Non voglio aggiungermi a quelli che scrivono che per anni abbiamo cavalcato un successo artficiale, dovuto a un mercato drogato e che adesso è finita pronunciando un ipocrita mea culpa. Non è pudore, anche perchè non sono mai stato complice fino in fondo del sistema: ho sempre conservato l’ironia e il distacco per non credere fino in fondo che il mercato del “lusso” o del “lifestyle” erano, sono, vita reale. Ho capito che erano un mercato, ho proposto al mio ex editore una rivista che ne cogliesse le opportunità economiche e abbiamo realizzato qualcosa di veramente innovativo che interpretava anche il lusso editoriale di un packaging esclusivo. La riflessione era che non si può scrivere di barche di lusso e accettarne la pubblicità su un supporto da poveri. Il mercato delle barche di lusso è esploso peggio degli altri, e sembrava che non dovesse finire mai.
La nautica vera però è fatta di molte altre cose, anche se la sua immagine è spesso identificata con le poche decine di barche che affollano la Costa Smeralda. Perchè ce ne sono migliaia possedute da gente del tutto normale: una flotta di pensionati, pre pensionati, appassionati, ragazzi, ragazzi di cinquanta anni, che possiede la barca per la sua vera destinazione d’uso: vivere il mare.
Nel mio recente passato di direttore di rivista nautica (anzi tre), più di una volta sono stato “ripreso” per la mia eccessiva sincerità nei confronti del sistema marketing – industriale della nautica da diporto. In poche parole credo che il pubblico abbia un sesto senso per comprendere i valori concreti e che alla fine la continua e persistente proposta di quello che non va (per esempio le barche senza tradizione e qualità) abbia finito per rendere “in-credibili” le riviste. Può sembrare senno di poi ma non lo è: una affermazione che ho fatto qualche Salone di Genova fa, in un convegno sulla comunicazione in cui ho provocato la ribellione di una certa parte dell’uditorio dicendo che i cantieri attraverso le loro pressioni ci stavano costringendo a scrivere “follie” e che presto non ci avrebbe più creduto nessuno, infatti i lettori sono sempre meno. La crisi certo ha una colpa, ma anche la difficoltà di credere a quello che è scritto. Oggetti sul mercato da anni che vengono proposti come “il primo al mondo, il più tecnologico”. Sono nati marchi che erano “l’espressione di una artigianità maniacale, taylored sull’armatore” che altro non erano che barche costruite su stampi a fine carriere dismessi dai cantieri migliori.
Il web, grazie ai suoi costi ridotti, attraverso le comunità spontanee ha cominciato a scrivere qualche verità. Sul Web non arriva il responsabile marketing a dire “allora se non scrivi che la mia barca fa 33 nodi ti tolgo la pubblicità”. I cantieri non hanno capito che dovevano, devono, sostenere le riviste nella loro credibilità se vogliono dare valore alle loro pagine pubblicitarie.
Il meteo man Roger Badham detto “Clouds” ha sconsigliato di mandare in mare barche e team, si aspetta vento forte, pioggia, una giornata dura. Se così si può dire dell’estate australe. Preoccupazione per il giorno perso.
La forza della squadra, della sua capacità di costruire velocità attraverso la condivisione degli obiettivi con la comunicazione tra i diversi settori è stato, e dovrebbe ancora, essere un esempio da seguire da parte di chi vuole vincere senza budget stratosferici ma guardando ai risultati. Il team neozelandese affonda le sue radici negli anni ottanta. quando sir Michael Fay decide di finanziare una sfida per la Coppa America australiana. Ma il vero Team New Zealand è quello voluto da sir Peter Blake per la sfida vincende del 1995 e poi la difesa vincente del 2000. Team Think è un modo di vivere… forse non esportabile in un team italiano dove gli ego non sono mai messi da parte ma anzi continuano a lavorare. Il team è anche quello che ha consentito a Russell Coutts di diventare l’uomo che ha vinto di più in Coppa America: debutta nel 92 contro il Moro in due regate inutili quando la partita era ormai persa ma vince nel 95, 2000, 2003, 2010. Avrebbe vinto anche nel 2007.
Nella quarta regata di Artemis controlla fin dall’inizio molto bene Synergy che prende anche una penalità. Le due barche partono appaiate vicino alla boa ma Artemis si avvantaggia subito sulla sinistra. Per gli avversari ci sono poche speranze di ribaltare il risultato.
Si, il nuovo pericolo si chiama “monotipo”, una cosa a cui stanno pensando in questi giorni. La barca per la prossima Coppa America potrebbe essere un monotipo. I vantaggi? Fare presto, essere pronti tra un paio di anni e tagliare radicalmente i costi di progettazione che ormai sono vicini al 50% del budget della Coppa. Quella dei monotipi o comunque di fornire delle parti standard ai team per ridurre almeno una parte delle spese è una vecchia idea messa in piedi da Russell Coutts e Paul Cayard al tempo in cui erano fuori dal grande gioco, uno “disoccupato” dopo la sua disavventura con Larry Ellison che lo aveva sbarcato da Oracle a favore di Dickson e senza ingaggio per la edizione 2007 e l’altro ugualmente a terra per aver litigato con Bertarelli. Adesso sono uno presidente di WSTA e l’altro skipper di Bmw Oracle e socio di WSTA, in questi giorni ci sono riunioni a Auckland per decidere qualcosa che entro un mese potrebbe essere ufficiale: quando come e perchè della prossima Coppa. Il monotipo affascina molto i velisti, che si illudono di poter giocare meglio le loro carte. Talvolta lo fanno, altre volte si ingegnano a far correre i loro monotipi più degli altri. Alcuni J24, caso clamoroso della storia della vela, pesavano almeno 200 kg meno del resto della flotta… Tuttavia la Coppa America è un’altra cosa. Se si toglie il gioco legato alla progettaizone, alla tecnologia si cancella una parte importante. In fondo il messaggio della Coppa numero 33 è stato lo spettacolo dei multiscafi. D’altra parte è vero che i progettisti hanno alzato un poco il gomito. Coppa, Volvo Race dovrebbero destinare gran parte del budget al progetto e alla ricerca. Spesso fatta su iterazioni di calcolo che hanno poco a che vedere con le intuizioni vere. Bruce Farr sembra abbia chiesto 40 milioni di dollari per lo sviluppo di una nuova classe di Coppa America… Forse sono un po’ troppi. L’Admiral’s Cup si è suicidata con l’inserimento delle classi one off nel suo programma, incapace di scegliere una formula magari più semplice delle tre barche per nazione con classifiche separate. Sono bastate poche edizioni con i monotipi per chiudere un evento con grande fascino, forse più fascino, perchè più raggiungibile della Coppa America. Insomma, per la Coppa i monotipi possono essere un pericolo: una cosa è salire a bordo di una delle piccole barche che sono in grado id produrre regate fantastiche come il Melges 24 o 32, i Mumm 30 anche i Farr 40. Altro è costruire lo spettacolo della Coppa America, che si fonda sulle “diversità”. Una nota polemica? Si: i velisti se vogliono vincere ad armi pari possono andare alle Olimpiadi, tempio dello sport. Conquistare così il territorio della Coppa significa impadronirsi del gioco. Ma ci piace davvero la Formula Uno che usa in tutti i team lo stesso motore? A noi piace vedere il cavallino rampante… ai tedeschi i quattro cerchi o la stella.. Insomma, la Coppa America è tale perchè costa, confronta complessità e mette insieme tecnologia ed equipaggi. Proprio come la Formula Uno. Senza complessità è un altro gioco. Forse bello, ma un altro gioco. Ha ragione chi pensa a una soluzione intermedia. Eventi come il Louis Vuitton Trophy a bordo di barche uguali e Coppa America su barche che hanno prestazioni comparabili ma frutto di design dedicati.
Per i team italiani impegnati nel Louis Vuitton Trophy di Auckland è stata una grande seconda giornata. Azzurra infatti dopo aver battuto al debutto All4One ha vinto ancora battendo Synergy con un vantaggio di 41 secondi. Regata autorevole. Mascalzone Latino invece è stato ancora sconfitto con Emirates Team New Zealand, ma è successo solo dopo aver provato di essere perfettamente in grado di restare in regata: lo ha fermato un incidente alla drizza del genoa, anzi a un piccolo particolare il “grillo” che la collega alla vela. E’ successo dopo una partenza entusiasmante che ha visto il timoniere Gavin Brady controllare bene l’avversario e quando i kiwi tentavano il sorpasso nella seconda bolina. E’ andata male, ma l’equipaggio di Mascalzone Latino ha dimostrato che può essere in regata e che sta rapidamente imparando a gestire la barca. “Si è rotto un grillo… capita – dice Flavio Favini strategist della barca italiana – siamo stati bravi in partenza ma abbiamo lasciato troppo spazio all’avversario che si è avvicinato troppo”. Azzurra ancora una volta ha dimostrato di avere un equipaggio che sa produrre risultati costanti, i russi a Nizza si erano dimostrati pericolosi dopo qualche giorno di affiatamento e anche a Auckland può succedere la stessa cosa. Tommaso Chieffi spiega così la regata: “ Volevamo partire a destra ma per farlo abbiamo sacrificato un poco la velocità. Nella prima bolina Synergy ha sfruttato un piccolo salto di vento conquistando una lunghezza ma dopo noi abbiamo usato la nostra posizione a destra per controllarli. Dopo il sorpasso siamo stati attenti a non sbagliare”. Insomma regata quasi facile per Azzurra che con due vittorie è pari a Emirates Team New Zealand e comincia a salire nella parte alta della classifica.
Negli altri match della giornata Team Origin di Ben Ainslie ha battuto bene All4One con Sebastien Col al timone, vincendo con un vantaggio di oltre un minuto, gli inglesi hanno controllato bene tutta la regata, al primo incrocio avevano già due lunghezze di vantaggio. Artemis, la barca di Paul Cayard, ha ridicolizzato i francesi di Aleph con una partenza da campioni. Terry Hutchinson, che nel 2007 era tattico per i neozleandesi, sta dimostrando di saperci fare anche al timone e di saper ascoltare il “vecchio” Cayard che ha scelto di fare il tattico dopo il debutto di Nizza dove aveva lasciato questo ruolo a Morgan Larson.
Gioia e dolore tra i sindacati italiani iscritti al Louis Vuitton Trophy in corso a Auckland. Azzurra, la barca dello Yacht Club Costa Smeralda ha vinto bene la sua prima regata che il sorteggio ha voluto contro Team Origin, squadrone inglese. Il timoniere Francesco Bruni e il tattico Tommaso Chieffi hanno condotto una regata di estrema pulizia senza mai esprimere una incertezza tattica confermando che la sintonia mostrata a Nizza non è casuale. Il loro rientro insomma è autorevole. “E’ stata una regata molto vicina all’inizio – dice il tattico Tommaso Chieffi – perchè siamo arrivati alla boa appaiati, la loro manovra di Gybe Set ci ha consentito di passare ma poi anche al cancello di poppa abbiamo pensato per un po’ di essere tornati dietro, fortunatamente abbiamo fatto la scelta giusta”.
Mascalzone Latino Audi Team deve invece piegarsi all’esperienza del team franco tedesco All4One che riesce a controllarlo per tutta la regata. Gli italiani sono apparsi aggressivi in partenza e talvolta in posizione vantaggiosa. Ma alla fine dopo essere stati superati non sono mai riusciti a rientrare in regata. Bravi gli avversari che hanno scelto il lato dove il vento soffiava con più energia.
Per Mascalzone Latino Audi Team portata da Gavin Brady è dunque un debutto amaro, la sconfitta somministrata da All4One è piuttosto netta. Alla partenza gli avversari si esprimono in un circling abbastanza aggressivo, il timoniere francese Sebastien Col protegge e conquista la destra, taglia con qualche metro di vantaggio ma Mascalzone grazie a una raffica mette la prua avanti di una decina di metri che gli restano per quasi mezzo lato. A centro campo una scaramuccia di tacking duel con All4One sempre saldamente a destra e si avvantaggia piano piano. Alla prima bolina il suo margine è di 19 secondi, al cancello di poppa di 34″, alla seconda bolina 32″ che salgono a 44″ sul traguardo.
Azzurra invece ha vinto bene la sua prima regata, perchè ha battuto il poderoso Team Origin, uno dei team che incute massimo rispetto per la qualità olimpica dei velisti coinvolti. Alla partenza gli inglesi controllano e conquistano il lato destro del campo, che si era rivelato favorito nella prima regata. Ma Azzurra riesce a sfruttare meglio la velocità della barcha NZL 92, considerata migliore dell’altra e a presentarsi alla prima boa di bolina davanti all’avversario anche se in una posizione sottovento in cui può essere controllata. Il passaggio della boa è spettacolare, con le barche che salgono molto oltre: Team Origin cerca di sfruttare il vantaggio del suo diritto di rotta, ma Azzurra riesce a issare prima il gennaker e a costringere l’avversario a una strambata, molto costosa perchè lenta. Azzurra ha trasformato una situazione di pericolo in un vantaggio. Poco dopo la barca italiana è in testa, gira il cancello di poppa con 40 secondi di vantaggio che non cambia dopo la seconda bolina. Conclude con un vantaggio di 53 secondi.
Il terzo match del giorno era tra Emirates Team New Zealand di Dean Barker e Artemis di Paul Cayard. La vittoria è andata ai padroni di casa dopo una regata combattuta e condizionata da una forte corrente in uscita dal Golfo. Il ritardo della barca svedese è di 1 minuto e 40 secondi.
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