima franco-italiana, cioè il più avanzato know-how industriale e la migliore tradizione nel design e nell’esecuzione, la collaborazione con le eccellenze del settore, il pluripremiato team di designers Nuvolari & Lenard e la società di engineering slovena Seaway ed un focus molto forte sull’innovazione”.

Il gruppo Beneteau ha scelto l’Italia per questa sua nuova iniziativa: managers, sito produttivo e designers. Un valore aggiunto?

“L’Italia è per gli yachts quello che la Svizzera è per gli orologi e il gruppo francese ne ha riconosciuto la supremazia mondiale nel segmento. Per il sito produttivo abbiamo deciso di essere innovativi anche nella localizzazione, scegliendo Monfalcone nel golfo di Trieste, all’interno di una vasta area sul mare che un’attenta amministrazione locale sta trasformando in polo nautico, con cantieri che rispondono ai più rigidi parametri di sicurezza e ambiente e un marina con 2700 posti barca. Quanto alla scelta dei designer Nuvolari & Lenard, non ci ha sorpreso che abbiano vinto la gara che avevamo aperto coinvolgendo alcuni tra i migliori nomi del nostro settore. Il progetto che hanno presentato, e poi realizzato, è all’altezza della loro fama”.

Che prodotto dobbiamo aspettarci?

“Stiamo assistendo a modificazioni significative della società che, sperimentate le conseguenze di eccessi e di atteggiamenti disinvolti di finanza e politica, cerca valori e concretezza. Anche per i prodotti di lusso si affermano nuovi canoni: responsabilità, funzionalità, sostenibilità, personalità. La qualità intrinseca è finalmente tornata ad essere un driver importante nella decisione di acquisto.

Sono concetti condivisi con Nuvolari & Lenard, che li hanno espressi liberamente, senza vincoli di stile legati a modelli esistenti da difendere. E’ nata una gamma di imbarcazioni eleganti, non estreme, rassicuranti, destinate a durare nel tempo. Abbiamo arricchito il progetto con forti contenuti tecnici investendo molto in innovazione soprattutto in sicurezza, impatto ambientale, funzionalità, comfort.

Qual’è il primo modello e quando lo vedremo?

Il primo modello, il MCY 76, è un 23 mt nella versione flybridge e sarà presentato alla stampa ad inizio luglio a Venezia e al pubblico a settembre, al Festival de la Plaisance di Cannes.

L’industria nautica italiana ce la farà a superare questo momento di crisi?

“Come tutti, credo, vivo con preoccupazione le gravissime conseguenze di un modello economico mondiale che ha perso i parametri fondamentali per la sua continuità. La nautica paga un conto pesante e assisteremo ad un riassetto significativo del comparto. Le nostre aziende stanno soffrendo molto: alcune non ce la faranno. Altre che hanno saputo adattarsi più velocemente alla drastica contrazione della domanda e possono contare su una più solida posizione finanziaria e ne usciranno in alcuni casi rafforzate. Occorrerà molto tempo per ritrovare i volumi e la redditività degli anni più recenti e sarebbero necessarie da subito iniziative a supporto della cantieristica, quali una legge che incentivi il rinnovamento dei modelli, da sempre punto di forza dei costruttori italiani, attraverso sgravi fiscali per la progettazione e la costruzione di nuovi stampi. Purtroppo la nautica italiana è stata completamente dimenticata dalle istituzioni, che forse ignorano che contiamo lo stesso numero di addetti del settore chimico”.

La stagione 2010 della nautica da diporto si è aperta sotto il segno della estrema prudenza. Il 2009 era finito sotto il segno della quasi totale immobilità e di poderosi riassetti produttivi che hanno colpito duramente gli addetti impiegati nei cantieri. Non solo: i piazzali sono ancora pieni di barche nuove costruite in eccesso e usate, ritirate con una certa facilità nei momenti buoni del mercato e rimaste ferme sotto le intemperie in attesa di acquirenti. Chi compra, in realtà, se fornito di liquidità e desideri definiti, ha trovato il modo di comprare il nuovo o semi nuovo a prezzi di saldo. I grandi riassetti non hanno risparmiato nessuno. Il Gruppo Ferretti ha lavorato duramente concentrando unità produttive attorno a Forlì nel tentativo di ottimizzare una filiera costruita sul rispetto dei diversi marchi che ne fanno parte, buona per rispettare lo stile ma che ha creato duplicazioni poco economiche. E’ di poche settimane fa la conferma che il marchio Aprea è stato ri-ceduto alla famiglia che lo ha fondato, guidata da Cataldo Aprea. Sorte diversa è toccata al marchio Pershing, una invenzione di Attilio “Tilli” Antonelli, che con la sua impresa e il lavoro dell’amico designer Fulvio De Simoni ha davvero inventato uno stile, sia formale che funzionale. Sua la finestra e semicerchio ripresa perfino sulle auto e poi abbandonata per eccesso di repliche. Sua l’idea di realizzare una barca open ma non troppo, con ambienti protetti e condizionabili. Il gruppo non ha accettato una proposta di acquisto del valore di cento milioni di euro fatta da fondi stranieri che avrebbe messo al riparo il marchio e lui si è dimesso dal ruolo che continuava a ricoprire come anima del cantiere separandosi dalla sua creatura. Il gruppo non ha ceduto perché ritiene il marchio strategico per riconquistare quote di mercato. In casa Azimut Benetti dopo molti mesi di ricorso a cassa integrazione è cambiato l’amministratore delegato di Azimut Yacht, al posto di Federico Martini infatti è arrivato Gianni Cucco, un uomo che ha lavorato a lungo in passato con il fondatore del gruppo Paolo Vitelli. A lui è affidata anche la supervisione di Atlantis, gestita da Alessandro Furfaro.

Mentre si attende il lancio dell’iniziativa di Beneteau nell’ambito delle barche a motore, che ha lavorato per realizzare una nuova unità produttiva a Trieste dedicata alle barche più grandi del marchio Montecarlo, il mercato delle barche a vela ha reagito un poco meglio di quello delle barche a motore: forse più stabile nella passione.

È vero che tutto il comparto, per voce del presidente di Ucina Anton Albertoni ha chiesto aiuti, ha parlato di “nautica dimenticata dal Governo”. Questa la sua analisi: «Il nostro fatturato, che ammonta complessivamente a 6,2 miliardi di euro nel 2009 ha subito un calo di oltre il 30 per cento, pur con una bilancia positiva tra import ed export. Ma il salone di Miami di febbraio ci ha dato indicazioni positive. L’America sarà la prima nazione, penso già nel 2010, a riprendersi, davanti a Ue e Paesi dell’Est. E per noi, che esportiamo il 50 per cento del fatturato, gli Usa sono il secondo mercato, dopo l’Europa. Abbiamo bisogno, però, che venga rilanciato anche il mercato interno, dove va il restante 50 per cento del nostro fatturato». La ricetta per rilanciare il mercato domestico è la solita: posti barca e leasing. Temi ben noti su cui non si lavora mai abbastanza.

Tamburi di guerra suonano anche dopo la ricerca dell’Osservatorio Nautica e Finanza fatto da Pentar, che descrive un “disastro” non tanto sul piano produttivo e di mercato quanto su quello che riguarda il patrimonio netto aggregato delle società che secondo la ricerca si è ridotto di circa il 21%. Anche il risultato netto è per la prima volta pesantemente negativo, rappresentando il 4,2 % del valore della produzione.

“Il settore della nautica da diporto avrebbe bisogno di un supporto solido da utilizzare come base per impiantare il rilancio – è l’analisi di Maurizio Romiti – Si tratta di affrontare i problemi ormai cronici della nautica italiana come per esempio la carenza di infrastrutture che rende difficile il turismo nautico. Anche le imprese del settore debbono dimostrare di aver “imparato la lezione”. Il mercato dovrà essere composto da imprese pronte ad affrontare la competizione internazionale in modo professionale e coerente, costruite attorno alla realtà tecnica e stilistica che già esiste ed è il patrimonio di questo settore. Malgrado tutto ciò, la nautica italiana continua ad avere alcuni indicatori positivi che inducono alla constatazione che il settore poggia su basi solide.”